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IO DISEGNO ANCORA E ANCORA”.

In quei ritratti ognuno di noi accede a un mondo infantile. Dietro quei ritratti ci

siamonoi. I bambini sono la nostra parte soffocata che riemerge, fendendo pugni e

pugnali. Gli anni ’90 sono noti per le loro abbuffate di esagerazioni parossistiche nel

nome di un puro divertissement, una violenza bidimensionale e ironica.

La sua superficialità – dice l’artista – è solo superficiale. Fa eco così all’esplosione di

una cultura splatter: penso a Grattachecca e fichetto dei Simpson o a South park.

Anche i personaggi di Nara sembrano giocare con gli stereotipi della purezza infantile.

Come pittura comanda

Entriamo nel mondo di questi angiodiavoli. In Nothing ever happened, la bambina

protagonista ha in mano due delle armi preferite da Nara: una fiamma da incendiario e

un coltello. La bambina capiamo, non è molto dolce. Ma non è successo nulla come

ribadisce il titolo. Si capisce che la ventata di follia si è spenta senza provocare

tragedie, ma a livello dell’immagine l’artista erompe con un accanimento degno della

peggior perfidia. Il corpo della bambina si contrae fino all’inverosimile come se

sottoposto alle peggiori torture, intervallando questa pittura violenta con ordini

altrettanto violenti mandati avanti dall’autore. Ogni volta è in atto un moto di protesta:

l’arte comanda di colpire i valori convenzionali, il compito di colpire più forte è

affibbiato alle icone dell’espressionismo. Con la sua pittura barbarica Nara si pone nel

filone delle fauves per arrivare nel secondo ‘900 a tutti quegli artisti che gonfiano la

figura a suon di pugni e calci: transavanguardia italiana, nuove belve tedesche fino al

graffitismo. Il Nara degli esordi infatti si dedica alla sovrapposizione delle sagome

primitive di Busquiat nel nome di una bad painting, che sfilaccia, scortica i contorni

perché ispirata al mondo delle subculture e dei primitivismi infantili. Trova il suo

marchio di fabbrica in figurine semplici da riprodurre, che son sintomo a loro volta di

un’espressività spontanea. L’espressionismo, lontano dai virtuosismi accademici, è il

portabandiera di un’arte che urla il suo malcontento che viene potenziata nel caso di

Nara da scritte che ricordano la scrittura infantile, oppure scrittura tipica di un adulto

che, per dirla con Freud, è alla ricerca del suo tempo perduto. È un fenomeno questo

che ricorda il punk. Sono molti i personaggi nariani che suonano strumenti, e l’artista

dichiara spesso il suo amore verso Clash, sex pistols e affini. Dopo 5 anni in Germania

Nara torna in Giappone, con un Bagaglio di esperienze che hanno acutizzato in lui la

predisposizione innata a una pittura cattiva e astraente. Non è la compostezza del

digitale e del simbolismo a guidare i dettami di Nara, bensì è guidato dai selvaggi

graffi che sguazzano nella serie di disegni. Where do we go from here? È la domanda

che si pone una bambina afflitta, simile a una bambola di pezza piuttosto che una

donna insieme. Allora un altro consiglia di accoltellarlo, e ancora un altro con la scritta

“born to lose” dimostra di aver già capito tutto sul suo futuro. Sa di essere un perdente

infatti l’adulto che mette da parte gli obblighi della sua eà per rispolverare i suoi istinti

più infantili. E allora meglio essere loser, ma dar voce ai propri istinti che essere un

uomo realizzato ma in balia delle nevrosi: tali nevrosi sono l’anoressia, il fumo, la

droga. Ma non solo musi lunghi nelle opere di Nara, c’è infatti anche un’altra opzione

molto più divertita e leggera, quella alla South park. Diversamente dai disegni la

pittura ammorbidisce gli angiodiavoli in un trattamento un po’ più liscio e vellutato. Lo

sfondo è più neutro e gli angiodiavoli son resi in modo più paffuto, decisamente più

kawaii rispetto al segno arruffato della stilizzazione grafica. Ma non cambia niente.

Restano sadici. In fiore reciso il teppistello di turno impugna una sega sporca di

sangue, lo stesso che gli cola dalla bocca, in una scenetta tragicomica corredata dal

fuck you che brilla sul vestitino: la parolaccia e il gusto per la coprolalia è una sorta di

diktat per l’arte che si pone sotto l’ombrello dell’espressionismo e dei derivati. La

bimba di harmless kitty indossa un costume da diavoletto, innocua ma con lo sguardo

da palle girate, che incontra un altro angiodiavolo, Abandoned puppy, che rincara

l’idea di un’infanzia abbandonata e ripudiata, chiusa in una scatola da cui sta per

uscire con un’avversione letale. Così è nice to see you again: felice di piantarti un

coltello nel petto. Oppure c’è missing, faccia da segnalazione poliziesca che risponde

al grido di che fine ha fatto la mia infanzia? È trafitta con i chiodi alle mani, come in

senza titolo. È tenero e kawaii, ma se mettiamo da parte tutto questo ci viene in

mente Cattelan, che aveva inventato uno scolaretto inchiodato al banco con due

matite. Le figure, seguendo i canoni neopop sono estremamente stilizzate. Penso a

piromane nel cuore della notte (naso ridotto a due fessure, bocca ridotta a vermicello).

Le cose cambiano con i suoi ultimi lavori, nei quali Nara allarga gli occhi e li rende

dolcissimi, anche se il titolo dopo la pioggia acida, non sprizza di certo ottimismo.

Concludiamo con un accenno alla scultura e all’installazione. La vicinanza con

Murakami è più netta, perché le creature nariane si presentano in 3D con altrettanta

cura formale, anche se le statue ci ricordano più un morto che cammina che altro.

<<Koden>> Mori

Mariko Mori, classe ’67, chiude il cerchio dei fantastici 4. Anche lei come murakami ha

contribuito a collocare l’arte giapponese nei circuiti internazionali. Eppure i maggiori

punti di contatto lei li ha con Yanobe, che in realtà non è una star internazionale. L’arte

della Mori si basa sul coinvolgimento attivo dello spettatore. Torna la sinestesia, in un

clima però in cui è necessaria l’integrazione con la valanga di merci materiali e

immateriali degli anni ’90. L’incompatibilità del lavoro della Mori con il freddo anni ’60

è dimostrabile dall’assonanza con una performance di Miyajima e con la sua

performance NA.AR (Voice). Nello stesso luogo e nello stesso quartiere, Shibuya, nel

progetto beginning of the end in cui Mariko si presenta con tutte le sofisticazioni del

caso. Non disturba nessuno. Si mette solo in una bara trasparente con addosso una

tuta neutra che la rende assessuata. Il tutto viene accentuato dal fatto che l’artista

galleggia nell’acqua, entrando in uno stato meditativo simile alla tanking machine di

Yanobe, ma con strumentazioni avanzate. Lo happening si accessoria con una patina

high tech. Non basta più spezzare la routine quotidiana con dei gesti insoliti. Bisogna

invece ornarsi con effetti speciali: una volta superata la necessità della body art

storica di tagli e insaccamenti è tempo di procurarsi le stesse impressioni di

scuotimento sensoriale con gli ultimi ritrovati della tecnica e dell’innovazione. Da tutto

ciò esce un minestrone che cancella la linea di confine tra zen e manga nell’arte

giapponese. La Mori in poche parole combina il gusto zen con le icone popolari dei

mass – media: lo zen viene sdrammatizzato in un certo senso con l’uso di personaggi

cartooneschi. Lo zen si mette in scena tra folletti, astronavi e high tech.

Beginning of the end è la prima opera in progress della Mori e ripetuta in altre città

fino al 2000. Ma prima ci sono altri lavori. In Subway, Warrior e Play with me la Mori

arriva nel bel mezzo della vita prosaica della vita tokyota, capitale della perfezione

organizzativa. La Mori decide di operare in uno dei vanti di Tokyo, la metropolitana,

con l’intento di scatenare nel pubblico passivo una reazione altra. Niente di meglio che

preseentarrsi con una tutina argentata da umano proveniente da chissà quale era, che

indossa un armamentario a noi sconosciuto. La warrior invece è evidentemente

proveniente dal mondo dei video games: con il suo fucile laser appresso andrà a

caccia di cattivoni da sconfiggere per concludere la sua missione. Infine Play wiht me

ci presenta una dolce geisha elettrica. La Mori indossa una parrucca blu elettrico, un

corpetto con spalline che le fa da armatura metallizzata, con ginocchiera e parastinchi

sopra un vestitino di tessuto gommoso da abbinare a guanti iperpop. Non c’è spazio

per la realtà ma è tutta finzione. Capiamo che la fonte di ispirazione è Sailor Moon,

assolutamente Neopop. Ed è neopop anche la cybergirl di tea cerimony III. Qui è

ricalcato lo stereotipo della donna giapponese servizievole e dolcina. Persino in una

cerimonia così antica tuttavia, il Neopop si impone, imponendo all’artista di imporre il

segno dei suoi tempi. La ragazza si muove come un robot con le sue orecchie da Mr.

Spock, tra uomini che non sanno se ridere o sentirsi a disagio. In un’escalation verso il

sintetico assistiamo alla birth of a star. La Mori si trova in una scenografia di sfere

colorate in un galleggiamento aereo che rappresenta la forma larvale dei mondi

digitali che ricreerà nelle sue installazioni. L’artista è ancora presente in carne ed ossa,

vestita con un completino che è la summa di un’epidermide foderata con tessuti di

derivazione artificiale in un trionfo di fashion futuristico: protesi sonore come cuffie,

plastica, polieuretano, pronto a smaterializzarsi in corpo celeste, fenomeno astrofisico,

in stella, come allude il titolo. Anche le pupille vengono fatte risaltare con pupille

cartareinfrangenti. Montata su un pannello luminosocon un effetto olografico la

fotografia ci restituisce un’artista che sfolgora di colori: è Koden Mori, ragazza del

futuro. Tutto ciò prende la sua origine da Tanaka, che aveva edito il prototipo di noi

individui elettronici, vie di mezzo tra organi biologici e strumentazioni varie. Anche la

mori è koden dunque, ma con la differenza rispetto al gutai di arricchirsi dei prodotti

dei mass media. La Tanaka era infatti rimasta virtuale, aveva realizzato circuiti, forse

forme che anticipavano un futuro non troppo prossimo. Ma la Mori, vivendo in un’era

mediatica, dove la tecnologia ha fatto passi avanti: i dispositivi elettronici si possono

portare dietro come una seconda pelle. Può nascondere i circuiti dietro una cotenna

galvanizzata dalle reti di massa degli animanga, videogames e tv. Koden Mori è

dunque figurativa, si traveste di riferimenti riconducibili al vaso mediatico del neopop

come sono le unità mobili di Yanobe o i pupazzetti di Murakami e Nara. Le fonti delle

sue ispirazi

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
62 pagine
1 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/03 Storia dell'arte contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Darcy di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Tecniche dell'arte contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Fabbri Fabriano.