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INSTITUTUM UTRIUSQUE IURIS
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FACOLTÀ DI DIRITTO CANONICO
Elementi di Teologia Morale I:
Morale Fondamentale
Ch.mo Prof. Andrea Manto
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ANNO ACCADEMICO 2012-2013
2 Roma, 9 ottobre 2012
Elementi di Teologia Morale I: Morale Fondamentale
La morale è una scienza pratica, una scienza della prassi, si addice la semplificazione e
l’approccio narrativo. Nel linguaggio comune la parola morale fa rima con confessionale, invece lo
studio della teologia morale serve sotto un profilo scientifico ad argomentare rigorosamente e poi a
renderci protagonisti della nostra vita perché chi esercita liberamente, consapevolmente e
responsabilmente i propri atti è protagonista della propria vita.
La morale si interfaccia con altri saperi: filosofia, medicina, sociologia. Il fenomeno morale
quindi è un fenomeno complesso. Ma dobbiamo chiederci da dove viene la morale, perché mi devo
occupare di morale. La teologia morale è soggetta a derive soggettivistiche, ad impostazioni
soggettivistiche, l’impostazione che io ho presiede alle mie scelte e ai miei atti. Questo crea due
problemi: una forma di arbitrio assoluto che arriva a danneggiare l’altro e poi l’incomunicabilità
dell’esperienza morale (quod sunt capita, tot sunt sententiae). Allora non possiamo trovare qualcosa
che sia condiviso o valido universalmente. Ma se così fosse ci troveremmo in difficoltà a gestire i
presupposti che tengono insieme una società (vedi oggi la frammentazione sociale che viviamo).
Da dove viene la morale? Da dove nasce il fatto morale, la fenomenologia della morale?
Perché non posso fare semplicemente di testa mia? C’è un fatto che sta a monte, un fatto
fondamentale e banale: la morale deriva dal fatto che siamo esseri umani. Il cane, il gatto non hanno
percezione della maliziao bontà delle loro azioni. L’uomo invece ce l’ha. Il bambino arrossisce e
non è un fattore culturale che gli è stato imposto con una sovrastruttura. Ogni essere umano è unico
e irripetibile e ogni essere umano ha nel profondo di se stesso la capacità di porsi le domanda chi
sono, da dove vengo e dove vado. Questo l’animale non lo fa, con buona pace del darwinismo e
della teoria dell’evoluzione. L’uomo è un essere non solamente biologico, è biologico e spirituale. E
come tale è un essere che ha come tale la capacità di porsi domande sul senso delle sue azioni e
sulla bontà e sulla malizia. Perché è libero, infatti per parlare della morale bisogna essere
nell’ambito della libertà, consapevolezza e responsabilità. L’animale non è così, è necessitato, non è
lui che comprende il bene o il male, lo recepisce tanto che poi si ammazzano fra di loro, l’incesto è
praticato. L’animale si accoppia in determinati periodi dell’anno (calore), in maniera programmata,
non tutti gli animali (solo il maschio dominante).
L’uomo è un essere libero e come tale, consapevole, è un soggetto morale (libertà,
consapevolezza, responsabilità). In morale si distingue l’actus humanus dall’actus hominis: l’actus
humanus è un atto pienamente umano perché dotato di libertà, consapevolezza e responsabilità;
l’actus hominis è l’atto di un uomo (vedi genitivo), ma non necessariamente dotato di libertà,
consapevolezza e responsabilità (es. il bambino che fa cadere il vaso dalla finestra e uccide il
passante). Lo stesso vale per gli anche gli atti omissivi.
La teologia morale è una branca della teologia che studia il comportamento umano alla luce
della rivelazione divina. La rivelazione è sostanzialmente la scrittura che acquista particolare valore
nella lettura e comprensione dell’esperienza morale. In particolare i primi 3 capitoli del libro della
Genesi hanno un rilievo nell’impostazione del discorso sulla morale (rileggere il testo). Viene un pò
snobbato da che pensa di essere emancipato. E’ un trattato di antropologia fondamentale, dà le basi
essenziali dell’umano. 3
La morale è una scienza pratica, il sapere morale è un sapere complesso, ha più angolature
richiede un approccio narrativo: ma allora come facevano nell’antichità a trasmettere l’educazione
morale? Con il metodo narrativo, es. le favole di Esopo e Fedro che alla fine avevano un alto
contenuto morale, erano una forma di pedagogia morale autentica.
All’interno di questa ricca tradizione morale piena di insegnamenti e verità c’è il mito di
Icaro e Dedalo: Dedalo è l’architetto incaricato dal re Minosse di creare il labirinto per imprigionare
il minotauro. Dedalo fece così bene il lavoro da rimanerci imprigionato dentro insieme al figlio
Icaro. Non potevano più uscire da questo labirinto. E’ la struttura paradigmatica della complessità.
Dedalo fugge con un colpo d’ingegno, si inventa delle ali di legno con delle piume d’uccello
incollate con la cera. Dedalo però dice al figlio di non volare troppo in alto per non far sciogliere la
cera dal sole. Icaro incurante del consiglio si libra in volo e muore. Rileggendo questo mito è
racchiuso il tema profondo della nostra esistenza morale perché spesso nella nostra vita ci
chiudiamo in labirinti, ci chiudiamo in un vicolo cieco, lottiamo con dei mostri che sembrano
poterci divorare, abbiamo bisogno di un colpo d’ali, di un colpo di genio, di una via d’uscita ma
dobbiamo sempre stare attenti che la via d’uscita non sia un rimedio peggiore del male. Il mito ha
un profondo significato. L’uomo è consapevole di essere sospeso tra luce e tenebra, nello stesso
tempo vive la consapevolezza del suo limite, e se prova a negarlo l’esito è drammatico.
Uno dei grandi temi attraverso cui leggere l’esperienza morale è la lotta tra la libertà di cui
godiamo e l’oggettività dell’iter (?). La morale ci aiuta a scandagliare il meglio del moralmente
lecito e a salvarci da ciò che è moralmente illecito e dannoso per l’uomo. Il fine della teologia
morale è la vita buona, realizzata, altrimenti sarebbe una ubriacatura di libertà. Questo mito, allora,
non è stupido, anche laicamente ha un suo senso.
Ma allora perché il testo della Genesi dovrebbe essere una favola? Dice la stessa cosa in
maniera più raffinata ed evoluta, pur essendo più antico di questo mito. «In principio Dio creò il
cielo e la terra». Può sembrare un’affermazione scontata, inutile, ma invece è una presa di
posizione fondamentale: l’autore sacro ci dice che Dio ha creato il cielo e la terra, non l’una e l’altra
o l’una senza l’altra ma una e insieme l’altra, quindi non si dà cielo senza terra a terra senza cielo.
Noi non siamo quadrupedi, abbiamo i piedi piantati a terra e lo sguardo verso l’infinito. L’essere
umano vive in un sistema al cui principio c’è il cielo e la terra, in questo c’è un’armonia crescente
perché si doveva riportare una struttura nell’una e nell’altro e allora si creano i grandi luminari
(sole, luna e stelle) per distinguere il giorno dalla notte, si separano le terre dalle acque, poi l’erba
verde. Una serie di passaggi dall’ordine al disordine si struttura la vita. Tutto è regolato da leggi
ferree. A coronamento di tutto questo c’è l’uomo. Il 6° giorno si dice «Dio vide che era cosa molto
buona» perché Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza. «A sua immagine lo creò, maschio
e femmina li creò». L’unico essere creato ad immagine e somiglianza di Dio non è il cielo o gli
animali ma l’uomo che è dotato di una dignità particolare; è l’uomo, come genere umano, che ha
questa pienezza di creazione ad immagine e somiglianza. Ecco perché l’uomo è strutturalmente
creato maschio e femmina, perché il maschio non basta a se stesso e la femmina pure, una forza
dentro di loro per andare a cercare l’altro. Essere maschi e femmine è la nostra più profonda
identità: «e Dio vide che era una cosa molto buona». L’uomo è ad immagine e somiglianza di
questa comunione d’amore, è un essere relazionale. L’uomo è un essere così speciale perché ha
qualcosa di divino, a differenza degli animali, l’uomo è capax Dei, può entrare in dialogo con Dio.
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L’uomo è creato maschio e femmina, il primo modo per stare bene con noi stessi è riconciliarci con
il nostro corpo e la nostra identità, essere contendo della nostra condizione di maschio e femmina,
se non sono contento di questo difficilmente entrerò in contatto con la mia vita morale. Poi Dio dice
all’uomo: «puoi mangiare di tutti gli alberi del giardino tranne dell’albero della conoscenza del
bene e del male che è posto al centro del giardino, perché qualora ne mangiassi, certamente
moriresti». Già nel mangiare c’è un segno biblico molto preciso: se tu hai bisogno di mangiare, non
hai la vita in te stesso ma la prendi da fuori di te, non sei un essere assoluto e autosufficiente. È
molto simile al mito di Icaro e Dedalo: qualora tu volassi troppo vicino al sole, si sciolgono le ali e
muori. Allora perché il mito di Icaro e Dedalo deve essere considerato esempio di saggezza e la
bibbia no? Il messaggio più profondo è che ti lascio libero, puoi mangiare, vivere ma non puoi
cambiare il tuo essere, sei creatura non creatore. L’albero della conoscenza del bene e del male
metaforicamente vuol dire: per decidere cosa è bene e male devi essere il creatore non la creatura.
L’uomo ha la sua libertà ma ad essa è connessa una responsabilità e dove la libertà violasse questo
limite, diventerebbe una libertà omicida che farebbe male a se stesso e agli uomini, non riconoscere
il proprio limite significa perdere la propria vita e quella degli altri.
La libertà può essere omicida e lo vediamo in una serie di esempi. L’omicidio è anche
possedere l’altro fino a schiacciarlo. Il genitore che tende a schiacciare il figlio, nella libertà di
essere genitore, pensando di agire sempre e comunque per il bene del figlio, riferisco tutto a me
stesso e schiaccio il figlio. È vero anche nel rapporto sentimentale: pretendere di essere il Dio
dell’altro, pregiudica il rapporto. È vero anche nella vita pastorale