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ALL'ORIGINE DELLA PRETESA CRISTIANA
Introduzione
Tentativo di definire quale sia stata l'origine degli apostoli; la ragione per cui un uomo può credere a Gesù. La profonda corrispondenza umana delle sue esigenze con l'avvenimento di Cristo. Non si tratta di imparare un discorso, ma di fare esperienza di una corrispondenza umana, ragionevole, che ci riempie di ragioni per aderire alla sua persona e alla sua proposta. Perché potremmo conoscere veramente Gesù, vedere l'evidenza della ragionevolezza, solo se possiamo fare esperienza di questa corrispondenza. Possiamo essere condotti dall'esperienza dell'incontro con la sua umanità alla grande domanda circa la sua divinità. È il percorso che hanno fatto gli apostoli lungo la convivenza con Gesù. Non è un ragionamento astratto quello che li ha portati alla fede, e non sarà un ragionamento quello di oggi a convincere le persone a diventare
cristiane.I ragionamenti non sono in grado di allargarci la mente, di convincerci, come nessun ragionamento potrà convincerci a sposare una persona, perché solo la piena esperienza di pienezza può essere all'altezza di una decisione di questo calibro. L'innamoramento potrà spalancare il ragionamento di chiunque per poter conoscere il valore della persona amata, e potrà muovere quella persona ad assecondare l'attrattiva. Non basta un vago desiderio di essere amato, ma l'esperienza dell'incontro con una persona da cui ciascuno possa essere amato.
"Un momento nel tempo e del tempo. Un momento non fuori dal tempo, ma nel tempo, in ciò che noi chiamiamo storia: sezionando, bisecando il mondo del tempo, un momento nel tempo, ma non come un momento di tempo. Un momento nel tempo, ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiché il significato non c'è tempo, e quel momento di tempo diede il significato."
Elliot,
i cori della roccaLa sorpresa di un fatto accaduto diede agli uomini la condizione per poter parlare di Gesù Cristo.
Nel tempo diventa un rapporto familiare, sempre più decisivo per capire se stessi. Per arrivare a scoprire cosa sia Cristo, perché è ragionevole aderire e credere in lui, occorre seguire un metodo.
Nell'affrontare il tema dell'ipotesi della rivelazione cristiana, nulla è più importante della domanda sulla reale situazione dell'uomo. Non sarebbe possibile rendersi conto pienamente di che cosa voglia dire Gesù Cristo, se prima non ci si rendesse conto del dinamismo che rende l'uomo tale. È importante essere coscienti della natura dell'uomo per capire Gesù Cristo perché egli si pone come risposta a ciò che sono io. Quindi occorre che io abbia desta la mia umanità.
"Nulla è tanto incredibile come la risposta a un problema che non si pone".
Reinhold
NiebuhrCristo è la risposta alla sete e alla fame che l'uomo ha della verità, della felicità, della bellezza e dell'amore, del significato ultimo. Se cristo si pone come risposta a ciò che sono io, solo una presa di coscienza appassionata di me stesso mi può disporre a riconoscere e a vivere Cristo. Perché senza questa coscienza, quello di Gesù diviene un nome vuoto. Quindi potremmo capire veramente chi è Gesù solo nella misura in cui viene messa in gioco l'umanità.
Andrea Tanzi
Università Cattolica del Sacro Cuore Teologia I - Julian Carron
Affrontare il cristianesimo significa affrontare un tema pertinente al fenomeno religioso. Non considerare il cristianesimo in modo comunque riduttivo dipende dalla completezza con cui ciascuno percepisce il fenomeno religioso come tale (il dramma del proprio io).
Il senso religioso non è altro che la natura originale dell'uomo, la sua umanità.
Se uno non lo prende sul serio e si disinteressa, sarà difficile capire che cosa sia Cristo, perché inevitabilmente sarà ridotto all'immagine che si fa di lui. Allora chi voglia capire Cristo senza ridurlo a ciò deve essere disponibile a prendere sul serio la propria umanità. Il motivo per cui la gente non crede più, o crede senza credere (partecipazione formale, ritualistica a dei gesti oppure moralismo), è perché non vive la propria umanità; sarà difficile percepire come ragionevole l'adesione a Cristo. Se si riduce il dramma, si riduce l'esperienza del valore della propria persona. Per esempio, se ho difficoltà a presentarmi così come sono di fronte all'altro, sarò sempre nel timore che, se per caso venisse a sapere altre cose su di me, non mi voglia più bene. Allora rimango sempre incerto e mi nascondo. Ciascuno arriva alla certezza di un altro solo quando puòessere se stesso. Perciò io capisco che cosa sia Cristo, se veramente mi vuole bene, se corrisponde al mio dramma, solo se non censuro la mia umanità. Altrimenti in fondo ci sarà sempre il dubbio che Cristo non sia in grado di rispondere alla mia umanità. Uno sente tanto più la corrispondenza tanto più vivo è il dramma, la sua umanità bisognosa. Il nostro io rimanda costantemente a ciò per cui vale la pena vivere assolutamente. Dio è l'oggetto proprio ed esauriente della fame e della sete umana. Sentire questa sete e questa fame è quello che facilita l'insorgere nella coscienza del mistero. La religiosità Rendersi conto della sproporzione totale tra quello che siamo e quello a cui tendiamo facilita l'insorgere nella coscienza dell'identità del mistero. Situazione esistenziale in cui l'uomo si trova a vivere: quello a cui tende, il mistero, è la realtà per cui valeLa pena vivere. Rende drammatica la situazione umana, si tende a qualcosa che è sempre oltre. Per questo spesso cerchiamo di ridurre il nostro dramma. "I sapienti si sente dire non vedono risposta all'enigma della ragione, ma il male non è che i sapienti non vedano la risposta, ma che non vedono l'enigma." Chesterton
Io dunque, nella mia piena consapevolezza di quello che sono, sono costretto nella mia condizione esistenziale a compiere dei passi verso quel destino cui in me tutto tende, senza però conoscerlo, perché è mistero. Ciò è implicato nel mio stesso dinamismo. Io tendo a qualcosa che è più grande di me, e io sono limitato. So che esiste perché senza qualcuno di infinito che mi desti costantemente il desiderio dell'infinito, io non avrei potuto creare da solo questo desiderio. Il desiderio testimonia la sua esistenza, così come la nostalgia testimonia l'esistenza di una persona amata.
So che esiste quindi perché ciò è implicato nel mio stesso dinamismo.Cartesio è partito dubitando, l'unica certezza che ha è l'esistenza di un'idea che non poteva darsi da sé, l'idea di un infinito. L'io pensando trova in se stesso questa idea, malgrado tutti riconoscano la propria limitatezza. La percezione dell'infinito viene prima di quella del finito. La percezione di Dio viene prima di quella che ho di me stesso. Infatti non sarei consapevole di dubitare, desiderare qualcosa e di non essere del tutto perfetto, se non ci fosse in me l'idea di un ente più perfetto, paragonandomi con il quale riconoscessi le mie mancanze. Noi siamo certi che quello a cui noi tendiamo esiste (altrimenti non avremmo questa sete), ma ciò diventa una condizione vertiginosa, poiché dobbiamo obbedire a qualcuno di cui.comprendo la presenza, ma non vedo. L'uomo è chiamato dunque a un'attività, e ad aderire realisticamente per circostanza a quella tensione che rilancia alla ricerca dell'ignoto. Sono innumerevoli le testimonianze della storia di un grande disorientamento da un lato e di una potente rassegnazione dall'altro, di fronte ad una tale sfida. Ciò può succedere a tutti davanti all'evolversi delle circostanze. Per questo possiamo capire come questa urgenza nasca dalle proprie viscere dell'io, nel suo rapporto con la realtà, per evincere il dramma umano, questo dolore. Si cerca la risposta dall'esperienza del proprio io; purtroppo spesso non abbiamo questa urgenza (es: si va dal medico perché si ha bisogno). La ragione dunque cerca una soluzione per uscire da questa situazione vertiginosa, è spinta da un impulso strutturale. L'uomo che è veramente consapevole della drammaticità esistenziale, difronte all'enigma ultimo ha cercato di immaginare e definire il mistero in rapporto a sé. Di concepire quindi un modo di relazione con esso, di esprimere tutti i riflessi estetici che l'immaginazione dell'uomo gli dava. E come entrare in una stanza buia, l'uomo immagina cosa ci possa essere. La religione è l'insieme espressivo di questo sforzo immaginativo, ragionevole nel suo impulso e vero per la ricchezza a cui può attingere, anche se degenerabile della distruzione e nella volontà di possesso. Davanti a tutto questo sforzo creativo nella religiosità umana, da cui nascono le diverse religioni, ci troviamo davanti a un'ulteriore questione: come chiarirsi in questo variegato comodo di religioni? Come si riconosce il valore di una rispetto ad un'altra? La prima ipotesi è di studiarle, paragonarle e scegliere. Ma questa è una posizione astratta. Sperare di conoscere tutte le religioni per scegliere la
migliore è utopico, manca il tempo. L'utopia è fuori da questa natura, per questo è un sogno, è irraggiungibile.
La seconda ipotesi è quella di scegliere le religioni più importanti, ma questo è ugualmente equivoco. Se noi avessimo fatto questa scelta all'inizio del cristianesimo, il cristianesimo non era una delle religioni più importanti; l'Islam non era ancora nato. Sono tentativi che in realtà non risolvono i problemi.
Dal fallimento dei tentativi, è nata negli ultimi secoli la pretesa di studiare tutte le religioni e vedere che cosa ci sia di meglio. È il tentativo fatto dall'illuminismo dopo la rottura dell'unità cristiana con la riforma. I cristiani delle diverse confessioni hanno lottato, e quando si sono stancati, avevano in comune per vivere la ragione. Allora a Kant viene l'idea di trovare una soluzione, una religione che fosse dentro i limiti della ragione.
Riconosciamo quelli valori cristiani condivisi e lasciamo perdere le diversità delle confessioni religiose. Così troveremo una sintesi nella nostra scelta. La religione a cui apparteniamo.