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TECNICHE CHIRUGICHE
Oggigiorno la medicina (in particola la chirurgia) deve essere considerata una cosa da fare in
prima persona.
In sala operatoria si entra con:
• Divisa operatoria (dovrebbe essere diversa da quella usata in reparto.)
• Zoccoli deputati alla sala operatoria
• Mascherina
• Cuffia
L’ambiente della sala operatoria non è sterile ma si deve mantenere un basso livello di
contaminazione. Le apparecchiature per la filtrazione dell’aria e per la sterilizzazione dell’ambiente
e degli operatori sono molto costose e in più non garantiscono la sterilità. Infatti, in uno studio si è
verificato come la sterilità non si raggiunga nemmeno se i chirurghi e gli anestetisti indossano degli
scafandri che li isolano dall’ambiente della sala operatoria.
Sul tavolino servitore, che si chiama “Tavolino di Diener schwester” (dato che lo strumentista era la
suora i tedeschi identificano il tavolino servitore con la sorella e quindi Diener schwester vuol dire
“la buona sorella servitrice”), si mettono prima i taglienti e poi le pinze. I taglienti si dividono in
monolama e bilama. I primi sono dati dai bisturi mentre i secondi sono le forbici.
Queste ultime sono caratterizzate da: anelli, fusto, articolazione e punta. La forbice chirurgica deve
essere per forza ricurva perché in tal modo la mano rimane fuori dal campo visivo. Per tale ragione
le punte devono essere rivolte verso sinistra (qualora le si tenga con la mano destra). La curvatura
può essere sul “piatto” (faccia) e sono quelle di comune impiego, può inoltre essere sul taglio. Il
ferrista, che deve tagliare i fili, può usare forbici rette. La forbice si impugna mettendo il pollice
nell’anello superiore e l’anulare in quello inferiore in modo da tenere l’indice esteso
sull’articolazione e direzionare la forbice mentre il medio, che è il dito più forte, reggerà il peso
dello strumento.
I tessuti non devono essere manipolati con le dita ma con le pinze vincendo la naturale
propensione ad impiegare la “pinza naturale” data dal pollice e dall’indice. Il vantaggio è, oltre alla
sterilità, di tenere la mano lontana dal campo garantendo una migliore visione. La pinza si
mantiene poggiando l’articolazione sulla prima plica interdigitale e non nel palmo della mano
perché si perderebbe la delicatezza e la precisione garantite da un’impugnatura corretta oltre a
perdere il vantaggio di tenere la mano lontana dal campo operatorio.
La pinza serve a manipolare i tessuti e, in caso di sutura a determinare una contropressione atta a
garantire l’immobilità del lembo al quale l’ago imprime una pressione.
La pinza è formata da un’articolazione a molla, un fusto zigrinato (per far presa sulle dita) e da un
morso. Le pinze si classificano per la lunghezza (vanno dai 30 cm che vengono impiegate per la
profondità ai 16 cm che rappresentano le pinze standard) e per il morso. Il morso non può essere
liscio perché non garantirebbe una presa sicura. Una zigrinatura trasversale all’asse maggiore
della pinza permette una maggiore delicatezza e risulta utile nel trattare strutture vascolari.