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TEOLOGIA MORALE NELLA PROSPETTIVA BIBLICA (secondo modulo)
Ripartire dal "grande codice", la Bibbia: l'impegno di Dio. Che l'intelligenza teologica dell'esperienza morale debba procedere proprio dall'ascolto del Vangelo, e quindi dalla parola biblica tutta, dovrebbe apparire sotto certo profilo come un'ovvietà scontata. In realtà, essa non è così scontata. Anzi tutto si deve superare il modello "razionalistico" di comprensione della norma morale per rendere ragione di un fatto d'esperienza: la "coscienza" morale non può essere descritta come "conoscenza"; essa infatti appare profondamente segnata dalle forme dell'esperienza effettiva. L'identità del soggetto non può realizzarsi attraverso le forme del sapere, né attraverso quelle del sentire; non può quindi essere determinata analiticamente; essa si realizza unicamente mediante le forme dell'agire effettivo.
e rispettivamente attraverso le forme dell'agire libero. Il "luogo" più antico attraverso il quale è percepita la promessa di Dio è pratico; la promessa è l'intenzione iscritta nelle forme originarie della vita; il comandamento è quello di accettare l'alleanza di fatto iscritta in quelle forme. In secondo luogo, le forme del pensiero contemporaneo rendono meno facile l'identificazione pregiudiziale di che cosa sia esperienza morale, e dunque della qualità della questione connessa. Le forme di quel pensiero operano sistematicamente nel senso di sostituire alla norma dell'agire di carattere precisamente morale criteri di valore di altro genere, i quali si dispongono tendenzialmente secondo due direzioni alternative: i criteri teologici (la razionalità secondo lo scopo, il giusto, l'utile, il benessere...) e quelli deontologici (razionalità secondo i "valori"). Pensiamo al famoso detto diDemocrito: "Quegli che commette cattive azioni, deve, soprattutto, vergognarsi dinanzi a se stesso". Nelle forme dell'agire è in questione la stessa immagine che il soggetto assume ai suoi propri occhi. In terzo luogo, la coscienza cristiana giunge di fatto alla comprensione della propria esperienza morale appunto attraverso l'ascolto della parola del Vangelo. Per altro verso, giunge alla comprensione stessa del vangelo e, insieme, alla fede in esso grazie alla forma morale. Il testo biblico è il documento di una "rivelazione", di ciò che è nascosto e non si vede a occhio nudo; è rivelazione delle "cose nascoste fin dalla fondazione del mondo". Ed è attraverso l'ascolto del testo biblico che la coscienza (cristiana) comprende la propria esperienza morale. Il testo biblico interpreta la vita e, viceversa, la vita è come l'apriori del testo biblico. È così che si fa o, meglio, sidovrebbe fare teologia. Faremo dunque una sorta di teologia biblica dell'esperienza morale. Suggerisco subito alcuni tratti qualificanti del modello in questione:- Un primo tratto è legato all'impegno di Dio; è il tratto che riconosce l'anticipazione della libertà umana ad opera della "grazia", dunque dell'iniziativa benevola di Dio. Il sapere - e più in generale la stessa coscienza - nasce dalla meraviglia; essa istituisce l'interrogativo - che cos'è? - e insieme ad esso il principio dell'intenzionalità del soggetto.
- Il secondo tratto formale è la considerazione della distensione temporale dell'esperienza del soggetto; tale distensione interessa le forme dell'agire. L'agire intenzionale dell'uomo è reso possibile dalla "memoria" della grazia, o se si vuole dai benefici precedenti; tale "memoria" ha per altro la figura della
memoria di un interrogativo(“che cos’è?”); esso, per avere risposta, esige di passare attraverso le forme corrispondenti dell'agire intenzionale dell'uomo, del suo agire morale. All’origine della legge, dei comandamenti, dei precetti non sta la ragione, ma la memoria; memoria dei vincoli istituiti tra noi dall’opera originaria di Dio. La memoria ha dunque un rilievo importante, tanto che la vita cristiana è possibile solo a procedere dalla memoria di Gesù. Memoria di Gesù e memoria di noi stessi, della nostra vicenda, del “chi siamo", di che “debito" siamo. Due figure fondamentali per descrivere l'intenzionalità dell'agire sono: la fede nella promessa (nelle molteplici forme del beneficio, dei beni ricevuti) e l'obbedienza al comandamento (che determina, storicizza la fede nella promessa, attraverso le forme dell'agire). Nella Bibbia appare chiaramente l'idea dell'uomo come
colui che è risposta ad una chiamata, chiamata che è articolata in promessa e comandamento, e questa è la legge, l'agire, l'obbedienza, che permette all'uomo di realizzare la promessa. La "promessa", a cui la fede deve corrispondere, trova la sua prima enunciazione mediante le molteplici forme del beneficio, che rende originariamente possibile l'immaginazione del bene, o più francamente, l'immaginazione della salvezza; quindi anche la proiezione intenzionale della coscienza. Quei benefici rimandano ad "altro" che ancora deve avvenire. Questo "altro" può trovare determinazione unicamente attraverso le prime forme dell'agire. Il comandamento s'intende appunto per riferimento a questa necessità, che la promessa conosca la sua determinazione attraverso la mediazione delle forme dell'agire. Una tale obbedienza è possibile soltanto a condizione che quei comandamenti.sacrificale morte e risurrezione. Nella prima parte del Nuovo Testamento, si sottolinea come tutta la Scrittura debba essere letta alla luce del "compimento" attraverso la vita terrena di Gesù Cristo. In lui si rivela la verità completa della rivelazione dell'Antico Testamento. Nella seconda parte del Nuovo Testamento, si dedica una particolare attenzione alla predicazione morale di Gesù. Questa viene richiamata in modo allusivo nella prima parte e si cerca di interpretare i suoi gesti e le sue parole alla luce del suo sacrificio, della sua morte e risurrezione.vicenda personale. In questo capitolo l'oggetto dello studio sarà allora l'agire morale del credente come risorsa pratica alla rivelazione storica di Dio in Gesù, così come è attestata nella Scrittura e in particolare nei Vangeli, in quanto lui è il compimento della volontà salvifica e graziosa di Dio. Nel Nuovo Testamento la grazia, la promessa, è rappresentata da Gesù Cristo e dalla sua indeducibilità. Gesù Cristo è un dono, il Vangelo è un dono, a cui segue la fede, il credere, il dare credito, la conversione che come tale non è un dono, ma una scelta, un consenso, un impegno. Credere è come dire convertirsi. È in tal senso che intendo la fede come un agire o anche la fede cristiana come un'etica e più precisamente la fede cristiana come la pratica dell'amore del prossimo, come la ricerca del bene del prossimo in cui consiste la pratica morale. La fedeÈ un'esperienza con una persona concreta, risorta e perciò vivente, alla quale possiamo e dobbiamo rapportarci personalmente ancora oggi, proprio perché risorto e dunque vivente; ma rapportarci non in termini "spiritualistici", ma pratici, storici, che assumono la forma dell'obbedienza a Gesù Cristo e al suo comandamento. La deriva spiritualistica è quella che intende la verità del vangelo come verità "spirituale"; come verità la quale comanderebbe una "spiritualità". Le interpretazioni spiritualistiche del vangelo riferiscono la sua verità immediatamente ed esclusivamente alla vita dell'"anima"; e cioè, ad una vita "interiore" suscettibile di definizione quasi a latere rispetto ad ogni considerazione delle forme storiche a tutti accessibili della vita quotidiana. Le letture spiritualistiche del cristianesimo scontano un tale affetto di "senso".religioso” dellavita immediata: cercano di disporre lo spazio per la fede o per lareligione nella sfera dei “sentimenti". La frattura tra la sferadell’interiorità e quella delle relazioni pratiche con gli altriappare in molti modi disposta dalla stessa tradizione cristiana.La frattura è in qualche modo sancita, sotto il profilo teologico,dalla sintesi luterana (sola fide, sterilità delle opere,separazione netta tra vangelo e legge).Il “pregiudizio intimista" appare operante per rapporto allestesse forme assunte dalla teologia biblica e in particolare dallalettura teologica del Nuovo Testamento. Essa propone del messaggiodi Gesù una lettura che sostanzialmente ignora il debito delvangelo nei confronti dell’Antico Testamento; essa fa torto altesto biblico.Dunque credere a Gesù, amare Gesù è equivalente alla conversionepersonale della vita, se no il rapporto con lui è falso. Gesù
È la Legge. Il Profeta per eccellenza, la Sapienza incarnata: se l'ha fatto Gesù è possibile anche per me nel segno della fede in Lui e nel dono del suo Spirito.
Il compimento: il vangelo di Gesù
Gesù è la rivelazione perfetta di Dio.
L'obiettivo già sotteso alla precedente riflessione sull'Antico Testamento è quello di evidenziare il nesso tra il Vangelo di Gesù e la “verità” iscritta nell'esperienza umana universale. Le forme effettive nelle quali si produce la ripresa della verità trascendente e teologica che l'esperienza umana universale oggettivamente postula, inesorabilmente la compromettono; a questa circostanza si riferisce la dottrina del peccato universale dei figli di Adamo. Alla “verità” iscritta nel