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Teorie legate ai costi di transazione

1) Teorie manageriali

Hanno a che fare con l'importanza e il ruolo dei manager dentro all'impresa. Si ricorda che comunque non era obiettivo della teoria neoclassica essere effettivamente rappresentativo di quello che succedeva nel mondo reale, ma di fatto è evidente che c'era bisogno di entrare molto di più dentro alle complessità organizzative e gestionali dell'impresa contemporanea, così come questa si stava evolvendo, stava crescendo, in particolare agli inizi del '900 nel caso americano.

Alcuni economisti quindi cominciano ad analizzare questo rapporto tra manager e proprietà e azionisti, tra controllo e proprietà. Il primo che ne parla è Veblen, con un articolo molto importante nel 1923, il quale mette in discussione il tema di massimizzazione del profitto, ma c'è poi un contributo citatissimo nella letteratura economica e manageriale ancora oggi, il Bearle

E Means del 1932, il che ha avuto un'influenza enorme sul dibattito successivo. È uno studio empirico (che essendo del 1932 sicuramente si riferisce ad un mondo molto lontano), però molto importante.

UNO) Teorie manageriali:

Proprietà e controllo

(a) Adolf Berle 1895-1971

Berle e Means, 1932 + Larner 1966

Gardiner C. Means 1897-1988

Berle e Means attraverso uno studio empirico arrivano al seguente risultato: su 200 grandi imprese americane (non finanziarie), 88 risultano controllate dai manager (nessun azionista possedeva più del 5% delle azioni).

In successivo studio nel dopoguerra Berle (1959) conferma lo stesso risultato suggerendo che le grandi imprese americane rimanevano nella maggior parte dei casi controllate da manager.

Robert.J. Larner (1966) replicò lo stesso studio di Berle e Means: 84% delle 200 più grandi imprese americane risultò controllato dai managers.

Intuizione che rimane confermata per i seguenti decenni.

Wilbert Moore

(Princeton University, 1962): The “Berle-Means Doctrine” has achieved wide acceptance and manager have acquired large degree of independence from stakeholders.

Edward Mason (Harvard University, 1968): 75 % of 500 largest american companies are under management control. “… apartire dagli anni 50 … full time salaried managers were making nearly all the operating and strategic decisions… delle più grandi imprese americane. (…) Almost everyone now agrees., that in the large corporation, the owner is, in general, a passive recipient; that typically control is in the hands of management.

Robert Dahl (1970): Chiunque oggi giustamente condivide quanto Berle e Means avevano scritto negli anni Trenta e considera 20 il controllo dei manager sulle imprese come un dato di fatto. Il fatto che nessun azionista possedesse più del 5% delle azioni veniva tradotto come una mancanza di controllo. Siamo quindi di fronte al tipo di impresa di cui parlavamo prima,

quindi: azionariato diffuso e, visto il vuoto di controllo dovuto a questo incredibile allungamento della proprietà, pluralità di soggetti che animavano un azionariato diffuso, i manager hanno spazio per controllare gli effettivi comportamenti dell'impresa. Nella piena crisi del '29, in cui si cercava anche dal punto di vista politico ed economico di capire chi erano i responsabili della grande crisi, e in questa frattura tra proprietà e controllo Bearle e Means individuano almeno uno degli elementi deboli del capitalismo industriale americano. Il risultato fu la conferma, con altri dati, di ciò che era già emerso nel primo libro del '30. E poi più avanti ancora Learner nel '66 arriva in qualche modo a risultati similari, cioè si concentrano tutti gli studi sulle 200 imprese più grandi americane e ci si accorge che nella maggior parte dei casi, date le ipotesi e le assunzioni di natura empirica che questi studiosi.

Ci propongono, queste grandi imprese americane hanno perso il controllo della proprietà e coloro che veramente controllano le grandi imprese americane sono di fatto i manager. Anche in anni successivi in cui si sono succeduti altri studiosi è interessante notare come la letteratura, quell'articolo fino ai giorni nostri mantiene un riferimento centrale.

Edward Manson (1968): vediamo che il 75% delle grandi imprese americane sono sotto il controllo dei manager. A partire dagli anni '50 i manager salariati di fatto sono quelli che prendono le decisioni strategiche d'impresa delle più grandi imprese americane. Tutti ormai sono d'accordo che questo è il modello della grande corporazione, e questa è anche la grande debolezza su cui bisogna cercare di agire.

Robert Dahi (1970) vedi slide qui sopra. C'è quindi un'analisi empirica, una lettura ex post un po' debole, nel senso che sono pochi studi molto citati e

fatti anche in maniera abbastanza artigianale, che però hanno una grande influenza non solo in ambito accademico, ma anche in ambito economico e politico, perché questo tema della spaccatura tra proprietà e controllo nel dibattito americano diventa un tema centrale, già a partire dalla lettura ex post della crisi del '29, ma via via è qualcosa su cui si torna nel tempo. L'altro momento di crisi importante per l'America è negli anni '70, e anche negli anni '70 questo tema viene considerato una delle questioni deboli della modalità di organizzazione americana su cui si torna. Un altro autore importante, che è uno storico dell'economia di impresa che ha affrontato questo tema con una lettura di lungo periodo, conclude dicendo che questa spaccatura tra proprietà e controllo non è sempre vera, non è sempre quello che è successo nell'esperienza americana, quindi dissente in parte,

però poi riporta le sue conclusioni, a risultati in qualche maniera di natura prescrittiva simili (scritta in rosso). Cioè nel dire che non è sempre così, dice poi che alla fine le imprese che sono andate meglio nel medio lungo periodo sono quelle che hanno avuto i manager migliori, perché lui dice che la crescita delle infrastrutture e strumenti di trasporto, l'innovazione tecnologica ecc. avevano fatto nascere le grandi corporation americane e avevano messo al comando di queste istituzioni, del governo della produzione i manager, però non ne da una lettura critica nel momento in cui dice che chi ha fatto bene, chi ha saputo rimanere competitivo in questi decenni di fatto è l'impresa, l'organizzazione che ha investito nei manager migliori.

Si può sostenere che:.. perché le imprese che hanno investito in questa funzione di management sono quelle che alla fine sono andate bene. Passiamo così da un'analisi descrittiva

del caso americano, ad un'analisi prescrittiva. Così questa è l'evoluzione di impresa, e questa è anche un'evoluzione da considerare desiderabile. Quanto l'intuizione di Berle e Means rimangono valide, cioè quanto è vero che ovunque è questo il destino evolutivo dell'istituzione impresa, o dell'organizzazione della produzione, l'emersione dei manager è una caratteristica del capitalismo americano e appunto va collocata nella storia non solo industriale ma anche economica, sociale, politica, e anche militare nel caso americano, oppure invece è proprio quello che dobbiamo aspettarci ovunque? Se io voglio fare impresa, se voglio organizzare al meglio la mia produzione, essere competitivo, produrre innovazione, ecc., sui mercati nazionali e internazionali, alla fine questo mi deve succedere anche in altri luoghi oppure no? È corretto passare da una lettura descrittiva della realtà degli

anni ’30 americana ad affermazioni prescrittive? C’è qualche dubbio che sia così, però comunque in letteratura sia dieconomia che di management questo tipo di considerazioni sono molto diffuse, cioè è molto diffusa l’idea che non si trattisolo di una descrizione del caso americano ma che si tratti invece di caratteristiche che dovrebbero ovunque emergere anchein altre modalità, in altri luoghi, in altre situazioni.

UNO) Teorie manageriali:

Proprietà e controllo (a)

La rivoluzione manageriale riletta oggi.

Le intuizioni di Berle e Means rimangono universalmente valide?

E’ corretto passare da una lettura descrittiva (della realtà anni Trenta americana) ad affermazioni universalmenteprescrittive?

Dibattito aperto:

E’ sempre vero che la crescita dimensionale di impresa deve portare a preferire i benefici associati all’azionaratodiffuso (riduzione del rischio e liquidità) ai costi legati alle

difficoltà di controllo dei manager? ("managerial agency costs"). Un'impresa controllata dai manager è il modello di impresa prevalente a cui "tutti siamo destinati"? E questa è la strada che tutte le economie sono destinate a seguire? Letteratura più recente che include casi relativi ad altri paesi industrializzati: US e UK confermano questa ipotesi (anche se con molte eccezioni settoriali); Francia e soprattutto Germania e Giappone... e poi Corea del Sud non confermano questa ipotesi. E la Cina? (J.Franks-C.Mayer 1990; La Porta-Lopes de Silanes-Shleifer, 1999; M.Faccio and L.H.P. Lang, 2002; F.Barca-M.Becht, 2001). Questa letteratura più recente è importante ed interessante perché perlomeno prova anche dal punto di vista empirico a verificare quanto quello che Berle e Means non solo avevano fatto occupando i soli Stati Uniti e le sole grandi imprese americane che avevano fatto negli anni '30, e poivengono via via citate in letteratura fino ai nostri giorni, una letteratura che cerca di andare a guardare in altri Paesi per esempio quello che è successo; cioè quanto questa evoluzione ha caratterizzato altre realtà comunque industrialmente forti e importanti, ad esempio Francia, Germania; in primis la letteratura più recente suggerisce che negli USA è in Inghilterra queste caratteristiche sono confermate, ma già se andiamo su Francia, Germania, Giappone, Corea del Sud e Cina queste considerazioni non sono sicuramente per forza confermate, c'è questa spaccatura tra management e azionariato; non è questa l'evoluzione che quel tipo di capitalismo, per esempio in Francia, Germania, Giappone, in Corea e in Cina ha seguito. Questo vale anche per noi. Interessanti sono anche altri contributi che hanno a che fare con Baumol - Williamson - Marris come principali economisti. Il tema non è semplicemente che il managerrallenta o indebolisce gli obiettivi di massimizzazione del profitto, ma il tema è che proprio che la classe di manager se controlla l'impresa tende a spingere quell'impresa verso altri obiettivi, cioè la
Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
41 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/01 Economia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Elena_m1997 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia politica industriale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Ferrara o del prof Di Tommaso Marco Rodolfo.