Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
COMPOSIZIONE DI UN MODULO CRISTALLINO (IN SILICIO):
74% di vetro (con un tasso di recupero elevato: 90%)
10% di alluminio, presente nelle cornici (con un tasso di recuperato altissimo e che può
arrivare al 100%)
3,5% di celle solari (tasso di recupero fino al 100%)
10% di EVA (non può essere recuperato ma viene smaltito)
Ribbons, adesivi ecc.
Attualmente, con la nuova direttiva abbiamo dei target molto elevati per il riciclaggio di questi
moduli fotovoltaici. Si dice infatti che il 75% (in peso dei moduli installati)deve essere inviato al
recupero e il 65% dei materiali deve essere riciclato. Questi ovviamente sono i primi target
individuati per il 2015, poi si eleveranno ancora di più (raggiungendo l’85% e così via). In realtà i
più critici rispetto a questa direttiva ritengono che già riciclando solo il vetro e l’alluminio si
rispettano i target stabiliti di riferimento (perché il vetro è presente in una percentuale del 74% e
l’alluminio per il 10%), in base a questa constatazione quindi il resto potrebbe essere smaltito a
proprio piacere e questo invece non rispetta l’ottica del risparmio delle risorse stabilito dall’UE che
mira alla riduzione dei rifiuti, allo smaltimento idoneo per la presenza dei chemicals ma anche il
risparmio delle risorse. ecco perché si pensa di alzare i target in futuro.
Consumi energetici per produrre un modulo nuovo e uno riciclato: il grosso del consumo è
quello della produzione del silicio. In particolare con riferimento al consumo di energia servono
0,130 Kw/h per un modulo nuovo e 0,030 Kw/h per un modulo riciclato (quindi in questo ultimo
caso si ha un notevole risparmio di energia elettrica).
Payback time energetico dei moduli fotovoltaici: (ovvero quanto tempo ci vuole per la
restituzione dell’energia spesa) per un modulo nuovo ci vogliono più anni (fino a 5 anni), nel caso
di un modulo riciclato il numero di anni è nettamente inferiore (fino a 1,14 anni) e quindi è più
conveniente da questo punto di vista. L’UE mira proprio a questo.
PRODUTTORI FOTOVOLTAICI:
Come già detto il fotovoltaico, così come le altre energie rinnovabili, ha bisogno di incentivazioni
poiché il suo costo non è paragonabile a quello di altre fonti energetiche convenzionali. Nello
specifico possiamo dire che, l’attuale normativa regola la gestione dei rifiuti provenienti dal
fotovoltaico e prevede obblighi per i produttori e importatori degli impianti stessi e in particolare il
primo obbligo che decorre dal 2012 è stabilito da un decreto ministeriale del 2011 (il cd IV CONTO
ENERGIA), in previsione della direttiva comunitaria. Il decreto che definisce le norme per accedere
agli incentivi economici stabilisce che il soggetto responsabile dell’impianto è tenuto a trasmettere
al GSE (Gestore del servizio elettrico) il certificato rilasciato dal produttore dei moduli fotovoltaici
attestante l’adesione del produttore stesso (o importatore perché in Italia non sono svolte tutte le
fasi) ad un consorzio che garantisca per conto dello stesso produttore il riciclo dei moduli
fotovoltaici usi al termine della loro vita utile. Quindi attualmente per poter accedere ad incentivi, il
produttore deve aderire ad un consorzio con specifiche caratteristiche attestate dal GSE. Proprio a
Marzo del 2013 è stato effettuato un elenco dei consorzi con specifiche caratteristiche a cui i
produttori o importatori possono aderire affinché i loro prodotti possano essere ammessi
all’incentivazione. Si stabilisce quindi una responsabilità in capo al produttore nel momento in cui si
immettono sul mercato questi prodotti circa il loro riutilizzo a fine vita. Questa è una cosa molto
importante perché responsabilizza i produttori anche nella fase di end of life: è importante la
corretta dismissione di questi impianti sia per motivi ambientali che economici; infatti ci sono
sostanze nocive da smaltire ed inoltre si potrebbe cercare di riciclare delle risorse che sono scarse
e che per poter essere utilizzate nei cicli produttivi richiedono un processo complesso e costoso
(fase già importante in alcuni paesi come la Germania dotata di impianti fotovoltaici da più anni, i
quali hanno una vita utile di 25 – 30 anni e per i quali quindi si pone il problema di dismettere gli
stessi e fase che sta assumendo lentamente importanza anche in Italia dove l’installazione di
questi impianti rappresenta un fenomeno più recente). Proprio perché c’è questa direttiva europea
questo nuovo sistema di riciclo e smaltimento richiesto avrà un impatto molto importante in Italia
nei prossimi anni: noi adesso abbiamo solo poche tonnellate di impianti fotovoltaici da dismettere
ma in Italia si è investito molto in questo settore (sono stati installati moltissimi impianti di questo
genere) e quindi nei prossimi anni si porrà un grosso problema di gestione di questi rifiuti
fotovoltaici che non possono essere smaltiti in discarica sia per motivi legali, che per motivi
economici ed ambientali.
Direttiva RAEE (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche – in inglese WEEE
directive)
La direttiva sui rifiuti elettrici ed elettronici già esisteva poiché nei primi anni del 2000 ci si pose il
problema dello smaltimento di apparecchiature elettriche ed elettroniche in capo all’UE per cui
necessariamente fu individuata la direttiva che cercava di gestire il fine vita di questi rifiuti
pericolosi (gestione che doveva essere garantita a monte e a valle poiché questi rifiuti vengono
anche prodotti e per produrli è necessario già capire nella fase di progettazione che devono essere
smontati, riciclati e smaltiti a valle, altrimenti non è un riciclaggio utile) e che fine a quel momento
seguivano le strade della Cina, del Sud est asiatico per lo smaltimento attraverso scioglimento con
acidi particolari (tipo solforico) per il recupero in metalli preziosi e altri materiali rari e il tutto veniva
fatto in modo illegale e senza garanzie di sicurezza, causando notevole inquinamento ambientale
soprattutto dei fiumi. Per evitare tutto ciò venne emanata la direttiva RAEE già nei primi anni 2000,
successivamente poi c’è stato un recasting, una riformulazione più selettiva della direttiva stessa
nel 2012 con la quale si stabilisce che i rifiuti da impianti fotovoltaici rientrano nell’ambito di
applicazione della direttiva RAEE (inseriti nell’allegato 5) associando quindi tali pannelli ai comuni
elettrodomestici o meglio ai “rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche” e questo
sottolinea l’importanza dei flussi di tali rifiuti che si stanno accumulando. Pertanto i produttori di
fotovoltaici sono responsabili di questa fase finale e devono rispettare gli adempimenti stabiliti dal
decreto RAEE e avranno la responsabilità del trattamento a scopo di riciclaggio a fine vita.
Perché il fotovoltaico oggi è cosi diffuso? I pannelli fotovoltaici danno innanzitutto come output
principale una merce molto pregiata che è l’energia elettrica (attraverso la conversione dell’energia
solare) che consente di produrre beni, erogare servizi e così via. E quindi si sta cercando di
incentivare il fotovoltaico anche perché l’UE con un’altra direttiva 20/20 impone ai Paesi membri,
sempre nel rispetto delle condizioni del protocollo di Kyoto e di tutte le problematiche di carattere
ambientale, di produrre energia elettrica con rinnovabili per una percentuale pari almeno al 20%
della produzione totale. Per quanto riguarda il fotovoltaico c’è una problematica però che si pone
ancora di più per i rifiuti e quindi per il fotovoltaico a fine vita: è vero che il fotovoltaico consente di
produrre energia elettrica ma ha un basso rendimento (arriva massimo al 18%) rispetto alle centrali
termoelettriche, ad esempio, che arrivano invece al 40-45%; ecco perché gli impianti fotovoltaici
richiedono estensioni molto elevate per cercare di migliorare il problema della bassa efficienza. Di
conseguenza maggiori estensioni comportano più pannelli fotovoltaici da produrre (Ciclo produttivo
non da sottovalutare: complesso e costoso), da installare e un domani da smaltire. In riferimento
all’estensione c’è una forte competizione anche ai riferimento ai suoli agricoli e quindi si è cercato
di porre rimedio a ciò attraverso l’intervento regionale che ha etichettato i suoli agricoli stabilendo
dove è possibile installare e dove non è possibile poiché costruendo centrali in questi terreni si va
a sacrificare la destinazione agricola degli stessi e questo è un problema per regioni come la
Puglia in cui l’attività agricola è fondamentale. Nonostante si sono trovati comunque degli
escamotage per costruire comunque su suoli dove non è permesso soprattutto perché oggi il
fotovoltaico è diventato un business cosi importante tale per cui in Puglia ci sono impianti che
fanno capo ad esempio ai Cinesi, ai giapponesi. La puglia ha una doppia facciata: da una parte ha
un impatto ambientale rilevante per tutte le centrali e le raffinerie presenti, dall’altra si sta cercando
di diffondere le rinnovabili (soprattutto eolico e fotovoltaico) e per questo ci sono molte società che
non sono individuabili direttamente e non sono italiane.
Storia delle incentivazioni:
Le prime incentivazioni (Cd Conto energia) per le fonte rinnovabili soprattutto per il fotovoltaico
sono state introdotte in Italia già nel 2001 e se ne iniziò a parlare a causa della prima direttiva
europea del 2001 che fu poi recepita con un decreto nel 2003. Il primo meccanismo di
incentivazione era abbastanza favorevole poiché venivano erogati contributi a fondo perduto (dal
2003), successivamente a partire dal 2006 e in particolare dal 2007 con il boom dei fotovoltaici in
Italia si ha il I Conto Energia con un sistema di finanziamento in conto esercizio della produzione
elettrica, quindi vengono garantite tariffe incentivanti sull’energia prodotta. Come può essere
usato l’incentivo? L’energia elettrica prodotta può essere usata in due modi diversi per:
Autoconsumo: si ha notevole risparmio poiché non è necessario acquistare energia dalla
rete; non si acquista quindi energia elettrica nella misura corrispondente a quella
autoprodotta.
Scambio sul posto: si tratta di impianti più grossi come potenza e consente di immettere in
rete l’energia prodotta (ma non consumata) per poi prelevarla successivamente per
soddisfare i propri consumi. In caso di surplus di energia elettrica, l’utente può scegliere se
scalare il credito negli anni successivi o richiederne liquidazione monetaria al valore del
prezzo di mercato. In questo caso, quindi, la rete viene i