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La storia della fortezza, dall'epoca antica al XXI secolo
di Chiara Cattarulla
n.matricola 4207320
Molte volte ci capita di avere di fronte una persona e di ammirare o di aspirare
al suo animo forte, altre volte invece ci capita di dire, o di pensare,: «Quello si
che è un uomo (o una donna) forte!»; e ciò con un misto di ammirazione e di
invidia, perché vorremmo possedere quella sua forza, quel suo coraggio, quella
sua capacità di non sgomentarsi e di non smarrirsi davanti ad alcuna prova.
Ma cosa è la fortezza, e come la interpretiamo ai giorni nostri?
Il termine fortezza però non indica solo coraggio e perseveranza, ma ha una
valenza più ampia e legata al mondo della morale. Deriva dal greco ἀνδρεία
(andreia) e dal latino fortitudo, con questi termini si intendeva il valore, la
prodezza, il coraggio ed erano in particolare riferiti a come sarebbe dovuto
essere un uomo. Hanno dunque sempre simboleggiato una caratteristica alla
quale l'uomo avrebbe dovuto aspirare sin dall'epoca antica. L’uomo antico
andava orgoglioso della propria forza, intesa soprattutto come forza fisica. Guai
a chi non la possedeva: doveva rassegnarsi a subire la violenza altrui, a essere
fatto schiavo, a divenire un oggetto. Il prototipo dell’eroe degno di
ammirazione è Achille, seminatore di stragi, che insulta i cadaveri degli uccisi e
schernisce anche gli dei pieno di tracotanza, come vediamo nell’episodio della
strage sule rive del fiume Scamandro nell' XXI canto dell'Iliade di Omero. In
questo episodio Achille, preso da una follia omicida uccide molti giovani achei e
getta i loro corpi nel fiume; a seguito di questo gesto viene punito da Efesto
con una pioggia di fuoco che però non mina minimamente la sicurezza
dell'eroe. Solo verso la fine dell’età antica, nei versi di Virgilio, compare una
nuova figura di eroe: il “pius Aeneas”, protagonista dell'Eneide, anche lui è un
guerriero, ma combatte controvoglia e uccide a malincuore, mentre non
vorrebbe che dare ai suoi compatrioti, fuggiaschi come lui, una nuova patria e
un po’ di pace, dopo tanto soffrire e peregrinare. Iconica è l'immagine che dà
lo scultore Gian Lorenzo ad Enea; un uomo che prende in braccio l'anziano
padre Anchise per condurlo alla salvezza seguiti dal piccolo Ascanio.
Ma il lavoro di Virgilio non è abbastanza ci vorranno secoli e secoli, anzi, più di
un millennio di cristianesimo, per modificare radicalmente la mentalità antica e
porre in primo piano il valore della forza morale rispetto a quella fisica; e che
altro è stata la cultura cortese-cavalleresca, se non il tentativo di ingentilire e
spiritualizzare la forza bruta e di metterla al servizio di un più alto ideale.
In senso teologico e morale infatti la fortezza non è solamente la forza fisica e
neanche la forza dell’animo davanti alle avversità e agli ostacoli, ma quel
particolare tipo di forza che si mette in atto nella ricerca della verità, nel
resistere alle lusinghe e alla tentazione dei beni; nel perseverare lungo la via
stretta e pericolosa, quando questa però è stata individuata come la strada per
la pienezza dell'Essere e dunque alla realizzazione personale e morale.
Questo, infatti, è un punto importante, anzi è la premessa indispensabile per il
possesso e l’esercizio della fortezza come virtù: la coscienza che l’uomo è colui
che deve divenire persona, e che il semplice fatto di essere uomo (o donna) è