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RICOPIAMI IL RESTO DAI FOGLI

6. Happening: sempre loro: futuristi e dadaisti.

RICOPIA DAGLI APPUNTI

Con le basi il corpo degli attori era nascosto da una specie di pannello, e gli attori

erano costretti a mettere in risalto in qualche modo le loro parti inferiori. Il contrario

accadeva ne “le mani” dove gli arti superiori compivano manovre procedendo da

dietro le quinte e scomparendo subito dopo.

Stiamo andando verso l’uso anomalo del corpo ma non siamo ancora alla Body art.

prima dobbiamo riprendere in mano i concetti espressi nella cucina futurista, che non

si risparmia e detta situazioni, accadimenti, ricette. Stuzzicano così il gusto, non meno

importante degli altri sensi, quasi a creare un’unione tra opera ed enviroment. Questo

accade ad esempio nel “pranzo musicale autunnale”, uno happening che prevede

momenti di silenzio in cui masticare il vuoto, e dove troviamo la stessa tensione verso

un concetto, una realtà leggera e priva di consistenza. Al contrario, “pranzo

aeropoetico futurista” è azione pura, decisamente rubricabile tra gli happening ispirati

alla macchina e ai motori, da realizzare dentro la carlinga di un aereo, che invitano i

commensali a mangiare un menù ricco di vitamine concettuali.

Se gli happening futuristi dichiarano apertamente di volere nutrire lo spettatore con il

vuoto in volo. Ma ci sono anche i piaceri più aptici, come accade in “pranzo tattile”, da

svolgersi usando speciali tute polimateriche.

Queste tute, fatte di alluminio, spazzole e quant’altro vengono indossate da pubblico

che aziona una scatola sonora, e così i camerieri si muovono, danzando una lenta

danza fino alla consumazione delle vivande.

Per sferrare il colpo di grazie alle noiose tradizioni occidentali, tra cui il capodanno,

possiamo gustare l’ennesimo happening che rianima il mortorio tipico della festa

obbligata.

Kandinskij ci riserva un ulteriore tuffo nell’immaterialità, progettando Happening per lo

più progettati con la luce, come nell’arco degli anni ‘90/2000 farà Eliasson con le sue

installazioni.

Kandinskij con i suoi audaci canovacci rientra ufficialmente nel teatro, per sua stessa

scelta, ma tende a campi più ampi, fatti di una sorta di compenetrazione tra tutte le

arti. Le sue opere abbondano di suoni e colori, quasi di effetti speciali, dove ogni

spezzone si abbarbica a un gioco infinito di esplosioni liquide eteree. Sono molti i

riferimenti contemporanei che ci ricordano il lavoro di Kandinskij (pag.24).

Ma non solo in Italia e Germania si fanno happening, se ne fanno anche in Svizzera e

Francia. A Zurigo nel 1916 nasce l’avventura dadaista, per mano di Hugo Ball, Tzara,

Hans Arp: le serate svizzera sono molto note: si svolgeva il tutto nell’assoluta libertà e

si creava una sorta di commistione tra tutte le arti, in un atteggiamento molto

rilassato, di giovani che non avevano problemi a far baldoria, e che non erano

interessati ad un obbiettivo o un interesse prefissato.

Anche in Francia si hanno interessanti momenti di creazione Dada. È un dadaismo che

comprende i futuri membri del surrealismo, tra cui André Breton. Il loro dadaismo è su

scala urbana: non ci si interessa a nulla, anzi si va a ricercare tutti quei luoghi che non

hanno alcun appeal. È questo che dimostra una foto del 1921: dieci artisti che se ne

fregano e che vogliono solo visitare quei luoghi insulsi o banali, che non interessano a

nessuno. Si cerca il più spoglio; secondo Tzara il Dada predica l’indifferenza. Sono

luoghi inadatti a instaurare qualsiasi momento ricreativo o sociali, quindi ancor più utili

a creare un riscatto del banale e di conseguenza una diversa epifania della realtà.

7. Fotografia: verso il comportamento.

Già con il collage, nel quale manteneva un ruolo di fatto solamente

d’accompagnamento, vediamo sorgere la fotografia, che pian piano si sta

guadagnando un proprio posto al sole.

Pian piano la fotografia scala le classifiche e conquista un ruolo di primo piano nelle

scelte di un artista, acquistando anche un suo statuto, e partendo da delle immagini

sul corpo arriverà alle note immagini di Man Ray, Schad o Moholy Nagy.

Se consideriamo l’obbiettivo fotografico come un comportamento fondamentale,

allora il ruolo della fotografia nelle arti contemporanee diventa quasi insostituibile .

allora camera oscura e future evoluzioni devono essere considerate come uno degli

elementi più importanti nelle tecniche contemporanee e ancora scalpitanti ai giorni

nostri. Ma come si instaura il parallelismo tra fotografia e comportamento?

Tutti sappiamo cos’è una fotografia, ma forse pochi sanno della sua natura

concettuale, che la fa assomigliare la fotografia con il readymade duchampiano: la

fotografia seleziona brandelli di mondo e ce le propone proprio come porzioni di già

fatto. La fotografia ci svela epifanie e ci rivela il mondo. Non solo registra la realtà, ma

si amplia fino ad abbracciare i movimenti e i comportamenti umani, suscettibili di

essere registrati da un occhio meccanico. Sulla fotografia in arte e vita si delineano

due possibilità interconnesse:

a) Con la macchina possiamo dirigere l’obbiettivo sul corpo andando ad agire

come una specie di catalizzatore di pose, spesso comportamenti “altri” e

dunque vicini alla performance.

b) Con lo stesso atteggiamento certifichiamo la pelle delle cose, con un

atteggiamento consapevole e attento.

Il foto dinamismo di Anton Giulio Bragaglia è uno dei primi esperimenti di fotografia

concettuale: cioè viene racchiuso l’atto foto + gesto. Un movimento viene

cristallizzato anche al di là del momento in cui viene eseguito. La fotografia funge da

fissante, ed è proprio grazie a questa caratteristica che i momenti possono essere

vissuti in altro modo.

Un movimento della testa normalmente verrebbe ignorato perché non assumerebbe

alcun elemento aggiuntivo rispetto agli altri gesti o movimenti che facciamo ogni

giorno. Però se quel determinato movimento viene straniato, assume una

connotazione diversa, che gli da un valore aggiunto, diventa qualcosa di

esteticamente rilevante anche se privo di significato. Le immagini di Bragaglia ci

ridanno indietro momenti già pervasi da esiti performativi. L’iconografia di Bragaglia

prevede inoltre titoli decisamente sintetici (ad esempio “salutando”): accade anche

però che il soggetto ritratto assume pose decisamente poco naturali, per via della

volontà di eseguire una performance: si opta quindi per fare lo strambo, a seconda di

come ci salta in testa e spesso anche con risvolti violenti. Accade così che nelle foto

Bragaglia compaia uno “schiaffo” che profuma di Body Art.

Un artista che fornisce un buon insieme di atteggiamenti ben poco immateriali e da

“act different” è Fortunato Depero. Depero usa il mezzo fotografico per estrapolarne

dei comportamenti, lontani dalla noiosa routine quotidiana, come la performance

comanda. La fotografia vuole dire la sua, e allora noi per imbrogliarla dobbiamo fare

qualcosa di insensato, poco comune e a mala pena tollerato. Così Depero scatena la

sua mimica e si concentra su ghigni, facce, risate.

Anche Egon Schiele attraversa una breve fase di fotografia intesa come act different:

viene ritratto dal fotografo Anton Trcka in azione con gesti ed espressioni caricate.

Dop oil 1919 è il turno di Marcel Duchamp: in Tonsure si fa fotografare la testa rasata a

forma di stella dall’amico Man Ray, assumendo così una connotazione decisamente

anomala e particolare. Ma il limite lo raggiunge quando si traveste indossando i panni

del suo alter ego Rrose Selavy, pronuncia francese di “l’eros c’est la vie”: non è un

eros angelico però, è un eros profondamente cieco e polimorfo, ambiguo, che

sprofonda nei limiti del principio di piacere. E così la fotografia è utilissima nel riuscire

a rendere insieme più persone più ambiguità. Come succede a Claude Cahun, ambigua

anche nel nome: non è uno pseudonimo scelto a caso, infatti in francese “Claude” è

sia maschile che femminile, come le sue immagini, in costante ambivalenza. E la

CaHun risolve organizzando il suo lavoro in due blocchi di base. O si mostra “acqua e

sapone” con tratti mascolini e struccata, orgogliosa di mostrare ciò che è, senza

problemi. È un qualcosa che la configura lontana dallo stereotipo della femminilità, sia

quando la vediamo con i capelli lunghissimi stesi a ventaglio sul letto, sia quando la

vediamo con i capelli rasati a zero. Siamo molto vicini a una body art “in togliere, che

si spoglia di tutto.

Tuttavia c’è anche un altro percorso che la Cahun decide di percorrere. Cioè quella

dell’aggiunta. La Cahun assume mille mila identità grazie al travestimento, veste i

panni di maschere culturali, quali ad esempio un Buddha taroccato o un aviatore da

figurina. Quest’amore per i travestimenti sarà una costante nella body art

contemporanea, in particolare con la Sherman o con Luigi Ontani.

Molto lontana dalla corporeità la produzione di Man Ray, che si limita alla

rappresentazione epifanica dell’oggetto già fatto. Grazie all’amico francese, Duchamp,

M.R. capisce l’importanza di guardare gli oggetti con uno sguardo diverso, isola

dettagli insulsi dell’ambiente quotidiano e li irrora con uno sguardo diverso. Tuttavia a

questi oggetti di mondo Man Ray gli dedica una sorta di affezione in più, li caratterizza

spinti da uno slancio in più.

Un’altra nota serie di Man Ray è quella dedicata ai rayogrammi, cioè readymade

catturati senza macchina. È una tecnica nata per caso tra l’altro, con oggetti

dimenticati su una superficie sensibile. Ciò che ci interessa è probabilmente il processo

di alleggerimento a cui sono sottoposti i rayograph: infatti l’oggetto sembra quasi

volatilizzarsi e a noi non ci resta che il suo contorno sul foglio. E questa

de-materializzazione dell’oggetto piace molto ai contemporanei, che la usano

moltissimo.

C’è qualcosa di pulviscolare in Man Ray, che usa l’aerografo aggiungendo alle

immagini un ulteriore senso di sgretolamento, che ricorda molto in particolare nel

secondo novecento i pixel. Lo stesso discorso vale per i fotogrammi di Moholy nagy.

Infine nel discorso troviamo Cristian Schad. Lui utilizza moltissime tecniche dell’arte

contemporanea tra cui collage e assemblage. E anche lui fa un lavoro simile alle

rayographie di Man Ray, chiamandole “Schadographe”. Queste però, hanno una

differenza sostanziale: gli oggetti sulla tela non sono più riconoscibili, ma sono quasi

liquefatti, come

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
26 pagine
3 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/03 Storia dell'arte contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Darcy di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Tecniche dell'arte contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Fabbri Fabriano.