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DI EORIA ENERALE

DEL IRITTO PPUNTI

DI ARCO ERCILLO

transnazionali. Nella concezione giusnaturalistica il diritto internazionale era considerato come parte

essenziale del diritto naturale stesso. Ciò in quanto esso riguardava ambiti e temi che prescindevano

dalla dimensione più particolare del diritto positivo, legato al potere politico. Non si ponevano, in tale

concezione, problemi legati al centro di produzione di tali norme. Proprio nel giusnaturalismo si sono

sviluppate le basi più importanti del diritto internazionale.

L'approccio giuspositivistico al diritto internazionale sostiene che il diritto naturale non sia diritto ma

"quasi-diritto", le norme di diritto internazionale non sono considerate norme giuridiche, ma tutt'al più

principi morali. Ciò in quanto solo il diritto positivo (posto) è vero diritto. Si mira ad individuare nelle

norme una specifica forma, quella della legge. Inoltre esso non è imputabile ad una autorità politica

ben precisa e dotata di caratteristiche formali (legittimata su determinati principi politici e centralizzata).

Al venir meno di tali caratteristiche, nelle norme di diritto internazionale, si perde legittimità giuridica. A

proposito, John Austin (fondatore della teoria del diritto inglese) dirà che "il diritto è comando del

sovrano seguito da obbedienza, dove non c'è sovrano non c'è diritto, nessun sovrano è internazionale

e quindi non vi sono norme internazionali giuridicamente vincolanti", quanto meno da un punto di vista

teorico. Ciò implica che il diritto internazionale sia percepito dagli stati come diritto debole e non

vincolante. Se il sovrano è assoluto, è sciolto dal dovere di rispettare il diritto internazionale. Si

produce così la c.d. "anarchia", tradizionalmente concepita come stato di natura hobbesiano. Dopo le

guerre, mentre la sovranità interna tende ad essere ridimensionata, quella esterna tende ad affermarsi

ulteriormente.

Da un punto di vista storico, l'immagine del diritto nazionale come stato di natura hobbesiano, è

piuttosto realistica nel periodo che va dalla fine del '700 agli inizi del '900. La sovranità esterna degli

stati, fino ad allora non è mai stata limitata. Non sempre gli stati hanno sentito forte necessità di

stringere trattati, ma talvolta, gli stessi, si utilizzavano in vista della tutela di alcuni interessi. La

vincolatività delle norme pattizie internazionali è differente dalla qualificazione delle stesse come

giuridiche. Le materie individuate come di disciplina internazionale pattizia sono residuali, avvertite

come da gestire dal punto di vista internazionale degli stati stessi.

Oggi non è più così, non solo, ma si guarda maggiormente alla tutela di valori della comunità

internazionale (ambiente ecc.), e dei diritti umani. Tutto ciò passa per una concezione del diritto che

porta, internamente, a disconoscere le consuetudini e, esternamente, a giustificare le norme

internazionali passando per il riferimento al consenso statale.

Dopo Austin e la fine del '700, si ha una visione più soft, che vuole che le norme internazionali siano

conosciute come giuridicamente vincolanti. La questione si sposta sulla giustificazione delle norme

stesse. L'argomento che prevale è che queste siano si giuridiche, ma che lo siano in quanto figlie del

consenso degli stati (che le accettano, dandole vita). Tale argomento non cambia l'essenza del

ragionamento di Austin in quanto il fondamento delle norme internazionali rimane il potere dello stato.

Tale prospettiva consente la giustificazione del solo diritto internazionale pattizio, trascurando altre fonti

come quella consuetudinaria.

La legittimazione del diritto interno era, dunque, la stessa di quello internazionale. Gradualmente si

considererà anche la consuetudine (che nasce dal comportamento degli stati) come fonte che

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consenta uno stretto collegamento allo stato. Tuttavia essa ha portata generale, e dunque, quando

dichiarata esistente, manifesta la propria valenza nei confronti dell'intera comunità internazionale,

indipendentemente dal fatto che sia stato un solo stato a porla in essere.

Le fonti del diritto internazionale sono elencate nell'art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di

Giustizia, fondata nel 1945, in conseguenza all'approvazione della carta delle Nazioni Unite. Così

come nel codice civile del nostro ordinamento dell'epoca, anche nell'ordinamento internazionale, si

stabiliscono una serie di fonti. L'applicazione del diritto internazionale si è sempre definita

"accertamento" dello stesso. Secondo l'articolo citato sopra le fonti sono:

1. Consuetudini, che formano il diritto internazionale consuetudinario/generale, il

customary law;

2. Norme pattizie, che costituiscono il diritto internazionale pattizio/particolare treaty law;

3. Principi generali riconosciuti dalle nazioni civili;

4. Giurisprudenza e concetti elaborati dalla dottrina internazionalistica prevalente (si

specifica che queste ultime fonti sono sussidiarie). Esse possono essere utilizzate per chiarire il diritto

pattizio o consuetudinario o per integrarlo.

Il diritto interazionale ha sempre avuto una grossa quota di soft law al suo interno, ed in particolare:

• Charter (Declaration), carte o dichiarazioni, atti finali di conferenze diplomatiche;

• Plane of action, piani di azione;

• Model rules, che orientano nella disciplina di determinate materie.

Gli "atti di soft law" sono talvolta definiti come "atti quasi-giuridici", in quanto normalmente preludono

alla produzione di altri atti giuridicamente vincolanti (e quindi diritto internazionale pattizio). Nel diritto

internazionale esse hanno anche legami con il diritto consuetudinario, come spiegazione o come

strumento di cristallizzazione dello stesso.

Il diritto consuetudinario, o internazionale generale, è valido erga omnes, ovvero verso tutti gli stati

della comunità internazionale, indipendentemente dalla condotta che, ciascuno stato, abbia tenuto.

Una volta accertata la validità di una consuetudine è generale. Il diritto pattizio, invece, è diritto

internazionale particolare, valido solo per gli stati contraenti, che accettano e ratificano il trattato o la

convenzione. Si è cercato, in passato, di affermare una teoria che potesse vincolare alle consuetudini

solo gli stati che avessero tenuto un comportamento conforme alle stesse, non applicandole agli stati

che non abbiano mai contribuito alla costituzione della consuetudine stessa. Ciò non è stato

considerato giuridicamente corretto in quanto l'ordinamento internazionale è autonomo, dotato di

norme proprie, giuridiche e pertanto giuridicamente vincolanti. La valenza di una consuetudine

internazionale è, oggi, la stessa di una consuetudine interna. In riferimento alla legittimazione politica

ed all'effettività ed enforcement di una norma, ci si deve spostare su un piano pieno di specificità e

problemi connessi a concetti teorici.

Le consuetudini sono caratterizzate da due elementi fondamentali: la diurnitas (esistenza "oggettiva" di

una prassi generalizzata e diffusa) e la opinio juris ac necessitas (convinzione "soggettiva" degli stati

che quella prassi sia giuridicamente obbligatoria o sia dettata da necessità), che hanno permesso alle

corti di giustizia internazionali, di identificare, volta per volta, alcuni stati, interessati alla questione

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trattata, nel momento di riconoscimento di una consuetudine (relativa alla questione stessa). Dunque

la CIG ha ritenuto che la prassi internazionale che può dar luogo alla formazione di regole

consuetudinarie deve comprendere quella degli stati che potranno essere particolarmente interessati.

Gli stati che dimostrano di essersi opposti alla nascita di una consuetudine non sono esonerati dal

rispetto della stessa, ma potranno rallentare o addirittura impedire la nascita della norma.

Rispetto al diritto internazionale pattizio vi sono alcuni momenti chiave: adesione (firma), ratifica ed

esecuzione dei trattati o delle convenzioni. Le procedure per l'attuazione interna sono differenti in

relazione al fatto che gli ordinamenti interni prevedano una incorporazione automatica (in tale caso non

vi saranno leggi di esecuzione) o una incorporazione ad hoc.

3. Ius Cogens e Principi Generali dell'ordinamento Internazionale

Vi sono dei principi generali riconosciuti dalle "nazioni civili", che portano con se giudizi valutativi, che il

diritto internazionale sconta anche nelle sue possibilità di affermazione su scala ampia. Come ogni

ordinamento, anche quello internazionale prevede dei principi generali. Essi sono dei parametri di

comportamento che si deducono, attraverso generalizzazione ed astrazione, da elementi comuni (a

diverse nazioni). Tali principi servono ad integrare le fonti e supportare le interpretazioni, in quanto il

diritto internazionale pattizio disciplina materie specifiche, mentre quello consuetudinario è molto lento

a svilupparsi. Bisogna capire se tali principi siano dell'ordinamento internazionale in quanto tale o siano

direttamente assunti dagli ordinamenti interni. La dottrina vuole che l'esistenza di un determinato

principio negli ordinamenti nazionali è una condizione necessaria, ma non sufficiente all'accettazione

dello stesso come principio internazionale.

Una categoria specifica di norme consuetudinarie internazionali è detta ius cogens (norme imperative).

Nel 1969, in base alla Convenzione di Vienna ed al suo art. 53, si è stabilito che l'ordinamento

internazionale contiene una norma imperativa che è "accettata e riconosciuta dalla comunità

internazionale degli stati nel suo insieme come norma non derogabile e non modificabile se non da

un'altra norma con medesimo carattere". Tale norma determina l'invalidità di norme pattizie non

conformi alla stessa, divenendo il nostro unico criterio di ordinamento gerarchico internazionale.

All'infuori di questo non vi è alcuna gerarchia delle fonti normative internazionali.

La stessa convenzione, all'art. 64 dice che ,se si forma una nuova ius cogens, norma imperativa del

diritto internazionale, qualsiasi trattato esistente ed in conflitto con tale norma diviene nullo o si

estingue. Abbiamo così informazioni sulla forma di tali norme, ma non sui contenuti possibili, sulle

materie di competenza delle stesse. Per risolvere tale dubbio bisogna guardare alla "Carta delle

nazioni unite" che, all'art. 103, elenca gli ambiti essenziali che rilevano per la comunità i

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A.A. 2013-2014
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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher vercillo.marco di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teoria generale del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Gorgoni Guido.