Tecnica farmaceutica - tecnologia, legislazione e deontologia farmaceutiche
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rilascio.
Granuli gastroresistenti. Sistemi che riescono a passare indenni dal tratto gastrointestinale
• liberando il principio attivo nell'intestino. Devono resistere ai fluidi gastrici (pH ed enzimi).
La cosa più semplice è rivestire i granuli con materiale gastroresistente: insolubile in
ambiente acido, solubile in ambiente neutro (intestinale)Eccipienti: cellulosa acetoftalato e
derivati met
Controlli sui granulati.
Titolo principio attivo. Quanto principio attivo c'è nel granulato: stabiliscono esattamente il
• peso di quello che devo preparare, ovvero la quantità di granuli da dosare.
Distribuzione granulometrica mediante setacciatura.
• Forma
• Porosità. Per area superficiale e velocità di diffusione.
• Bagnabilità. Per disgregazione
• Friabilità. Livello accettabile: se è eccessivo i granuli si rompono.
• Umidità residua. Essiccamento avvenuto correttamente?
• Volume, densità
• Proprietà di flusso
•
COMPRESSE. Forme farmaceutiche solide contenente ciascuna una dose certa di uno o più
principi attivi. Ottenute per compressione di volumi uniformi di cellule. Somministrazione: orale,
deglutizione (intera), masticate, disciolte o disperse prima della somministrazione trattenute in
bocca. Cambia a seconda del tipo di formulazione. Le forme farmaceutiche orali: compresse (75%,
più diffuse in assoluto) e sciroppi. Vantaggi: bassi costi di produzione, facile preparazione, alta
compliance del paziente, alta stabilità di quanto veicolato, dosaggio accurato, rivestibili (mascherare
sapori, protezione da luce e umidità), versatili (rilascio controllato). Svantaggi: deglutizione
(paziente cosciente), non adatto se il farmaco è resistente alla compressione, molto sensibile a luce e
umidità, alta concentrazione a livello gastrico (sistemi a rilascio immediato), ridotta efficienza di
degradazione.
Compresse non rivestite: superficie rivestita a contatto con la soluzione si disgrega.
• Nell'esempio non rivestite e monostrato.
Compresse non rivestite multistrato: mascherare sapore sgradevole, si usano se non si può
• rivestire (incompatibilità eccipienti), separazione sostanze incompatibili. Rilascio con
tempistiche differenti.
Compresse rivestite:
• Compresse effervescenti: sostanze acide e carbonati, disperse in acido.
• Compresse masticabili: dimensioni maggiori, eccipienti con gusto gradevole, forma.
• Compresse solubili o dispersibili: devono essere divise in parti prima della
• somministrazione.
Compresse orosolubili: non rivestite, si disperdono rapidamente nella bocca prima di essere
• deglutite. A rilascio immediato. Effetto sistemico. Comparsa effetto terapeutico molto
veloce.
Compresse sublinguali: assorbimento tramite mucosa sublinguale, azione rapida, liberazione
• del principio attivo veloce. Minuscole compresse.
Compresse gastroresistenti: vedi sopra.
• Compresse a rilascio modificato: vedi sopra.
•
Vie di somministrazione: orale, buccale, sublinguale, vaginale, innesto sottocutaneo (sterili).
Quali sono gli eccipienti? Diluenti, leganti, lubrificanti, disgreganti, coloranti, aromatizzanti e
adsorbenti. Dipendono ovviamente da che compressa vogliamo ottenere.
DILUENTI. Per ottenere una massa [...]. Essenziale per compresse a dosaggi molto bassi (es. 5
mg). Requisiti: economico, non igroscopico, buone proprietà di flusso, inerti e buona
comprimibilità. Lattosio: (glucosio-galattosio), stabile, solubile, proprietà di scorrimento non
ottimali, troppo costoso, alcuni sono intolleranti. Saccarosio: (glucosio-glucosio), molto usato per
compresse masticabili, igroscopico, appiccicoso, cariogeno, non va bene per i diabetici e dà
problemi in compressione. Mannitolo: compresse masticabili e orosolubili, lassativo. Amido:
amilosio e amilopectina, buon diluente, disgregante, lubrificante, assorbente. Cellulosa
monocristallina: diluente e disgregante, usato molto per compressione diretta. CaHPO · 2H O:
2 2
abrasivo, stabile, buone proprietà di flusso. Talco silicato idrato di magnesio. MgCO3.
LEGANTI. Mantengono coese le particelle di polveri usati allo stato secco
[...]
LUBRIFICANTI. Specifici nella realizzazione di compresse e capsule, prevengono l'adesione tra
polveri e polveri e tra polveri e apparecchiatura.
Lubrificanti propriamente detti : agiscono tra due superfici. Acido stearico (C:18), magnesio
• stearato (lubrificante per eccellenza), calcio stearato, paraffina liquida. Si usano a basse
concentrazioni (<1%) perché può peggiorare le caratteristiche biofarmaceutiche della
polvere/compressa --> si diminuisce la bagnabilità
Glidanti: riducono [...]. Migliorano le proprietà di flusso, ottimi reagenti di scorrimento.
• Talco (1-2%), silice
Antiaderenti : prevengono adesione tra le polveri e l'apparecchiatura. Talco, stearati, amido.
• Solubili. PEG 4000/PEG 6000 (il numero indica il ), Na...., Na.... 9 - 25 Ottobre 2011
I purificanti sono nella maggior parte dei casi sostanze di natura lipofila. La regola è aggiungerne in
quantità sufficienti per svolgere effetto lubrificante ma non esagerare perché si potrebbe andare a
modificare e alterare in maniera negativa le performance biofarmaceutiche del sistema. Se
aggiungiamo lubrificante in eccesso succede che la nostra compressa aumenta il contenuto di
materiale lipofilo all'interno della compressa. Questo comporta una riduzione della bagnabilità del
sistema quindi un rallentamento della disgregazione e della velocità di distribuzione del sistema. Se
aggiungiamo lubrificante in percentuale eccessiva questo non è più ing rado di svolgere la sua
azione. Per esempio, tra i lubrificanti ci sono i glidanti (agenti di scorrimento) quegli eccipienti
utilizzati per migliorare le proprietà di flusso di una miscela di polveri. Se ne aggiungiamo una
quantità eccessiva il glidante rallenta la velocità di flusso.
In che fase della lavorazione si aggiungono i lubrificanti? Per gli altri eccipienti è abbastanza
indifferente, ma nel caso dei lubrificanti questi vengono aggiunti alla fine perché risente molto
dell'effetto di miscelazione.
DISGREGANTI. Hanno la funzione di promuovere il processo di disgregazione in seguito al
contatto della compressa con l'acqua. Svolgono la loro azione contrastando le forze di coesione
all'interno del compatto e l'azione del legante in modo da permettere la rottura della compressa e la
successiva dissoluzione del principio attivo veicolato. Solo quando il farmaco è completamente
disciolto quest'ultimo può essere assorbito. Schematicamente cosa succede alla compressa quando
entra in contatto con acqua? Si osserva il rigonfiamento delle particelle, la separazione degli altri
componenti e viene favorita la rottura del compatto. Meccanismo d'azione dei disgreganti.
Rigonfiamento (swelling): a contatto con acqua rigonfiano e determinano rottura del
– compatto
Bagnamento (wicking): favoriscono l'ingresso di acqua nella compressa che esercita una
– pressione idrostatica
Deformazione: in fase di compressione vengono deformati e in seguito al contatto con
– acqua recuperano forma e volume originali causando rottura della compressa
Repulsione: in seguito al contatto con l'acqua si formano cariche che respingendosi
– provocano la rottura del compatto
Quali sono i disgreganti? Si dividono in due grandi gruppi: disgreganti di prima generazione o di
seconda generazione (superdisgreganti).
Disgreganti di prima generazione. Amido: si usa in concentrazioni del 5-10% circa, agisce
attraverso un meccanismo di canalizzazione e swelling; ha un buon potere disgregante ma deve
essere utilizzato in percentuali abbastanza elevate.
Disgreganti di seconda generazione (superdisgreganti). Si usano in concentrazioni relativamente
basse (2-3%). Amido pregelatinizzato, sodio amido glicolato (Explotab), cellulosa microcristallina
(Avicel), sodio carbossimetilcellulosa crosslinkata (AcDiSol), polivinilpirrolidone crosslinkato
(Polyplasdone XL), silicato di magnesio e alluminio (Veegum). Quando utilizziamo un
superdisgregante dobbiamo essere sicuri di rientrare nei tempi di disgregazione dettati dalla
Farmacopea pur utilizzando una concentrazione molto bassa di disgregante.
Le miscele effervescenti composte da: acido organico + carbonati o bicarbonati. In presenza di
acqua svolgono azione disgregante, infatti liberano CO2 che crea pressione all'interno della
compressa determinandone la rottura. I tensioattivi (coda lipofila e testa polare idrofila)
(sodiolaurilsolfato, tween...) favoriscono il processo di disgregazione grazie alla loro azione
bagnante; sono usati in piccole concentrazioni (0,5-1%) e soprattutto in presenza di sostanze
idrofobe (poiché sono anfoteri).
COLORANTI. Vengono aggiunti alla formulazione per: migliorare l'estetica; controllare il
processo produttivo (ci permette di sapere se abbiamo lavorato in maniera corretta ed abbiamo
ottenuto un prodotto omogeneo); distinguere prodotti diversi (ad es. Diversi dosaggi). Si usano
lacche di alluminio (solubili) o ossidi di ferro (insolubili).
AROMATIZZANTI. Usati per migliorare la palatabilità del prodotto e la compliance del paziente.
Si usano aromi, essenze o edulcoranti (saccarosio, glucosio, mannitolo, sorbitolo, saccarina,
aspartame, acesulfame..). Si utilizzano nelle compresse per bambini, in compresse orosolubili o
masticabili.
ADSORBENTI. Sono sostanze in grado di trattenere quantità consistenti di fluidi. Vengono usati
per proteggere principi attivi igroscopici o per adsorbire principi attivi liquidi in modo da ottenere
un solido più facilmente maneggevole durante il processo produttivo. Gel di silice, talco, amido e
monostearato di alluminio.
Eccipienti modulatori del rilascio. Sono sostanze in grado di modificare, rallentare o controllare la
velocità di liberazione del farmaco. Idrossipropilmetilcellulosa ad alto PM (HPMC), sodio
carbossimetilcellulosa (NaCMC), poliossietilene ad alto PM (PEO), cellulosa acetoftalato (CAF),
poliacrilati (Eudragit).
Compressa a pronto rilascio:
ibuprofene 200 mg, principio attivo
caffeina 10 mg, principio attivo
cellulosa microcristallina 140 mg, diluente
acido stearico 2 mg, lubrificante
Peso totale 352 mg.
Compressa a pronto rilascio:
acido acetilsalicilio 400 mg, principio attivo
amido 40 mg, disgregante
Peso totale 440 mg
Non c'è nulla perché l'acido acetilsalicilico ha delle buone proprietà di compressione, quindi non
serve molto.
Compressa a pronto rilascio:
amoxicillina triidrato 1104,5 mg, principio attivo
potassio clavulanato 148,9 mg, principio attivo
silice colloidale 10 mg, glidante
magnesio stearato 14,5 mg, lubrificante
sodio carbossimetilamido 29 mg, disgregante (amido modificato)
cellulosa microcristallina 243,1 mg diluente
idrossipropilmetilcellulosa 14,08 mg, polimero di rivestimento
titanio biossido 13,76 mg, opacizzante
PEG4000 2,08 mg, plasticizzante
PEG6000 2,08 mg, plasticizzante
Peso totale 1582 mg
Compressa gastroresistente:
serratio-peptidasi 5 mg, principio attivo con attività antinfiammatoria
lattosio 90 mg, diluente
amido 38,8 mg, disgregante
cellulosa acetoftalato 14,7 mg, polimero di rivestimento
titanio biossido 1 mg, opacizzante
gelatina 1 mg, legante
magnesio stearato 0,5 mg, lubrificante
Peso totale 151 mg
Compressa masticabile:
acido acetilsalicilico 325 mg, principio attivo
mannitolo 380 mg, diluente
gomma arabica 9 mg, legante
saccarina sodica 7 mg, dolcificante
amido di mais 43 mg, legante
talco 32,6 mg, antiaderente
acido stearico 1,2 mg, lubrificante
arancio essenza 2,2 mg, aroma
Peso totale 800 mg
Compressa effervescente:
acido acetilsalicilico 300 mg, principio attivo
acido citrico anidro 30 mg, mix effervescente
calcio carbonato 100 mg, mix effervescente
saccarina sodica 3 mg, dolcificante
Peso totale 433 mg
I pesi complessivi sono decisamente diversi. Vediamo come si fa ad ottenere davvero queste
compresse, qual è il ciclo di compressione. Quando si parla di compresse e di preparazione di
compresse bisogna distinguere tra compressione diretta e compressione eseguita successivamente
a un processo di granulazione. L'apparecchiatura è sempre la stessa, quello che cambia è l'iter che
si segue.
Il ciclo di compressione è fatto da varie fasi.
Caricamento. Riempimento di una matrice rigida con il materiale allo stato di polvere o di
granulato. Si usa una macchina chiamata comprimitrice che può essere di due tipi: alternativa o
rotativa. Le prime sono quelle da laboratorio, da banco che vedremo in laboratorio; le seconde sono
quelle utilizzate principalmente in industria. Il funzionamento è identico, ovviamente le rotative
permettono di produrre un numero di unità maggiore nell'unità di tempo. Quali sono gli elementi
principali di una macchina comprimitrice? Un trio indissolubile e inseparabile costituito da due
punzoni, uno inferiore e uno superiore, e da una matrice. I punzoni servono a comprimere la polvere
che va ad adagiarsi all'interno della matrice. I punzoni determineranno la forma della compressa: se
vogliamo una compressa rotonda dobbiamo avere matrice e punzoni di forma tondeggiante. La
polvere viene caricata all'interno di una tramoggia di carico che attraverso un sistema chiamato
scarpa lascia cadere una frazione di polvere all'interno della camera di compressione. A questo
punto abbiamo il punzone inferiore fisso e la camera di compressione riempita, abbassiamo quindi
il punzone superiore incastrandolo nella camera di compressione avviando il ciclo di compressione.
Se la polvere non ha buone proprietà di flusso la camera potrebbe non riempirsi sempre nello stesso
modo, ciò comporta l'ottenimento di prodotti finali con pesi diversi. Devono esserci quindi buone
proprietà di flusso (flow) e assestamento (packing).
Compressione. Riduzione del volume apparente del letto di polvere e formazione di un
agglomerato. Il punzone si abbassa compattando la polvere e riducendo il volume occupato dalla
polvere. Ora tra i due punzoni abbiamo un compatto solido. In questa fase intervengono i leganti
che inducono deformazione e coesione delle singole particelle o dei granuli. In teoria ora tra i due
punzoni potremmo avere la compressa formata, ma ciò dipende dalla natura delle deformazioni. Se
la deformazione è elastica, nel momento in cui il punzone si solleva le particelle tendono a
recuperare la posizione originale. Se la deformazione è di tipo plastico anche se togliamo la
pressione esercitata dal punzone superiore, quel che rimane nella camera di compressione è un
compatto solido.
Espulsione. Recupero del compatto dalla matrice. Il punzone superiore si alza e
contemporaneamente si alza anche il punzone inferiore portandosi a livello della matrice in modo
da permettere al compatto solido di essere espulso dalla macchina comprimitrice. La scarpa ora si
muove per caricare un nuovo quantitativo di polvere nella camera di compressione, e mentre si
muove fa scivolare via la "compressa" verso uno scivolo. La compressa può però rimanere
appiccicata a uno dei due punzoni o alle pareti, quindi dobbiamo aver inserito nella formulazione
degli antiaderenti (sostanze che evitano che il compatto solido appena formato rimanga attaccato
alle pareti dell'apparecchiatura) e dobbiamo aver lubrificato i punti in cui si verifica contatto tra
compatto e apparecchiatura. Se abbiamo fatto tutto ciò in modo giusto estraiamo dalla macchina
comprimitrice una compressa perfetta.
La compressione diretta può essere applicata solo quando la polvere presenta buone proprietà di
flusso, densità elevata al versamento, scarsa friabilità, buone proprietà coesive e non adesiva.
Vantaggi: semplice, veloce e poco costoso. Formulazione per compressione diretta: principio attivo
ed eccipienti, ma solo quelli che si prestano a questo tipo di processo. Tra i diluenti il lattosio spray-
dried (Flow-Lac), il lattosio agglomerato (Tablettose), la cellulosa microcristallina (Avicel), il calcio
fosfato monobasico, il mannitolo, il sorbitolo e lo xilitolo; poi disgreganti, lubrificanti e glidanti.
10 – 27 Ottobre 2011
Le compresse devono garantire rilascio del principio attivo, garantire accuratezza e uniformità di
dosaggio del principio attivo, essere stabili dal punto di vista fisico e chimico e essere ben accettate
dal paziente (colore, sapore, odore, dimensioni).
Requisiti da soddisfare secondo Farmacopea, che contiene una sezione apposita per i saggi da
effettuare sulle compresse:
Uniformità di massa
• Uniformità di contenuto
• Resistenza alla rottura
• Friabilità
• Tempo di disgregazione
• Velocità di dissoluzione
•
La maggior parte di questi saggi saranno messi in pratica nel laboratorio del secondo semestre.
Uniformità di massa. Le compresse devono contenere una precisa percentuale (p/p) di prncipio
attivo. La valutazione dell'uniformità di peso può essere indicativa dell'uniformità di contenuto in
principio attivo solo se:
la dose di principio attivo è elevata
– il principio attivo è uniformemente distribuito nella miscela di polveri o nel granulato di
– partenza
le compresse non presentano rivestimento zuccherino (perché la variabilità di peso potrebbe
– dipendere non da quello che c'è sotto al rivestimento)
Se il principio attivo è uniformemente distribuito nella miscela di polvere possiamo sostituire il
saggio di uniformità di contenuto con quello di uniformità di massa.
La farmacopea dice che il saggio di uniformità di massa delle forme farmaceutiche a dose unica
prevede di prelevare dal lotto 20 unità (anche se il lotto è costituito da 1000, 10000 unità), queste
vanno pesate singolarmente e registriamo il peso di ciascuna compressa; a questo punto abbiamo i
20 pesi e determiniamo il peso medio; possiamo considerare accettabile secondo quanto previsto
dalla Farmacopea se al massimo 2 unità delle 20 pesate presentano un peso che fuoriesce da un
limite stabilito andando a guardare una tabella che è sempre riportata in Farmacopea in base al
valore di peso medio che abbiamo ricavato e alla deviazione percentuale.
[Supponiamo che il peso medio sia 100 mg, in base alle tabelle la deviazione percentuale è del
7,5%, a cosa ci serve? A stabilire un range di peso, calcolando il 7,5% del peso medio che è 7,5 g;
facciamo ora il peso medio più il 7,5% del suo valore (107,5) e il peso medio meno il suo 7,5%
(92,5): questi sono i due limiti dell'intervallo di pesi. Queste 20 unità devono avere un peso
compreso tra 92,5 mg e 107,5 mg; se tutte le 20 unità rientrano nel range il lotto è accettato,
altrimenti se una unità è fuori dai limiti il lotto è accettato comunque, con due unità è altrettanto
accettato (non più di due unità), ma nessuna unità deve avere un peso che va oltre un secondo
limite (più ampio) calcolando facendo peso medio + o – due volte la deviazione percentuale (85 mg
– 115 mg). A questo punto il lotto è accettato, se il lotto non è conforme non possiamo farci niente,
è da buttare.]
Uniformità di contenuto. Al posto di questo può essere fatto il saggio di uniformità di massa in
alcune occasioni, ma non quando il farmaco è molto potente e la dose veicolata è quindi molto
bassa, il peso della compressa è inferiore a 40 mg e le compresse presentano rivestimento
zuccherino. Come si effettua il saggio? Il principio è andare a determinare da un punto di vista
sperimentale la quantità di farmaco presente all'interno delle compresse. Dal punto di vista pratico
dobbiamo portare in soluzione completamente la compressa e andare a determinare quanto farmaco
c'è. Abbiamo un compressa che contiene in teoria 100 mg di farmaco e supponiamo che abbia un
peso complessiamo di 500 mg. Il saggio si fa su 10 unità prelevate dal lotto, si pesano (tutte
insieme) e poi si cerca di portare in soluzione tutto il farmaco contenuto nel sistema di dosaggio
(dobbiamo quindi trovare un solvente in grado di sciogliere il farmaco). Ora si seleziona un metodo
analitico adeguato per quantificare il farmaco che c'è nella nostra soluzione. Se il farmaco in teoria
sulla carta rappresenta il 20% in peso della formulazione, nell'analisi dobbiamo ritrovare il 20%. Si
considera accettato il lotto se un contenuto è <85% o >115% e nessun contenuto <75% o >125%.
Resistenza alla rottura. La compressa deve avere una certa resistenza meccanica per sopportare le
sollecitazioni a cui viene sottoposta in fase di confezionamento e stoccaggio. Fattori che
influenzano la resistenza meccanica sono:
tipo e quantità di legante
• quantità di lubrificante
• proprietà coesive dei componenti
• forza di compressione utilizzata (regolata dall'operatore: maggiore è la forza di
• compressione operata dai punzoni, più resistenti saranno le compresse)
Il saggio permette di misurare la forza necessaria per rompere una compressa appartenente a un
determinato lotto. Come si effettua? Porre la compressa tra le ganasce, tenendo conto, quanto
possibile, della forma, della linea di frattura e della scritta per incisione; per ogni determinazione
orientare la compressa nello stesso modo rispetto alla direzione di applicazione della forza.
Effettuare la misura su dieci compresse, avendo cura che tutti i frammenti delle compresse siano
stati rimossi prima di ogni determinazione. I risultati si esprimono come valori medi, minimi e
massimi delle forze misurate, in newton. Indicare il tipo di apparecchio e, se del caso,
l'orientamento delle compresse [Farmacopea, 2.9.8]. Registriamo il valore di forza nel momento in
cui la compressa si spazza, per rottura si intende la compressa che si spacca in due pezzi.
Calcoliamo il valore di forza medio, il valore di forza massimo e il valore di forza minimo: questi
tre valori devono essere vicini tra di loro per essere accettati in modo che il lotto sia uniforme.
Come faccio a regolare la resistenza alla rottura di una compressa? Come posso intervenire da un
punto di vista tecnologico/formulativo? Stabilendo i parametri elencati sopra.
Cosa influenza la durezza di una compressa? La diversa velocità di disgregazione e di dissoluzione.
Se è incline alla rottura significa che le particelle iniziali della polvere sono state molto schiacciate e
sono tutte vicine, quindi c'è poco spazio per il solvente ad entrare all'interno del compatto. Perché la
Farmacopea non stabilisce un limite di forza per considerare accettabile il lotto? Perché per esempio
se dobbiamo fare una compressa masticabile questa non può essere di cemento, una compressa
effervescente si spacca praticamente subito; cambia il tipo di compressa, non è possibile stabilire un
limite che vada bene per tutte.
Friabilità. Indicativa della resistenza della compressa a movimenti di rotolamento e urto. E' diverso
dalla resistenza alla rottura, perché qui andiamo a vedere quanto è friabile. Si utilizza il
friabilometro di Rosch, costituito da un disco di plexiglas al cui interno è agganciato un setto;
questo disco viene collegato ad un motore che permette la rotazione del disco (tipo ruota del
criceto); all'interno del disco sono posizionate le compresse, queste vengono portate in alto e poi
cadono: se le compresse sono friabili nella caduta perdono polvere, se non lo sono rimangono
integre. Il saggio si fa su un numero di compresse non ben identificato (dobbiamo prendere il lotto e
prenderne un'unità, verificare quanto questa pesa; se le compresse hanno una massa inferiore o
uguale a 650 mg dobbiamo prelevare un numero di unità che permetta di avere una massa
complessiva di 6,5 g; se le compresse pesano più di 650 mg prendiamo 10 unità); prelevate le unità
le depolveriamo (eliminiamo dalla superficie delle compresse eventuale polverina adsorbita o con
un pennello o con un getto d'aria compressa) e le pesiamo tutte insieme avendo il peso iniziale della
nostra massa; introduciamo le compresse all'interno del friabilometro, agganciamo il disco al
motore e avviamo lo strumento; facciamo ruotare lo strumento 100 volte, generalmente hanno una
velocità di rotazione di 25rpm (quindi il test dura 4 minuti); una volta trascorso il tempo previsto
recuperiamo le compresse e le guardiamo: se qualcuna delle unità è rotta il lotto è da buttare, se non
si sono rotte le depolveriamo nuovamente e le ripesiamo (tutte insieme); a questo punto calcoliamo
·
la percentuale di friabilità facendo [(peso iniziale - peso finale) / peso iniziale] 100; il lotto è
accettato se la friabilità è inferiore all'1%.
Tempo di disgregazione. Importante per le compresse a rilascio immediato. La compressa
rompendosi in granuli o aggregati e poi in particelle fini permette un aumento dell'area di contatto
tra fluido fisiologico e solido, un più rapido passaggio in soluzione del principio attivo e di
conseguenza una più rapida insorgenza dell'effetto terapeutico. Come si esegue il test? Si stabilisce
se le compresse disgregano entro un tempo prestabilito dalla Farmacopea. C'è differenza tra
disgregazione e dissoluzione: in questo test per disgregazione non dobbiamo arrivare ad avere una
soluzione limpida, ma dobbiamo solo verificare il tempo necessario affinché il compatto solido non
risulti più così nel complesso che stiamo utilizzando. Si utilizza il disgregatore composto da un
bagno termostatato che contiene acqua in cui viene posizionato un contenitore (o due se il sistema è
grande), tipo un baker, in cui viene inserito il fluido di disgregazione; all'interno del baker è
presente un cestello, costituito da 6 cilindri, chiuso all'estremità inferiore da una griglia: ogni
cilindro è l'alloggiamento per una compressa, che si muove all'interno del baker, il cestello è dotato
di un'asta che gli permette di essere collegata all'apparecchiatura e consente al cestello di muoversi
all'interno del fluido di disgregazione con un movimento ritmico (immergo ed estraggo, immergo ed
estraggo); il movimento del cestello simula la peristalsi intestinale, il fluido di disgregazione è
generalmente l'acqua, la temperatura è di 37°C e per un tempo di 15-30 minuti. Si selezionano 6
unità del lotto, si seleziona il mezzo (il fluido di disgregazione che generalmente è acqua ma non
sempre) di 900 ml e lo si inserisce all'interno del baker, le 6 unità vengono caricate nel cestello che
all'inizio non vengono a contatto con il fluido di disgregazione; si aziona l'apparecchiatura e un
cronometro, il cestello si muove e guardiamo le compresse dentro ai tubi; stoppiamo l'apparecchio
quando le compresse sono disgregate, quando non vediamo più un compatto solido; registriamo i
tempi di ogni singola compressa e ne facciamo una media. Compresse a rilascio immediato,
secondo Farmacopea, devono disgregare in un tempo che varia tra i 15 e i 30 minuti. Le nostre unità
devono avere anche tempi di disgregazione confrontabili.
Le condizioni sperimentali non sono uguali per qualsiasi tipo di compressa.
Test di disgregazione per compresse solubili e dispersibili. Fluido di disgregazione: acqua;
temperatura: 15-25° C; tempi: 3 minuti.
Test di disgregazione per compresse orosolubili. Fluido di disgregazione: acqua; temperatura: 37°C;
tempi: 3 minuti.
Testi di disgregazione per compresse effervescenti. Fluido: acqua; volume: 200 ml; temperatura: 15-
25° C; tempi: 5 minuti. Non si usa l'apparecchiatura prevista per le compresse ma si esegue il test in
un baker, perché la compressa salta/si muove, quindi nei tubi sarebbe costretta e non avrebbe un
comportamento reale.
Test di digregazione per compresse gastroresistenti. Fluido: HCl pH1,0 per 2 ore; fluido: tampone
fosfato pH 6,8; temperatura: 37° C; tempi: in acido non devono disgregare, in tampone devono
disgregare entro 60 minuti.
Fattori che influenzano la disgregazione: presenza di disgerganti, porosità della compressa e
bagnabilità. Una compressa porosa avrà un tempo di disgregazione ridotto, ma elevata friabilità e
poca resistenza alla rottura.
Velocità di dissoluzione. Importante per le compresse a rilascio controllato. Nelle compresse a
pronto rilascio il processo di dissoluzione è favorito dalla disgregazione in granuli o aggregati e poi
in particelle fini e dipende dalle caratteristiche intrinseche del principio attivo. Come si effettua il
saggio? L'apparecchiatura è più complicata: abbiamo un bagno termostatato che contiene dell'acqua
e che viene mantenuto a una temperatura di 37° C, al suo interno ci sono generalmente 6
alloggiamenti per 6 contenitori chiamati vessen (sono contenitori di forma cilindrica con fondo
emisferico della capacità di 1 L) [ndr: le apparecchiature devono essere conformi alla
Farmacopea] destinati a contenere il fluido di dissoluzione; il tutto è completato da un sistema di
agitazione che può essere di due tipi: a cestello costituito da un'asta metallica, che si collega
all'apparecchiatura e va a finire in un albero motore, che termina con un cestello di acciaio le cui
pareti sono ricoperte da delle maglie, nel cestello viene messa la compressa; o a paletta in cui c'è
sempre l'asta metallica ma la sua parte terminale non è più collegata al cestello ma a una paletta, la
differenza è che nel sistema a cestello la compressa viene inserita nel cestello che ruota e fa ruotare
la compressa, nel sistema a paletta la compressa è nel vessel, la paletta smuove il fluido e la
compressa si muove all'interno del fluido. I sue sistemi sono diversi poiché in uno si muove il
cestello e il fluido di conseguenza e nell'altro di muove il fluido direttamente smosso dalla paletta. Il
cestello si usa quando c'è qualcosa che tende a galleggiare o al contrario si appiccica. Prima di
eseguire il test dobbiamo stabilire che fluido usare, il volume del fluido, il tipo di sistema di
agitazione e la velocità di agitazione. Il saggio si fa su un volume di fluido che varia tra i 500 e i
1000 mL, indipendentemente dal tipo di fluido. La velocità di rotazione varia tra i 50 e i 150 rpm e
la maggior parte dei casi si lavora a 100 rpm. 100 rpm in un sistema di agitazione a paletta non
corrispondono a 100 rpm in un sistema di agitazione a cestello. Procedura:
riempio i vessel (che sono 6 quindi con 6 unità prese dal lotto) con il fluido di dissoluzione
• porto la temperatura del fluido a 37°C
• introduco le compresse
• avvio l'agitazione
• ad intervalli di tempo prestabiliti da ciascun vessel eseguo prelievi del fluido di dissoluzione
• filtro l'aliquota di fluido prelevato (perché magari la compressa contiene degli eccipienti che
• sono insolubili)
determino la quantità di farmaco disciolta e ricavo la % di principio attivo liberata rispetto
• alla dose caricata
Alla fine del test per ogni vessel avrò un valore di % di farmaco presente in soluzione. Il test è finito
quando la % di farmaco liberata arriva al 100%. Questi dati li uso per costruire dei grafici (curve di
dissoluzione o profili di rilascio), riportando sull'asse delle x il tempo (tempi di prelievo) e su quello
delle y la percentuale di farmaco presente in soluzione a ciascun prelievo. Le curve che possiamo
ottenere sono infinite: diverse scale di tempi (minuti o ore); farmaci che vengono rilasciati subito
quindi con picco immediato e farmaci che rilasciano piano quindi con andamento di sistema a
rilascio controllato.
Il fluido di dissoluzione quando si può è acqua ma non sempre è la cosa migliore. Generalmente si
utilizzano mezzi che vadano a simulare i mezzi presenti nell'organismo (HCl a pH 1 per simulare il
fluido del compartimento gastrico, questo pH può variare da 1 a 1,5 a seconda se ci sia presenza
anche di un sale; pH 4,5 che simula il primo transito dallo stomaco all'intestino; 6,8 tampone fosfato
che simula il pH del compartimento intestinale; pH 7,2/7,4 che simula il pH del colon).
11 – 28 Ottobre 2011
Altro metodo per fare il saggio sulla velocità di dissoluzione, cella a flusso continuo (da cercare
sui libri).
Test di dissoluzione per compresse gastroresistenti. Fluido di dissoluzione: Hcl pH 1,0 per 2 ore;
fluido di dissoluzione: tampone fosfato pH 6,8; temperatura: 37° C; tempi: in acido non devono
rilasciare il principio attivo, rilasciano il farmaco veicolato in tampone in tempi diversi in funzione
del tipo di formulazione. Per la Farmacopea di può accettare una compressa che in acido rilascia
non più del 10% del principio attivo.
COMPRESSE RIVESTITE. Le compresse possono essere rivestite da uno o più strati di sostanze
come resine naturali o sintetiche, gomme, ingredienti insolubili o inerti, zuccheri, sostanze
plastificanti, cere, polioli, coloranti. I motivi che spingono a rivestire una compressa sono vari:
mascherare caratteristiche organolettiche sgradevoli (odore, sapore, colore)
• migliorare aspetto (liscio, lucido, colorato)
• favorire la deglutizione
• proteggere il farmaco da degradazione chimica o chimico-fisica (luce, umidità, ossigeno)
• aumentare resistenza meccanica delle compresse
• conferire gastroresistenza
• avere rilascio controllato
• separare principi attivi incompatibili tra loro
•
Le compresse che devono essere rivestite devono avere dei requisiti particolari. La compressa nuda
viene chiamata nucleo. Quali requisiti devono avere i nuclei?
forma tondeggiante, senza spigoli vivi
• buona resistenza alla rottura
• porosità minima
• ridotta friabilità (< 1%)
•
Cosa si usa per rivestire?
Bassina. Recipiente in acciaio inox (con forma studiata ad hoc, come un fagiolo, bombata al punto
giusto) al cui interno vengono posti i nuclei da rivestire; sui nuclei, mantenuti in continuo
rotolamento attraverso la rotazione della bassina attorno al proprio asse, vengono spruzzate le
soluzioni/sospensioni di rivestimento. L'asse della bassina deve essere inclinato di 45° affinché il
processo sia efficace.
Letto fluido (visto già nel processo di granulazione) si può utilizzare anche come apparecchiatura
per rivestire le compresse.
Macchina comprimitrice.
Confettatura (sugar coating) quando il rivestimento è zuccherino. Filmatura (film coating)
quando il rivestimento è polimerico. Rivestimento a secco (dry coating) quando il rivestimento
viene fatto attraverso macchine comprimitrici.
Confettatura. Rivestimento dei nuclei con soluzioni zuccherine. I nuclei da rivestire vengono
bagnati con una soluzione acquosa di saccarosio ed altre sostanze; per effetto di aria calda il
solvente evapora e lascia sulle compresse un rivestimento duro, spesso e resistente (come nei
confetti). Eccipienti necessari:
agente di rivestimento (saccarosio, sorbitolo)
• solvente (acqua)
• diluenti (calcio carbonato, caolino, talco...)
• leganti (gomma arabica, derivati della cellulosa)
• coloranti
• lucidanti (cera d'api, cera carnauba)
•
E' un processo abbastanza lungo e laborioso, utilizzato oggi molto di rado. Quali sono le fasi?
1. Depolverizzazione. I nuclei vengono fatti rotolare in bassina con lo scopo di allontanare le
polveri che si formano a causa delle frizioni che si creano tra i nuclei e le pareti della bassina. 2.
Isolamento. Applicazione di sottilissima pellicola idrorepellente ottenuta per trattamento con
soluzioni di polimeri naturali o sintesi (gomma lacca, HPMC, cellulosa acetoftalato, polivinil
acetoftalato...) che isola il nucleo per evitarne l'imbibizione (processo attraverso cui la compressa
esposta ad una soluzione, capta l'acqua). 3. Ingrossamento. Viene applicata la maggior parte del
materiale di rivestimento generalmente sotto forma di soluzione acquosa zuccherina molto
concentrata; si eseguono diversi cicli e tra uno e l'alto vanno aggiunte polveri antiaderenti. Si
procede poi con un altro ciclo di spruzzatura del rivestimento. Fino a quando? Generalmente si
guardano e si fanno delle prove in peso. 4. Lisciatura. Si applica una soluzione sciropposa diluita
allo scopo di levigare e riempire le irregolarità della superficie della compressa. 5. Colorazione. E'
una fase più critica dell'intero processo e si effettua applicando a freddo soluzioni zuccherine diluite
contenenti il colorante. 6. Lucidatura. Serve per conferire ai confetti la tipica brillantezza; le
sostanze lucidanti (cera carnauba, cera d'api, paraffine) vengono applicate come soluzioni in
solventi organici (cloruro di metilene, etanolo, cloroformio acetone) in particolari bassine rivestite
internamente di tessuto. Ora dobbiamo mettere i nuclei ad asciugare per favorire l'essiccamento del
rivestimento; generalmente si mettono in stufa. Svantaggi: tempi di lavoro molto lunghi, processo
difficilmente automatizzabile, notevole incremento di peso dei nuclei, limitazioni sul peso iniziale
dei nuclei.
Filmatura. Deposizione di una membrana polimerica uniforme e sottile (20-100 μm) sulla
superficie dei nuclei. La soluzione polimerica di rivestimento viene aromatizzata sui nuclei in
movimento; le goccioline aderiscono alla superficie del nucleo, si spandono e confluiscono
formano, per coalescenza, un sottile film di rivestimento, da cui il solvente evapora rapidamente. Il
metodo è più o meno lo stesso ma il numero di step è molto diminuito. Vantaggi: processo rapido,
processo facilmente automatizzabile, ridotto incremento di peso dei nuclei, possibilità di conferire
particolari caratteristiche di rilascio alla compressa. Materiali utilizzati. Agente filmogeno:
polimeri (idrossipropilmetilcellulosa, idrossipropilcellulosa, polivinilpirrolidone, sodio
carbossimetilcellulosa, PEG, cellulosa acetoftalato, copolimeri metilmetacrilato-acido metacrilico),
cere (cera carnauba), grassi (alcool etilico, alcool stearilico); solventi: acqua, etanolo, metanolo,
isopropanolo, acetone, acetato di etile; plasticizzanti: rendono il film più flessibile e resistente
(glicerina, propilenglicole, PEG, olio di ricino idrogenato); coloranti; opacizzanti: titanio biossido.
Difetti del film. Sticking: adesione di due compresse tra loro, avviene quando la velocità di spruzzo
della soluzione di rivestimento è troppo elevata rispetto alla velocità di essiccamento. Rugosità: il
film non è omogeneo, avviene quando la velocità di spruzzo è troppo lento rispetto alla velocità di
essiccamento. Rottura del film: dovuto a carenza di plasticizzante o a essiccamento troppo veloce.
Rivestimento a secco. Si applica un rivestimento a secco per compressione, utilizzando particolari
macchine comprimitrici totative. E' un processo piuttosto complesso e molto costoso, non utilizzato
con particolare frequenza. Utilizzato per: separare principi attivi incompatibili tra loro
(veicolandone uno nel nucleo e l'altro nel rivestimento); veicolare tue principi attivi che vengono
rilasciati in due momenti diversi (es. gastro-protettore nel rivestimento e principio attivo gastro-
lesivo nel nucleo). Dobbiamo avere a disposizione due macchine comprimitrici, una per i nuclei e
una per il rivestimento. Una volta allestiti i nuclei mettiamo insieme la miscela di polveri che va a
costituire il rivestimento, carichiamo nella matrice una quantità di polvere che stavolta non coincide
con l'intera totalità di polvere necessaria per completare il rivestimento, ma soltanto metà; su questo
letto di polvere carichiamo il nucleo in maniera precisa, esattamente centrato all'interno della
matrice; sottoponiamo nucleo e primo strato di rivestimento a una leggera compressione; poi il
punzone superiore si alza e carichiamo il secondo quantitativo di miscela di rivestimento,
comprimiamo e abbiamo ottenuyo una compressa rivestita con nella parte centrale il nucleo e
attorno la miscela di rivestimento; il processo è abbastanza laborioso, molto costoso (a causa dei
macchinari) e non è così semplice ottenere come risultato un lotto omogeneo.
CAPSULE
Definizione secondo Farmacopea: preparazione solide con involucri di consistenza dura o molle, di
varie forme e capacità, contenenti usualmente una dose unica di principio attivo, destinate a
somministrazione orale. L'involucro è costituito fondamentalmente da gelatina, completano la
composizione l'acqua, dei plasticizzanti (glicerolo, sorbitolo, glicole propilenico), dei coloranti
(solubili, naturali e di sintesi, pigmenti insolubili), degli opacizzanti (ossido di titanio) o dei
conservanti (parabeni, anidride solforosa).
Gelatina: elemento fondamentale e presente in maggiore quantità negli involucri delle capsule, si
ottiene per idrolisi parziale, acida o basica, del collagene maggior costituente del tessuto connettivo
animale; allo stato secco si presenta come una sostanza vetrosa, friabile, leggermente ambrata o
giallastra. Vantaggi: non tossica, uso alimentare, buona accettabilità; solubile nei fluidi biologici a
temperatura corporea; buona capacità di formare film; soluzioni concentrate (40% p/v) sono fluide a
50° C. Ultimamente è stata rimpiazzata da qualche polimero perché si pensava avesse qualche
correlazione con il morbo della mucca pazza. Rimpiazzata per esempio
dall'idrossipropilmetilcellulosa, che si usa per ottenere involucri a basso contenuto di umidità
(l'inconveniente della gelatina è che in acqua si scioglie, quindi se dobbiamo veicolare all'interno
delle capsule una soluzione, questa non può essere acquosa).
Plasticizzanti: gliceraldeide, polialcoli, gomme naturali, zuccheri. Riducono la rigidità della
gelatina legando molecole di acqua e rendendo flessibile il rivestimento. Presenti in maggior
quantità nelle capsule molli.
Coloranti. Possono essere solubili (eritrosina, giallo chinolina...), insolubili o pigmenti (ossidi di
ferro). Il colore può essere utilizzato dal produttore per distinguersi e per distinguere formulazioni
diverse (diversi dosaggi e/o diversi principi attivi). Il colore svolge un ruolo importante in terapia. A
differenza delle compresse per le capsule di usano colori anche un po' più sgargianti.
Opacizzanti. Si usa biossido di titanio. Le capsule così risultano colorate ma anche opache, in
questo moto è possibile anche la somministrazione di granulati o solidi che non hanno un
bell'aspetto.
Acqua. Calda e demineralizzata è utilizzata nella preparazione della soluzione di gelatina usata per
produrre capsule. Si prepara una soluzione al 30-40% in appositi contenitori, applicando
eventualmente il vuoto per dearearla. Il contenuto finale di acqua nelle capsule rigide si aggira sul
13-16% mentre nelle capsule molli sul 5-8%. E' acqua legata alla gelatina pertanto non consente ai
microrganismi di crescere.
CONTENUTO: uno o più principi attivi con o senza eccipienti (solventi, diluenti, lubrificanti,
disgreganti consistenza solida, liquida [non acquosa altrimenti scioglie il nucleo] o pastosa). Cosa si
può inserire all'interno di una capsula di gelatina dura? Una polvere, granuli, beads (sistemi solidi
avanzati che sono agglomerati con forma tondeggiante, qualcosa in più di un granulato come
dimensione), capsule, compresse, liquidi (non acquosi, sigillare la capsula in maniera ermetica),
paste.
Capsule di gelatina dura. Vantaggi: compliance, insapore, compatte e trasportabili, facile
somministrazione, possono veicolare uno o più principi attivi, molto usate nei clinical trials,
biodisponibilità generalmente buona. Limiti: non adatte per principi attivi igroscopici, non adatte
per principi attivi deliquescenti, non adatte per principi attivi efflorescenti, costo involucro un po'
elevato (poiché prodotto separatamente), adesività all'esofago.
La velocità di dissoluzione del principio attivo veicolato in una capsula dipende da: velocità di
dissoluzione dell'involucro (che è generalmente molto rapida); velocità di penetrazione del fluido
gastrointestinale nella massa incapsulata; velocità di dispersione della massa nel fluido
gastrointestinale; velocità di dissoluzione del farmaco. Tutto ciò è influenzato dalla presenza di
eccipienti nella formulazione e dalla loro natura.
Se all'interno di una capsula abbiamo sostanze idrofobe, l'involucro si solubilizza e quello che c'è
all'interno siccome è idrofobo ha una scarsa affinità con i fluidi gastrointestinali, quindi il fluido ci
metterà più tempo a bagnare le particelle di polvere e il farmaco ci metterà più tempo a passare in
soluzione. Se invece ho una formulazione con sostanze idrofobo e eccipienti idrofili, l'involucro si
solubilizza, il fluido penetra all'interno della massa, la porzione idrofila si scioglie e crea spazio per
il passaggio di nuovo fluido e fa sì che la porzione idrofoba venga bagnata più velocemente.
Eccipienti. Diluenti: lattosio, cellulosa microcristallina, amico. Lubrificanti: necessari nel caso del
riempimento con dosatore, per l'espulsione del compatto dal cilindro ed evitare l'adesione al metallo
(magnesio stearato). Glidanti: favoriscono lo scorrimento (silice colloidale). Disgreganti: necessari
quando nella capsula sono veicolati compatti. Tensioattivi: favoriscono la bagnabilità del compatto
(sodio laurilsolfato). Tra la formulazione di una compressa e la formulazione di una capsula
troviamo delle differenze: capsule (principio attivo, diluente, lubrificante) compresse (principio
attivo, diluenti, legante, disgregante, lubrificante, glidante, antiaderente, colorante). Le capsule
rigide hanno involucri costituiti da due sezioni cilindriche preformate (corpo e testa), un'estremità
delle quali è arrotondata e chiusa, l'altra è aperta. 12 – 3 Novembre 2011
L'estremità aperta serve per infilare il corpo nella testa.
Per evitare apertura indesiderata dalle capsule si usano capsule a chiusura meccanica. Corpo e testa
hanno delle scanalature autobloccanti che si incastrano l'una nell'altra dopo la chiusura (Snap-Fit)
ed assicurano una sufficiente tenuta. Ci sono due livelli di bloccaggio, il primo che permette la
riapertura della capsula e il secondo che chiude definitivamente la capsula senza permetterne
l'apertura senza rottura della stessa. Abbiamo a disposizione una serie di capsule diverse a partire
dallo 000 (1,35 ml) che è la capsula più grande fino alla 5 (0,15 ml) che è la capsula più piccola.
Questi involucri possono essere trasparenti, colorati o incolori e opache (mono e bicolori).
Scegliamo un differente coloro o opacità a seconda del principio attivo che deve essere contenuto.
Come si preparano le capsule di gelatina dura? (www.rjengineering.com)
si prepara un bagno di gelatina calda all'interno del quale vengono immersi dei perni che hanno la
forma di metà capsula, quando i perni vengono estratti la gelatina rimane attaccata ai perni.
Preparazione di una soluzione concentrata di gelatina (35-40%) in acqua calda
– demineralizzata. Non è gelatina fusa, è una soluzione molto densa e viscosa.
Aggiunta degli eccipienti: coloranti, plasticizzanti, opacizzanti e conservanti. All'interno di
– grossi serbatoi vengono conservate queste soluzioni; si lavora a temperature di 50-60° C.
Produzione delle capsule. Perni di metallo, con la forma e la capacità delle capsule che si
– vogliono produrre, sono immersi nella soluzione di gelatina operando a 50-60°C. I perni
sono mantenuti a circa 22° C, perché nel momento in cui la gelatina viene a contatto con il
perno che è più freddo, questa tende ad indurirsi e formare un film. I perni sono sollevati e
subiscono una leggera rotazione, per permettere una uniforme distribuzione del film di
gelatina, ancora fluido.
Essiccamento. I perni sono passati in stufe a circolazione d'aria ad una certa umidità.
– L'essiccamento avviene per deumidificazione.
Estrazione dagli stampi in maniera meccanica.
– Taglio. Vengono tagliati gli involucri da delle lame; la gelatina in eccesso viene recuperata.
– Assemblaggio. Accoppiamento testa-corpo in modo da avere involucri chiusi ma non
– sigillati definitivamente.
Recupero capsule vuote.
– Controlli, dimensioni, contenuto di umidità, spessore dell'involucro e colore.
–
Il contenuto delle capsule può essere: solido (polveri, granulati, pellets, compresse), semisolido
(paste) o liquido (non acquoso).
Limitazioni relative al riempimento delle capsule: volume, sostanze che non reagiscono con la
gelatina, basso contenuto di acqua libera.
Come si riempie una capsula? Ovviamente lo riempimento viene fatto un lotto alla volta.
1. Orientamento ed apertura. L'operatore ha i guanti, le capsule non si toccano mai con le mani
perché il paziente poi le mette in bocca.
2. Apertura delle capsule. Le teste vengono separate dai corpi.
3. Riempimento. Le capsule nel loro supporto vengono abbassate in maniera da avere tanti
buchini sotto a ognuno dei quali c'è una capsula; su questa superficie si rovescia la polvere e
si "spatola" affinché per gravità tutte le capsule si riempiano. Se avanza della polvere sul
piano non la si butta, perché secondo i calcoli tutta la polvere deve essere contenuta nei
corpi delle capsule; si applica un po' di pressione affinché si riducano gli spazi vuoti tra le
particelle in modo da distribuire nelle capsule anche la polvere inizialmente avanzata.
4. Chiusura. Si recupera il supporto su cui sono ancorate le teste e per pressione schiacciamo i
corpi nelle teste. Quando solleviamo il vassoietto superiore troviamo le capsule chiuse su
quello inferiore.
5. Espulsione
Il riempimento delle capsule può essere:
diretto: tecnica di riempimento che usa il corpo della capsula come camera volumetrica per
• misurare la quantità di polvere da caricare;
indiretto: tecnica di riempimento che misura la quantità di polvere da caricare in una
• camera indipendente dal corpo della capsula.
Qualunque sia la modalità di riempimento adottata, questa deve garantire un dosaggio di principio
attivo uniforme in ogni capsula.
Metodi diretti. Riempimento a sfioramento. Viene riempito tutto il volume del corpo; il
riempimento dipende da: volume del corpo, densità in bulk del materiale; la regolarità del
riempimento dipende dalle proprietà di scorrimento della polvere. Riempimento a coclea. Una vita
senza fine agevola l'ingresso della polvere nel corpo della capsula; permette di dosare
accuratamente il peso del contenuto della capsula; adatto per polveri poco scorrevoli. Rispetto al
caso precedente riusciamo a dosare in maniera precisa il peso del contenuto della capsula.
Metodi semplici, poco costosi, ma con qualche inconveniente. Vantaggi: permettono la produzione
di piccoli lotti. Svantaggi: uniformità di peso non soddisfacente; capsule molto impolverate che
necessitano di essere depolverate; volume della miscela troppo grande da richiedere pre-
compressione.
Metodi indiretti. Riempimento per compressione. La polvere o il granulato vengono compressi
in porzioni e in tempi successivi, dando luogo alla formazione di un cilindretto compatto che viene
poi inserito nel corpo della capsula.
Riempimento delle capsule con granuli. Il riempimento delle capsule con granulati è oggi frequente:
granuli a cessione controllata o cronoidi. Le operazioni di riempimento dovranno essere tali da non
frantumare i granuli né incrinare il loro eventuale rivestimento. I metodi possono essere diretti o
indiretti.
Riempimento con forme farmaceutiche solide. Il riempimento delle capsule con forme
farmaceutiche solide (compresse, confetti, ecc...) permette di superare l'incompatibilità tra farmaci e
garantire il rilascio controllato del principio attivo. Requisiti delle forme farmaceutiche solide da
inserire nelle capsule: resistenza all'abrasione; ridotta friabilità; rivestite; dimensioni e forma
appropriate.
Riempimento delle capsule con sostanze liquide. Richiede una pompa di dosaggio per liquidi.
Dosaggio molto preciso (variazioni in peso inferiori a 1%). Il materiale di riempimento deve essere
tale da non intaccare o rigonfiare la gelatina. Non si possono usare soluzioni acquose o
idroalcooliche, ma si usano oli, soluzioni oleose, paste.
CAPSULE DI GELATINA MOLLE. Prodotte in un unico step, l'azienda farmaceutica produce
contemporaneamente involucro e riempimento. Le capsule molli sono generalmente formate,
riempite, saldate in un'unica operazione. Il materiale dell'involucro può contenere un farmaco.
Sostanze liquide possono essere introdotte direttamente. I solidi sono generalmente disciolti o
dispersi in un veicolo adatto a dare una soluzione o una dispersione di consistenza pastosa.
Varietà di forma e dimensioni
• Spesso riempite con liquidi o miscele di liquidi
• Non possono essere preparate in farmacia
• Somministrazione orale, rettale, vaginale
•
Involucri più spessi di quelli delle capsule dure. Costituiti da un'unica parte. Dosaggio accurato.
Protezione del principio attivo. Aumentata velocità di assorbimento. Biodisponibilità elevata:
involucro solubile, principio attivo in soluzione. Alti costi di produzione.
Contenuto. I liquidi/semisolidi destinati al riempimento delle capsule molli:
non devono essere acquosi
• possono essere oli o idrocarburi liquidi (lipofili) o liquidi idrofili (PEG 400)
• possono essere sospensioni (con polveri micronizzate)
• possono essere emulsioni ma senza fase acquosa (sistemi autoemulsionanti)
• devono avere viscosità tale da scorrere facilmente alla temperatura di 35-45°C
•
Con le capsule molli aumenta il picco massimo di concentrazione plasmatica, oltre che ad avere
tempi di raggiungimento dello stesso picco molto più veloci.
Come si preparano? Si utilizza un metodo di preparazione chiamato Scherer. Nell'apparecchiatura
abbiamo due cilindri antirotanti sulla cui superficie sono presenti degli incavi; questi hanno la forma
di mezza capsula. Al centro, tra i due cilindri, è posizionato un serbatoio che contiene il contenuto
della capsula che finisce con una siringa dosatrice.
Due nastri su cui viene fatta scorrere gelatina calda alimentano la macchina; quando la gelatina
arriv ain prossimità della punta della siringa, questa lascia cadere il quantitativo di farmaco che va a
costituire il contenuto; questa goccia spinge la gelatina e la fa espandere all'interno dell'incavo; si
forma la capsula e successivamente alla rotazione dei due cilindri, la gelatina viene pressata e la
capsula viene sigillata. La capsula cade all'interno di un bagno, di un tunnel che ha la funzione di
indurire il preparato.
Preparazione di capsule molli con processo a goccia. Consente solo la produzione di perle, cioè di
capsule sferiche, contenenti liquidi aventi una certa densità, e non richiede stampi.
L'apparecchiatura consiste in pratica di due tubi concentrici: in quello esterno scorre la gelatina
liquefatta, in quello interno la soluzione da incapsulare. All'uscita dal tubo, a causa della tensione
superficiale, la gelatina fluida tende a raccogliersi in gocce sferiche contenenti all'interno la
soluzione. Le gocce cadono in un bagno di paraffina liquida calda (3-4°C) dove si induriscono.
Nel primo serbatoio viene caricata la soluzione di gelatina, nel secondo il preparato liquido che
contiene il nostro farmaco. Alla base del secondo serbatoio è presente un iniettore dosatore. Il
primo serbatoio ha un'apertura alla base che lascia cadere una goccia di materiale mentre lo
stesso fa il secondo; poi paraffina liquida o azoto liquido raffreddano la capsula.
Controlli:
Uniformità di massa
• Uniformità di contenuto in principio attivo
• Dissoluzione
• Disgregazione
•
Uniformità di massa. Pesare una capsula integra. Aprire la capsula senza perdere alcuna parte
dell'involucro e prelevare il contenuto il più quantitativamente possibile. Per capsule molli, lavare
l'involucro con etere o altro adatto solvente e lasciare a riposo finché l'odore del solvente non è più
percettibile. Pesare l'involucro. La massa dei contenuti è data dalla differenza fra le pesate. Ripetere
il pocedimento con altre diciannove capsule.
Uniformità di contenuto in principio attivo. Esattamente come per le compresse.
Disgregazione. Apparecchiatura e saggio come nelle compresse. Andiamo a verificare il tempo di
disgregazione dell'involucro.
MICROPARTICELLE. La microincapsulazione è un processo tecnologico mediante il quale
materiali solidi, liquidi e talvolta gassosi vengono rivestiti o intrappolati all'interno di un altro
materiale o miscela di materiali sotto forma di particelle sferiche di dimensioni microscopiche.
Forma regolare, dimensioni molto molto piccole.
Tecnica che permette di incorporare uno o più principi attivi, da soli o in combinazione con uno o
più eccipienti, in un rivestimento continuo. Il rivestimento può essere costituito da: polimeri
naturali o sintetici (gomma arabica, amido, PVP, carbossimetilcellulosa, alginati, etilcellulosa,
PEG...), grassi (acido stearico, acido palmitico, alcool cetostearilico...), cere (cera carnauba...).
Gli eccipienti che vengono impiegati devono avere: buon potere coprente, buona adesività, buona
elasticità, buona stabilità chimico-fisica, adeguata resistenza agli stress meccanici.
Si ricorre all'impiego di microparticelle quando il farmaco presenta:
basso indice terapeutico
• bassa o troppo elevata solubilità
• ridotta biodisponibilità
• assorbimento aspecifico
• elevato binding alle proteine seriche
• scarsa stabilità in vivo
• scarsa stabilità chimicamente
•
La formulazione è completata da:
colloidi protettori per favorire la formazione di particelle con contorni regolari ed evitare la
– formazione di grossi agglomerati
additivi per modificare la permeabilità, la porosità e la plasticità del rivestimento
– 13 – 4 Novembre 2011
Scopi della microincapsulazione:
Mascherare odori e sapori sgradevoli
• Rilascio controllato
• Ridurre problemi di irritazione gastrointestinale
• Separare farmaci incompatibili
• Protezione da ossidazione e umidità
• Convertire liquidi in pseudosolidi
• Ridurre la volatilità
•
Forme farmaceutiche a unità multipla (multiple-unit dosage forms). Offrono vantaggi per quel
che riguarda efficacia e sicurezza del preparato. Riducono rischio di dose-dumping (effetto
indesiderato: assumiamo 100 mg di farmaco, se la compressa è a rilascio controllato deve liberare
gradualmente nel tempo la dose di principio attivo, ma se la compressa si rompe o c'è qualche
problema tutta la dose viene liberata contemporaneamente; con questo sistema se una particella si
rompe non diventa un grosso problema, perché una non contiene tutta la dose di attivo ma solo una
piccola porzione). Garantiscono distribuzione più omogenea lungo il tratto gastrointestinale
(transitano dallo stomaco all'intestino in tempi più brevi). Riduzione variazioni inter e intra-
individuali delle curve plasmatiche.
Microcapsule. Il farmaco è incapsulato nel nucleo centrale poi rivestito da un guscio che controlla,
determina e regola il rilascio del farmaco stesso. Sezionata a metà individuiamo principio attivo
(nucleo) e rivestimento esterno.
Microsfere. Il farmaco è omogeneamente disperso negli eccipienti, ma agli occhi si presenta nello
stesso modo. Sezionata non riusciamo a distinguere il farmaco dagli eccipienti.
Tecniche di microincapsulazione.
Coacervazione
• Evaporazione del solvente
• Polimerizzazione
• Rivestimento in bassina
• Rivestimento in letto fluido
• Spray drying (a livello industriale)
• Spray congealing ( a livello industriale)
•
La scelta del metodo dipende dalla natura del materiale di rivestimento, dalle caratteristiche del
principio attivo e dall'utilizzo del sistema microparticellare.
COACERVAZIONE. E' la separazione di un polimero allo stato liquido da una soluzione. Si
formano due fasi: una ricca di colloide (coacervato) e l'altra povera di colloide (liquido di
equilibrio). Prepariamo una soluzione che contiene il polimero che andrà a costituire il
rivestimento, a questa soluzione si aggiunge il farmaco che rimarrà in sospensione.
Dispersione della sostanza da incapsulare nella soluzione del polimero
– Separazione e deposizione sul nucleo di una fase ricca di materiale di rivestimento
– attraverso: cambiamento di temperatura; addizione di un sale; addizione di un non solvente;
addizione di un polimero non compatibile; interazione polimero-polimero
Solidificazione del coacervato
–
POLIMERIZZAZIONE ALL'INTERFACCIA. Si formano microcapsule in seguito a reazione di
polimerizzazione di un monomero o di una miscela di monomeri all'interfaccia tra due fasi
immiscibili tra loro. Si prendono due fasi immiscibili tra di loro (fase acquosa e fase organica), nella
fase acquosa si va a solubilizzare il monomero A; aggiungiamo la fase organica; le agitiamo e
otteniamo un'emulsione acqua/olio; aggiungiamo all'emulsione nella fase organica il secondo
monomero B; tra i due si innesca la reazione di polimerizzazione all'interfaccia tra le due fasi, sulla
superficie delle goccine; le gocce si trasformano in microparticelle che poi si depositano sul fondo
del contenitore e verranno recuperate per filtrazione. L'inconveniente potrebbe essere l'eliminazione
del solvente e il raggiungimento di % di solventi residui non accettabili.
EVAPORAZIONE DEL SOLVENTE. Selezioniamo il materiale di rivestimento, prepariamo una
soluzione di questo materiale e all'interno di essa sciogliamo o disperdiamo la sostanza da
microincapsulare; agitiamo per emulsionare; induciamo evaporazione del solvente e le goccine si
trasformano in microparticelle solide che verranno recuperate per filtrazione, asciugate, ecc.. . Il
problema più grosso è legato anche in questo caso al solvente organico.
ESTRUSIONE. Si prepara una soluzione o una sospensione della sostanza da veicolare all'interno
del sistema microparticellare; questa soluzione o sospensione viene fatta gocciolare all'interno di un
bagno che contiene un indurente; la goccia si stacca, cade nel bagno e a contatto con le sostanze di
questo bagno si innescano delle reazioni che fanno sì che si formi attorno alla gocci alo strato di
rivestimento; vengono mantenute all'interno del bagno tra i 15 minuti e un'ora e ciò permette alle
particelle di crescere in dimensioni. Metodo semplice, economico, versatile e che non utilizza
solventi, ma si ottengono microparticelle grandi.
Come si formano le microparticelle? La conversione delle microgocce liquide in microparticelle
solide può avvenire attraverso diversi meccanismi: solidificazione di materiali fusi; gelificazione;
formazione di complessi; evaporazione/estrazione del solvente; crosslinking (o reticolazione, il
meccanismo utilizzato più di frequente per ottenere microparticelle sfruttando il metodo
dell'estrusione).
Alginati: polisaccaridi ricavati da alghe brune, caratterizzati da ampio range di composizione
chimica, peso molecolare e proprietà funzionali. Sono co-polimeri non ramificati di acido
mannuronico (M) e acido guluronico (G). Quando al goccia cade il sodio monovalente legato
all'alginato scappa e al suo posto entra il calcio; il sodio è monovalente, il calcio è bivalente quindi
il calcio lega due catene di alginato, quindi va a creare un legame di reticolazione;
SPRAY DRYING. Consiste nella trasformazione di un liquido in un insieme di particelle solide
attraverso un processo di evaporazione del solvente. Trova largo impiego nelle tecniche industriali.
La differenza tra questo e l'evaporazione vista prima c'è l'apparecchiatura utilizzata: spry drier. Si
prepara soluzione o sospensione del prodotto da veicolare all'interno del sistema mciroparticellare
(se prepariamo una soluzione otterremo delle microsfere, con una sospensione otterremo delle
microcapsule); questa soluzione viene aspirata da una pompa e spruzzata attraverso un ugello
calibrato all'interno di una camera dove circola aria calda che induce evaporazione del solvente; la
gocciolina si trasforma praticamente istantaneamente in particella solida e finisce nel raccoglitore.
Questo metodo permette di ottenere delle microparticelle molto molto piccole con forme
perfettamente regolari. Problemi: abbiamo parlato di soluzione o sospensione ma l'acqua non è
DESCRIZIONE APPUNTO
Appunti di Tecnica Farmaceutica della professoressa Ventura sulla tecnologia, legisazione e deontologia farmaceutiche: tecnologia farmaceutica, classificazione degli eccipienti, biofarmaceutica, farmacocinetica, liberazione del farmaco dalla forma, metabolizzazione, polveri farmaceutiche.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Moses di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Tecnica farmaceutica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Messina - Unime o del prof Ventura Cinzia Anna.
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