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IV.
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio,
12
ti dà.
III GRUPPO: LA CUSTODIA DELLA PROSSIMITA’ E DEI BENI DELLA VITA
V.-VIII.
Non ucciderai.
13 Non commetterai adulterio.
14 Non ruberai.
15 Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
16
IX-X ! 13
Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo
17
schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo
prossimo".
Così ritroviamo nel testo biblico delle Dieci Parole una suddivisione tripartita, per cui i primi due
dicono l’esclusività di Dio, gli ultimi sei che la fede di Israele copre tutta l’esperienza dell’uomo;
mentre gli intermedi, non a caso espressi in positivo, riconnettono nel presente passato e futuro (la
memoria della creazione –o, in Dt 5,12 la memoria della liberazione: fare memoria della fede di
Israele, nella creazione e nella liberazione, è fondante per la vita del presente; e la promessa –cfr Dt
5,16). Mantenendo il sabato e l’onore per i genitori anziani, Israele mantiene vivace la propria
memoria e radica la fede nel passato; e tiene aperta la propria vita ad un futuro: sono due
comandamenti–cerniera, in relazione ad altri pilastri etici e normativi.
Secondo questa proposta di suddivisione ciascuno dei comandamenti si inserisce in una struttura
dinamica nella quale i primi due corrispondono all’esigenza fondamentale dell’ethos dell’alleanza:
il riconoscimento della unicità di JHWH e del suo rivelarsi come all’origine della libertà di Israele.
Questa polarizzazione verticale sul ruolo cardine della fede salda senza soluzione di continuità
l’attenzione a preservare, secondo giustizia, tutti i rapporti di prossimità che strutturano uno stile di
vita comunitario improntato alla logica di fraternità, ambito della sequenza dei comandamenti
espressi in negativo dal quinto al decimo. Il punto di connessione tra la prima serie e quest’ultima è
riscontrabile nel terzo e nel quarto comandamento, unici espressi in forma positiva nella
successione decalogica, i quali fanno riferimento a due ambiti, la santificazione del sabato e l’onore
che il figlio adulto è chiamato ad avere nei confronti dei genitori, a partire dai quali è possibile per
ciascun membro del popolo di Israele operare una costante memoria del proprio essere non
unicamente in forza del proprio agire autonomo, ma grazie ad un dono ricevuto: quello di essere
inserito nell’alleanza di libertà offerta da JHWH ad Israele (III comandamento) e quello di far parte,
con la propria nascita, del consorzio umano (IV comandamento). Tale logica di riconoscimento
salda così l’asse verticale del legame con Dio a quello orizzontale della vita sociale e della tutela
della figura buona della prossimità interumana. In particolare la sequenza di brevi parole dalla
quinta all’ottava, costruite di fatto in una forma verbale negativa all’imperativo, delimitano la tutela
dei beni fondamentali, a partire da quello della vita, ambito del V comandamento, che garantiscono
il reciproco riconoscimento del legame di prossimità tra gli uomini. L’ethos del Decalogo,
compreso in questa articolazione dinamica, qui solo accennata, configura così una caratteristica
compenetrazione delle esigenze etiche a partire dalla struttura di fondo della fede jahwista: quanto
più si preserva, senza affiancarlo ad altre idoli, né manipolandolo ai propri scopi, né immaginandolo
a partire dai propri bisogni (I-II comandamento), il mistero di Dio, tanto più matura un
atteggiamento di rispetto profondo per il bene dell’altro e una responsabilità condivisa per la
possibilità offerta a ciascuno di realizzare in pienezza la sua vita all’interno di una logica inclusiva
di giustizia.
Partendo da questa suddivisione possiamo organizzare la nostra lettura del Decalogo.
I gruppo: contiene l’esigenza fondamentale dell’Alleanza, rimanda alla centralità della fede
• intesa come rapporto con Dio. Qui abbiamo il baricentro, il punto di forza che impone a Israele
di ritornare sempre a questa esperienza fondamentale. In questa sezione è contenuta l’idea della
fede israelitica. ! 14
I. Non avrai altri dei di fronte a me: dobbiamo andare al di là dell’ovvio; il problema di
questa parola non è tanto l’affermazione teorica del monoteismo, ma, ponendo il
problema degli “altri dei”, al centro di questo comandamento c’è l’idea del
riconoscimento dell’unicità di Dio. Questo testo non si pone il problema filosofico della
dimostrazione dell’esistenza di un unico Dio. Si muove nella convinzione che gli dei
abitino la terra. Il problema di questo testo non è il monoteismo teorico, ma il
monoteismo come ethos fondamentale, riconoscere cioè che Dio è unico, prima ancora
di dire che è uno e uno solo. Dio è unico perché questo Dio che fa l’Alleanza non è
spettatore indifferente, ma è partecipe al destino di Israele. Israele ha un rapporto unico
con Dio perché Dio è stato unico nei confronti di Israele: dov’erano gli altri dei? È molto
seducente per l’uomo fabbricarsi idoli simili a lui, ma non possono fare nulla perché
sono muti, ciechi e sordi. Nella Bibbia c’è una qualifica di tutto questo: Dio non è
l’impassibile risultato di un teorema, ma è un Dio geloso perché appartenere a questo
Dio significa essere liberi, ecco ancora perché è unico. La gelosia non è patologia
dell’amore qui, ma Dio è geloso perché è costantemente partecipe alla vita di Israele.
Dire che Dio è unico non significa dire che Dio è uno, cioè tutto; la parola “uno”, in
ebraico, indica anche la forza del tutto. Dire che Dio è unico significa che non è
quell’uno che fagocita tutto, sinonimo di violenza. L’unico si comprende nello spazio di
una relazione vissuta con Dio. Dire che Dio è unico non significa parlare della violenza
dell’uno, ma della semplicità della libertà. Il Dio unico elimina una serie di realtà in cui
l’uomo diventa prigioniero, delle proiezioni dei vari idoli. La percezione del Dio unico è
già permeata dalla necessità di saper riconoscere l’altro. Ecco perché questo Dio unico
chiede l’integrità del cuore, cioè che davanti al suo essere unico siamo un’unità integrata
in noi stessi. Se noi leggiamo questo comandamento dalla nostra parte, Dio comanda
perché è realtà buona per l’uomo: il Dio unico è fonte di profonda libertà perché libera
dall’ ansietà di sottostare a principi assoluti diversi nella nostra vita.
▪ Non ti farai idolo né immagine alcuna: non è semplicemente il problema dell’arte
che richiama la presenza di Dio, ma è il problema di un Dio frutto
dell’immaginazione umana. Dio non deve essere immaginato, ma accolto in
quanto si rivela, si comunica, si presenta. L’operazione di accoglienza di questo
Dio è previa e annulla ogni operazione di immaginazione di Dio. Dietro a questa
Parola c’è un significato interessante perché la Bibbia conosce il rapporto
originale/immagine ed è corrispettivo al rapporto Dio/uomo: l’uomo è immagine
di Dio.
Già il primo comandamento non vincola dei doveri verso Dio, ma una modalità di essere che
preserva l’unicità di Dio ed è umanizzante per l’uomo. Abbiamo anche una profonda saldatura tra il
primo comandamento e quelli verso il prossimo: custodire l’immagine di Dio non significa
solamente immaginarlo, ma anche custodire l’immagine di Dio nell’altro. Questa è la radice
teologica della giustizia. Può essere comoda la distinzione Dio/prossimo nella classificazione, ma la
sequenza è unica.
II. Non pronuncerai invano il nome del Signore: veniamo da una semplificazione che
identifica con questa parola il peccato di bestemmia. Ma la logica di questa parola è
decisamente più profonda: l’uomo non può appropriarsi di Dio, utilizzando
impropriamente il suo nome. L’atteggiamento giusto per l’uomo è di non manipolare il
nome, cioè esercitare la proprietà su qualcuno, e Dio non può essere oggetto di proprietà.
Il problema di questa Parola sta nel rifiuto di ogni forma magico – superstiziosa con cui
l’uomo vuole impossessarsi di Dio. Un altro elemento che sembra nascosto in questa
! 15
Parola: evocare Dio al posto della responsabilità umana. Ciò che all’uomo compete con
le sue doti non deve essere chiesto a Dio, perché lo ha già ricevuto. Tutto questo
significa rendere vano il nome del Signore, renderlo inconsistente. Qui abbiamo
l’esigenza etica fondamentale che si allarga a tutte le sfere della vita umana.
II gruppo: indica molto più di quanto sembrerebbe immediatamente indicare. Se si va in
• profondità, si scopre che è importante per l’uomo avere a disposizione due contesti a partire dai
quali ritornare alla propria esperienza fondamentale. È importante per l’ uomo coltivare la
memoria a partire da due realtà costantemente presenti nell’ esistenza: il tempo (6 giorni + 1) e
l’origine. Questi comandamenti sono positivi perché sono realtà da riconoscere: fungono da
cerniera tra un’esperienza che è il passato di Israele, ma che deve essere continuamente presente
nella vita affinché guidi i rapporti sociali di prossimità.
III. Ricordati del giorno del sabato per santificarlo: il sabato non è legato alla ritualità, ma al
significato che viene ad avere. L’uomo è il contesto in cui si riconosce la precedenza di
Dio sulla vita. Il sabato esprime la precedenza dell’agire di Dio. Il sabato nella
tradizione del Decalogo del Deuteronomio è letto come giorno della memoria della
condizione liberata dalla schiavitù, mentre nell’Esodo è legato alla cessazione del
lavoro. Il significato del sabato è di smantellare la struttura dell’esistenza basata sulla
logica del fare e che permette di apprezzare all’uomo quello che è. È significativo che
l’immagine del sabato non si estenda solo sulla persona, ma anche su tutte quelle
persone che sono proprie della persona (animali, schiavi, ecc.). È una realtà che permette
di riappropriarsi della realtà. Possiamo pensare alla domenica cristiana nel