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C’è una relazione causale tra queste 3 parole: deficit (parte organica che ha un
problema; non posso togliere questo problema) crea una o più disabilità come
conseguenza del deficit (conseguenze sulle mie capacità/incapacità; posso agire per
togliere questo problema) ogni disabilità crea una o più situazioni di handicap
(conseguenza in una situazione specifica).
Esempio degli occhiali: io non riesco a vedere da lontano (deficit), ma posso sopperire
al problema con gli occhiali; se non utilizzo gli occhiali si manifesta la disabilità e io
non vedo niente (disabilità), di conseguenza non riesco a fare colazione (handicap).
Nell’ICIDH compare un elemento in più, l’ambiente: l’ambiente insieme alla disabilità
porta alla manifestazione dell’handicap. La disabilità può portare ad una situazione di
handicap, l’ambiente può aggravare o migliorare questa situazione. L’ambiente non
va inteso solo ambiente fisico in cui si parla solo di barriere architettoniche, ma è
anche un ambiente culturale, fatto di regole, norme, consuetudini, atteggiamenti; 1
rispettare queste norme può diventare di ulteriore ostacolo. Un ambiente che, al
contrario, mi lascia il tempo di cui ho bisogno diventa facilitante.
Esempio: la slide che legge il prof ha una durata preimpostata di 15 secondi, chi ha
difficoltà nella lettura parte svantaggiato a causa del suo deficit che crea una disabilità
e di conseguenza un handicap. Se la tempistica invece non è predefinita il compito
diventa più facile.
Nell’ambiente c’è un atteggiamento inclusivo in cui tutti hanno delle differenze, ma
tutti hanno uguali diritti. Se una persona incontra barriere architettoniche: la persona
sarà tetraplegica (deficit), di conseguenza la persona non riuscirà a camminare
(disabilità) e non riuscirà a prendere il treno dell’ora X a causa di queste barriere che
incontra nell’ambiente. Ho delle conseguenze nella mia vita dovuta al fatto che non ho
la velocità di lettura come gli altri o perché mi muovo su una carrozzina anziché con i
piedi.
Esempio: un bambino che a scuola studia geografia, la sua incapacità di camminare
non determina un handicap. L’handicap si rivela solamente quando magari è in gita o
deve spostarsi all’esterno insieme ai suoi compagni di classe. Insegnanti e compagni
devono essere educati a pensare di considerare una persona con tutte le sue
caratteristiche, non fermandoci a quella più evidente che è la necessità di muoversi in
carrozzina e che lo rende diverso dagli altri. In un ambiente “mal - educato” il bambino
sarà escluso.
Il rischio è che un deficit ti porti ad una situazione di handicap solo perché ce l’hai,
questo succede in particolare con i DSA. Il rischio è appunto che quel deficit, che
sarebbe limitatissimo nella vita della persona, vada ad offuscare la persona che
realmente è il bambino, proprio perché l’ambiente scolastico verte proprio su ciò in cui
il bambino presenta difficoltà. Gradualmente anche il bambino di sé dirà che è un DSA
e penserà che tutto di lui è ridotto a questo. Se quella caratteristica è pervasiva
determina tutta la sua vita, diventa la sua sua caratteristica principale e di
conseguenza la persona non è altro che quello.
Alcuni strumenti li troviamo tra i deficit e la disabilità (funzione riabilitativa): l’ausilio
mi riduce la disabilità (esempio: gli occhiali; il deficit c’è sempre, ma lo strumento mi
riduce la disabilità).
Con l’ausilio rendo il deficit incapace di provocarmi conseguenze, sempre se
l’ambiente è educato (esempio: tempo fa chi usava gli occhiali era chiamato “quattro
occhi” e veniva escluso).
La capacità di ridurre la disabilità si può ottenere allenando l’abilità attraverso
l’esercizio. A volte non ne vale la pena di allenare, in particolare quando per ottenere
un miglioramento minimo devo impegnare tanto tempo e fatica; in questo caso,
quando non si può più fare nulla, si introducono ausili. Con l’allenamento in una prima
fase si assiste ad un buon miglioramento, poi si arriva ad un punto di stallo, dove non
ha più senso continuare gli sforzi per ottenere un piccolo cambiamento.
Per un bimbo che non sa fare le moltiplicazioni perché ha dei problemi nel calcolo non
ha senso che continui e sia frustrato nel riuscire a fare le moltiplicazioni come gli altri,
quando il miglioramento sarà minimo e il bambino può sfruttare quel tempo per
apprendere altre cose, visto che comunque c’è un ausilio (calcolatrice) che può
permettergli di svolgere le moltiplicazioni più velocemente e senza commettere errori.
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La fatica che un bambino fa nell’apprendere determinate cose può non essere così
produttiva.
Tra la disabilità e l’handicap (funzione abilitativa cioè di pronto soccorso): è la
possibilità di fare qualcosa di alternativo per riuscire a non avere l’handicap. Se
l’insegnante utilizza nelle verifiche solo la moltiplicazione il bambino avrà sempre
l’incapacità nello svolgimento, sta nell’insegnante costruire una situazione facilitante.
Dall’altra parte però il bambino che si trova ad utilizzare la calcolatrice può sentirsi
escluso, per questo motivo bisogna lavorare sull’inclusione, non deve esserci diversità.
Per alcuni anni disabile è stato sostituito con diversamente abile. Canevaro diceva che
è inutile cambiare i termini per definire sempre la stessa cosa, è pur vero che il
cambiamento di termini può aiutare a riflettere e a cambiare il pensiero (una persona
povera è diversamente ricca, ma resta pur sempre povera).
Parole negative: svantaggio, mancanza, non-abilità.
Con l’ICF c’è stata la svolta: nell’ICIDH i termini sono molto negativi e si parla solo di
menomazioni. La nostra testa è fatta per ragionare per “differenze”. L’ICF dice che le
persone sono tutte diverse tra loro e ogni persona ha un diverso grado di
funzionamento nei compiti da svolgere. Noi abbiamo diversi livelli di capacità su
diverse caratteristiche. Ha una visione globale, partendo dalle funzioni presenti, non
quelle deficitarie.
ICF: Funzioni e strutture corporee
Attività e partecipazione
Fattori contestuali (ambiente di vita)
Caratteristiche personali (che non sono definibili in una classificazione)
Gli ausili tecnologici nell’ICF li troviamo nei fattori contestuali. Fa parte dell’ambiente
anche la necessità che ci siano i soldi necessari per comprare tali strumenti. 3
A partire da una disabilità tutto ciò che aiuta a ridurre questa situazione è un ausilio.
Può essere uno strumento di sintesi vocale per DSA che gli permette di studiare senza
dover leggere e arrivare a scuola preparato. Questo strumento viene utilizzato dai
DSA, ma esisteva anche prima, non è nato per loro.
Uno strumento che mi permette di fare esercizio di lettura, scrittura e correzione di
errori grammaticali ha una funzione riabilitativa ed è un ausilio tecnologico. Questo
strumento è stato ideato ad hoc per i DSA, non lo utilizzano gli altri.
Gli ausili sono esterni alla persona, non fanno parte del mio corpo; sta tra me e gli
altri. Se l’ausilio non è socialmente accettato mi distingue dagli altri. L’oggetto in
alcuni casi può diventare uno svantaggio, per esempio i ragazzini delle scuole medie
preferiscono fare fatica e non riuscire a fare le cose piuttosto che dover stare in classe
con un computer di fronte perché sono diversi dai compagni. Tanti genitori temono che
per il problema di DSA il figlio venga escluso se utilizzano ausili.
Gli ausili non sono di immediato apprendimento (curva dell’apprendimento): all’inizio il
risultato sarà poco, poi alla fine invece si nota che il risultato è consistente. Una
calcolatrice è abbastanza semplice, ma ci sono anche strumenti più complessi che mi
richiedono un grande lavoro iniziale nel capire come funziona. Se il bambino desidera
tanto utilizzare l’oggetto ma poi non è in grado di utilizzarlo, il rischio è quello di un
rifiuto.
Nella scelta di un ausilio non bisogna partire dal deficit ma dalla complessità della
situazione. Bisogna chiedersi a cosa deve servire l’oggetto, quale funzione ha. Uno
strumento è ad hoc per la persona, per la funzione che svolge, per le tempistiche e
l’ambiente in cui viene utilizzato. Se scelgo uno strumento non è adattabile non è
stimolante per la persona. Una griglia per la comunicazione aumentativa deve essere
adattabile per seguire le necessità della persona; se è molto lungo creare una griglia
adeguata tenderò a posticipare la creazione di una griglia più adatta.
A volte le indicazioni nelle diagnosi sono molto standard. Lo scopo per cui verrà
utilizzato un ausilio fa la differenza. Uno strumento come può far crescere la
persona ,può anche limitarla. Tante volte si può fare meglio con delle “buone
pensate”: bisogna avere le idee chiare, comprare pensando al futuro, pensare che lo
strumento possa essere messo in comune con altri bambini che fanno fatica (siano
condivisi)
Seconda parte: tecnologie e disturbi dello spettro autistico.
1. Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) 4
2. Sistemi di comunicazione basata su simboli
3. Esempi di software e applicazioni
Disturbi dello spettro autistico: disturbi pervasivi dello sviluppo non diversamente
specificati, autismo, asperger, sindrome di Rett,..
Nell’autismo si parla di funzionalità della comunicazione. Solitamente la
comunicazione è carente, ma c’è desidero di farlo. Le abilità necessarie per la
comunicazione verbale sono superiori a quelle richieste per i linguaggi non verbali, che
sono il sistema iconico (cioè delle immagini) e il sistema gestuale. La comunicazione
verbale richiede più abilità rispetto alla non verbale. La comunicazione gestuale è più
limitata rispetto al verbale: è meglio preferire la comunicazione orale; eventualmente
può andare bene anche la comunicazione scritta in alternativa alla verbale. Se la
verbale funziona male, utilizzo quella scritta e se questo non è possibile sfrutto i gesti.
Sia la forma orale che la forma scritta si basano sul linguaggio verbale. Il linguaggio
verbale struttura il pensiero.
Nei bambini con autismo si nota una prevalenza di utilizz