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Prepararsi ad una negoziazione in modo puramente razionale potrebbe risultare sbagliato proprio per la
natura comunicativa del processo negoziale. Le capacità comunicative sono fondamentali per poter gestire
bene una negoziazione ed avere successo. Fondamentale in una negoziazione è non perdere mai di vista
l’obiettivo e il mandato che si è ricevuto dal superiore.
Bisogna pensare alla negoziazione non come la divisione di una torta, ma come la creazione di una torta più
grande che verrà poi divisa. Se una parte negoziale può soddisfare il proprio obiettivo indipendentemente
dalla controparte, sicuramente non si siederà al tavolo negoziale.
In generale è bene evitare di negoziare se: non possiamo trarne alcun beneficio oppure i questi non bastano
per compensare i costi negoziali, non abbiamo abbastanza tempo, la controparte agisce in malafede, la nostra
posizione migliorerà tra poco (nuove tecnologie, nuovi incassi, etc.).
In generale possiamo individuare tre tipi di negoziazioni aziendali: rapporti con il personale, commerciali e legali.
I primi sono i rapporti interni tra dipendenti di qualsiasi livello gerarchico (concordare contratti, definire
responsabilità interne, etc.), i secondi sono banalmente tra l’azienda ed una terza parte, i terzi sono intuitivi.
Il processo negoziale si articola in 5 fasi principali, che seguono sempre il principio dello scambio e della
flessibilità: preparazione, discussione, proposta, trattativa, conclusione. Affinché si negozi, è necessario per
che le parti abbiano diversi interessi, diverse valutazioni del futuro, diversi gradi di propensione al rischio.
Vediamo ora il tema del conflitto, che spesso è parte integrante di una negoziazione. Questo può essere definito
come “un netto disaccordo o contrasto in termini di interessi, esigenze, idee, posizioni, esperienze” e nasce dalla
percezione che i rispettivi obiettivi siano incompatibili o che le parti si interferiscano a vicenda. Il conflitto può
essere intrapersonale, interpersonale, intragruppo o intergruppo. Al congflitto si associa sempre un’accezione
negativa. Questo perché spesso questo porta a percezioni errate o distorte (ho ragione io e devo avere ragione
io!), crea troppa emotività, peggiora la comunicazione e indispone le due parti, che tenderanno ad ingigantire
le differenze e minimizzare le somiglianze. Tuttavia il conflitto può rafforzare i rapporti, può fare esporre le
parti che diranno ciò che pensano, etc. Sotto questo punto di vista, la negoziazione può essere vista come la
tecnica per gestire i conflitti con produttività.
In figura vediamo come si può distinguere il comportamento negoziale a seconda che si vada più inccontro
agli interessi della controparte (ascissa) o dei propri (ordinata).
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Le situazioni negoziali si distinguono in:
negoziazione distributiva, negoziazione integrativa.
La negoziazione distributiva è una negoziazione
detta “a somma zero”, nel senso che c’è un solo
vincitore (win‐lose), e lo scopo è quello di
distribuire il valore. La negoziazione integrativa è
detta invece “a somma positiva”, poiché entrambe
le parti in qualche modo vincono (win‐win), e lo
scopo è quello di creare valore. In realtà in una
negoziazione non esiste una netta distinzione, bensì troviamo sia processi distributivi che di creazione di
valore. Ciò comporta che un bravo negoziatore deve saper riconoscere le situazioni win‐lose da quelle win‐
win, e, a meno che non si sia sicuri della propria vincita o non si abbia abbastanza tempo/risorse, è sempre
meglio la negoziazione integrativa. Tuttavia, la natura conflittuale delle negoziazioni porta spesso ad
assumere atteggiamenti distributivi, poiché le due parti si lasciano influenzare dalla competizione. Inoltre,
spesso gli obiettivi delle due parti sono in conflitto tra loro, le risorse sono limitate e dunque le parti vogliono
ottenere il più possibile, ma in una distributiva il guadagno di una parte avviene a spese dell’altra.
Definiamo punto di resistenza di una parte negoziale quel valore limite al di sotto (o al di sopra) del quale la
parte abbandona la negoziazione. Naturalmente tale punto deve rimanere nascosto alla controparte, a meno
di una strategia studiata. Lo scarto tra i due punti di resistenza si definisce margine negoziale. Definiamo punto
obiettivo quel valore che determina l’obiettivo (che può coincidere col mandato) della parte negoziale, ciò che
vuole ottenere dalla negoziazione. Definiamo BATNA (Best Alternative to a Negotiated Agreement) la
migliore alternativa che si ha nel caso in cui non si raggiunga un accordo. Questa è importantissima, e anche
in questo caso la controparte non deve saperla, a meno di strategie mirate. Un buon negoziatore deve sempre
tenere a mente i propri punti fondamentali della negoziazione, e, se possibile, riuscire a conoscere quelli della
controparte (o almeno averne una stima accurata). In alcuni casi la BATNA può coincidere proprio con il punto
di resistenza, in altri no. Una buona BATNA aumenta il potere negoziale: più valore hanno le alternative delle
due parti, più la negoziazione ha motivo di esistere. Importante è anche il ruolo della prima offerta, poiché la
negoziazione in qualche modo si ancorerà verso quel valore. Chi ha la BATNA più forte ha maggiori possibilità
di lanciare una prima offerta e solitamente ottiene risultati più vantaggiosi. Tuttavia bisogna stare attenti
all’offerta che si fa, poiché spesso comunica un atteggiamento competitivo o può causare l’abbandono
prematuro della negoziazione.
Si ricordi sempre che il potere contrattuale è più importante del potere in generale, in sede di negoziazione e, in
questo caso, ha maggiore potere contrattuale chi dispone di una BATNA migliore.
Naturalmente ogni negoziatore vuole che l’accordo si stabilizzi verso un valore quanto più possibile vicino al
punto di resistenza della controparte. Per indagare sul punto di resistenza della controparte bisogna
informarsi, sia in fase di preparazione attraverso la raccolta dei dati da varie fonti (siti web, blog, network
fisico, etc.), e sia durante la negoziazione attraverso l’analisi del codice comunicativo. Quando si valuta una
controparte si cerca di scoprire il suo punto obiettivo, di resistenza e il costo associato all’abbandono della
trattativa. Per farlo bisogna cercare di capire quali fattori sono i fattori che hanno determinato la scelta di quei
punti per la controparte, e porsi le domande giuste (Perché negozia con me? Che mandato hanno? Quanto
tempo hanno? Etc.) Inoltre è possibile avere informazioni direttamente dalla controparte mettendola sotto
pressione.
Una volta ricevuta la prima offerta, la controparte potrebbe fare una controfferta (che inizia a definire lo spazio
negoziale) oppure limitarsi a respingere la prima offerta, definendola inaccettabile. Chi effettua la prima
offerta deve stare molto attento a non offrire mai meno di questa nel resto della trattativa, poiché perderebbe
credibilità o addirittura la disponibilità a trattare della controparte. Dalla prima offerta in poi inizia il
cosiddetto “balletto delle concessioni”. Queste sono fondamentali per una negoziazione distributiva, perché
senza di esse la negoziazione andrebbe in stallo. Questo perché l’approccio “prendere o lasciare” non può più
funzionare, piuttosto vige il principio “do ut des”, ovvero fornire concessioni per averne altre in cambio. In
fase di preparazione è bene pensare molto alle concessioni; in particolare bisognerebbe lasciarsi sempre un
margine per le concessioni, fare sudare la controparte per ottenerle, cederle in ordine di importanza. L’ultima
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e più rilevante concessione bisogna sempre lasciarla per ultimo, prima della prima offerta, che arriva al termine
del balletto delle concessioni.
Vediamo alcune delle tecniche della negoziazione, classificabili all’interno delle cosiddette “tecniche harball”,
che servono per spingere la controparte a fare cose che in una negoziazione distributiva non farebbe:
Il buono e il cattivo poliziotto. (i.e. “non parli con il dirigente che è troppo duro, parli con me”). Se si scopre
di essere vittima di tale tecnica basta farlo notare alla controparte.
Falso baratto. Fingere interesse per una materia che interessa alla controparte.
Intimidazione. Creare sensi di colpa; si pensi all’influenza delle proteste sull’arbitro per un calcio di rigore
non dato.
Ultima concessione. Si chiede un ultima concessione ad accorod concluso, nonostante il balletto sia finito.
Cortina di fumo. Paralre con linguaggio tecnico, riempendo di dati e informazioni.
Bluff estremi.
Se si cade vittima di tali tecniche è sufficiente ignorarle, o ancora meglio smasherare esplicitamente,
spiazzando la controparte. Se abbiamo il sospetto che la controparte usi l’inganno possiamo metterla in
difficoltà ponendo numerose domande, per esempio domande secche di cui si conosce la risposta, oppure
respingere l’inganno esprimendo disappunto.
Come detto, tale tipologia di negoziazione permette ad ambo le parti di
“vincere”, ovvero il guadagno di uno non viene a discapito dell’altro.
Per gestire una negaziazione integrativa sono necessarie ottime capicità
comunicative e buona intelligenza politica; inoltre bisogna cercare di
instaurare un libero flusso comunicativo, capire le necessità dell’altro,
minimizzare le differenze e massimizzare le uguaglianze. Le soluzioni
proposte devono essere in linea con gli interessi in comune. Si definisce
frontiera di efficienza paretiana quella frontiera di allocazione di risorse in
cui si può migliorare la condizione di almeno un individuo senza
peggiorare quelle degli altri, producendo un aumento dell’efficienza totale del sistema. A tal proposito, una
situazione dicesi Pareto efficiente se non esiste alcun modo di aumentare la soddisfazione di una parte senza
ridurre quella di qualcun altro. Nelle negoziazioni integrative si cercano soluzioni entro la frontiera efficiente.
In basso vediamo una rappresentazione grafica (come piace a noi ingegneri) della differenza tra la struttura
negoziale distributiva e quella integrativa. La retta con
pendenza negativa che passa per U2 rappresenta tutte
le possibili soluzioni distributive. Notiamo come le
soluzioni favorevoli per il giocatore 1 si ottengono
svantaggiando il giocatore 2, e viceversa. Solo nel
punto U3 l’accordo distribuisce equamente il valore.
Tutte le soluzioni a destra di tale retta sono risultati di
negoziazioni integrative, e tutte implicano un
miglioramento per almeno una delle due parti senza
svantaggiare l’altra.
Un concetto di bas