FIEDRICH GLASL
KONFLIKTMANAGEMENT (1997) la violenza non esplode all’improvviso, come follia, ma è frutto di processi
lunghi e graduali, una serie di eventi concatenati tra loro. La conoscenza dell’esistenza di questo processo e
delle varie fasi è fondamentale x intervenire sul conflitto in modo razionale e proficuo.
Ha elaborato un MODELLO SCALARE sulle dinamiche di escalation del conflitto, tematizza il processo
conflittuale come non continuo, ma contrassegnato da soglie, salti di qualità, superati i quali il conflitto mostra
caratteristiche nuove rispetto al livello precedente e senza possibilità di ritorno. Glasl vede l’escalation come
un processo di caduta che coinvolge con sé gli attori sempre meno capaci di controllare gli eventi. Negli ultimi
stadi non c’è + spazio x negoziati, solo violenza. Le fasi principali sono 9:
1. IRRIGIDIMENTO posizioni differenti si cristallizzano in punti di vista contrapposti. Non si ha ancora a
che fare con una radicalizzazione del conflitto, resta completamente aperta la possibilità di negoziare e
trattare seppure nella competitività.
2. DIBATTITO E POLARIZZAZIONE ruolo fondamentale della comunicazione x polarizzare le posizioni,
uso conflittuale del dibattito (non x cercare soluzioni ma guadagnare margini di vantaggio). Ci si rivolge
a un pubblico + vasto x convincere e guadagnare appoggi. Tra le parti incomunicabilità, sospetto,
frustrazione crescente. Ogni gruppo si struttura al suo interno, emergono leader.
3. DALLE PAROLE AI FATTI ognuno cerca di perseguire i propri intenti in modo unilaterale, non x
convincere la controparte ma agendo secondo la tattica del fatto compiuto (decodificando con
caratteristiche + aggressive delle reali intenzioni della parte)
4. PREOCCUPAZIONE X L’IMMAGINE E RICERCA DI ALLEATI difendere la propria reputazione,
ipervalutando il proprio gruppo, glorificando i propri fini, attaccando duramente azioni e posizioni della
controparte, secondo un’immagine stereotipata difficilmente modificabile. Continue insinuazioni e
provocazioni.
5. PERDITA DELLA FACCIA vengono intaccati la dignità, lo status. Clima di diffidenza e sospetto.
Graduale perdita di un punto di vista oggettivo. Gli incidenti che portano alla perdita della faccia sono
seguiti in genere da tentativi di riabilitare la propria credibilità e integrità morale.
6. STRATEGIA DELLA MINACCIA minacce e ultimatum x attirare l’attenzione sulle proprie richieste e
dimostrare autonomia. Le minacce diventano sempre + concrete tanto da non potersi + tirare indietro
senza perdere credibilità. Restringe di fatto la libertà delle parti di scegliere corsi d’azione differenti,
perdono progressivamente il controllo sugli eventi e crea una forte pressione ad agire in maniera
rapida e radicale. Uno dei maggiori rischi di questa fase è che lo stress e la complessità della
situazione portino le parti a disintegrarsi in unità + piccole che finiscono x agire in maniera autonoma e
la risoluzione diverrebbe ancora + difficile.
7. DISTRUZIONE LIMITATA processo di “disumanizzazione” reciproca che facilita lo sviluppo di desideri
di aggressione violenta, ma è improntata più sul danno e sabotaggi materiali che sull’attacco diretto a
persone. I danni inferti al nemico diventano motivi di orgoglio.
8. DISINTEGRAZIONE l’obiettivo diventa la distruzione totale del nemico. Si combatte solo x vincere e x
farlo si devono annientare tutti i punti di forza materiali e morali (es. distruzione dei luoghi sacri)
dell’avversario (anche sistema culturale e valoriale x non lasciare possibilità di ripresa). Anche
annientamento psicologico: il corpo della vittima diventa oggetto di estrema violenza che ne nega
l’umanità (stupri, mutilazioni, torture). Obiettivo: distruggere il nemico in quanto essere umano.
9. DISTRUZIONE RECIPROCA apice conflittuale, l’annientamento del nemico viene perseguito a
qualsiasi costo. Anche l’ipotesi di auto-annientamento diventa perseguibile se comporta la distruzione
dell’avversario. È la logica del terrorismo suicida che contempla l’autodistruzione, è il livello che si è
voluto evitare a tutti i costi durante la guerra fredda affinché si evitasse la MAD (mutual assured
distrunction), eventualità resa apocalittica dalla presenza degli armamenti nucleari.
Nelle prime fasi è possibile il WIN-WIN, con l’avanzare dell’escalation WIN-LOSE gioco a somma zero,
quando entra poi in gioco la violenza estrema LOSE-LOSE.
JOHAN GALTUNG
Uno dei padri della PEACE RESEARCH, sociologo e matematico norvegese fondatore nel ’59
dell’International Peace Research Institute e della rete Trascend (network globale sullo sviluppo della pace
attraverso la nonviolenza). X primo operò la distinzione tra PACE POSITIVA e NEGATIVA, attraverso una
similitudine tratta dalla medicina e termini induisti:
• dukkha = stato negativo, sofferrenza, violenza/malattia
• sukha = stato di completa felicità di pace/salute al quale naturalmente tende l’organismo come le
società.
Compito dei ricercatori x gli studi sulla pace è quindi l’individuazione di cause, condizioni, contesti che alterano
lo stato di pace/salute, x perseguire la guarigione. Ciò è possibile concentrandosi su un’idea di conflitto come
elemento fondamentale dell’esistenza umana, in ogni sua manifestazione e dimensione, produttore di energia
di mutamento sociale, dotato quindi di potenzialità anche creative e non esclusivamente distruttive. Il termine
conflitto è polisemico e può essere usato x definire situazioni a diversi livelli e gradi di intensità. A seconda di
come viene gestito:
• CONFLITTO DISTRUTTIVO = si ricorre ad atteggiamenti e strategie di azione molto rigidi, in base ai
quali il conflitto si struttura come WIN-LOSE.
• CONFLITTO COSTRUTTIVO = WIN-WIN. Le opportunità di crescita comune offerta da differenze e
contrasti si adoperano x cercare elementi positivi all’interno del confronto e x trasformare ogni
divergenza in energia positiva. I risultati raggiunti con comportamenti collaborativi tra le parti potranno
assicurare una maggiore durata e stabilità della pace.
La TEORIA DELLA PACE di Galtung si basa sulla distinzione tra aspetti manifesti del conflitto (violenza
simbolica e aggressione) e aspetti latenti (non visibili). Il modello viene espresso come A B C del conflitto
(triangolo):
1. ATTITUDES (atteggiamenti) insieme delle percezioni, emozioni preesistenti o originate dal conflitto,
che determinano l’interpretazione della situazione. Dimensione soggettiva.
2. BEHAVIOUR (comportamento) insieme delle azioni osservabili con cui si intende condurre il conflitto
x conseguire i propri obiettivi o impedire alla controparte di di conseguire i suoi. Dimensione
osservabile.
3. CONTRADICTIONS (contraddizione di base) creata dall’incompatibilità tra gli scopi o tra la necessità
di autorealizzazione e le strutture sociali che la impediscono.
Atteggiamenti e contraddizioni sono spesso latenti, ciò che è sempre visibile è il comportamento. A B C sono
legati da un rapporto di causalità circolare, seguendo la logica dell’escalation.
Lo stesso schema del triangolo viene utilizzato da Galtung x analizzare le dinamiche della VIOLENZA, che
definisce un insulto evitabile ai bisogni umani essenziali e + in generale alla vita. Anche le minacce di violenza
sono violenza, così pure l’accettazione della violenza. 4 classi di bisogni primari:
1. sopravvivenza, negazione morte
2. benessere, negazione miseria e malattia
3. identità e significato, negazione alienazione
4. libertà, negazione repressione
3 tipi di violenza (triangolo della violenza, anche es. teoria dei terremoti):
1. DIRETTA (verbale o fisica, guerre e rivoluzioni con uccisioni, abusi, torture) durata: solo un evento. Del
dilettante (perché è la + visibile, ma anche la + facilmente arginabile)
2. STRUTTURALE (politica con la repressione, economica con lo sfruttamento, legislativa es. leggi che
marginalizzano alcune fasce della popolazione) durata: è un processo. Del professionista (+
difficilmente individuabile, + radicata, ma + tollerata).
3. CULTURALE (razzismo, sessismo, discriminazione) durata: permanente. È la + grave e profonda,
anche se meno riconosciuta come tale e solitamente + condivisa, si annida nelle visioni del mondo,
nelle tradizioni, x giustificare la violenza diretta e strutturale. È la causa + remota che agisce sulle altre
x occultarle con la disinformazione, legittimandole con l’ideologia.
Stesso modello: pace diretta, strutturale, culturale. Galtung sostiene che una trasformazione dei conflitti stabile
e costruttiva debba comprendere questi 3 aspetti della pace, sostenuti da altri 3 elementi: empathy
(atteggiamento volto al dialogo), nonviolenza, creatività.
Analogia medica: pace/salute, violenza/malattia. Diagnosi: fase dove si individuano storia, origine, attori,
obiettivi del conflitto. Prognosi: comprendere i possibili sviluppi. Terapia: idee e modalità x la trasformazione (in
modo creativo) del conflitto.
HUGH MIALL
L’intento è di formulare una teoria e una metodologia x la pace, analizza le nuove forme di conflittualità diffusa
soprattutto in aree di crisi, rilevando 3 caratteristiche principali:
1. ASIMMETRIA data da attori con status e potere differente
2. CICLICITA’ ripetutamente a in and out of violence
3. DEFORMAZIONE delle società coinvolte, in quanto la violenza perenna ha segnato profondamente la
mentalità, le relazioni e i modi di vita.
TEORIA DEL CONFLITTO CONTESTUALIZZATO Miall propone una rivisitazione del modello di Galtung,
troppo astratto, in direzione di analisi maggiormente incentrate sul contesto storico interno ed esterno e
geopolitico in cui si manifesta il conflitto. Triangolo riproposto:
1. MEMORIA
2. RELAZIONI
3. CONTESTO GEOPOLITICO
La CONFLICT TRANSFORMATION promossa da Miall appare una riconcettualizzazione di 2 strategie da
tempo in uso:
• conflict management: gestione e contenimento costruttivo del conflitto x il quale si opta quando le
differenze di valori tra gli antagonisti sono radicali, la violenza e l’iniqua distribuzione del potere trova
origine nelle istituzioni esistenti e nelle relazioni storiche.
• conflict resolution: ricorso a una parte terzza che supporta le parti in conflitto nella ricerca di radici della
conflittualità, nell’individuazione di nuove soluzioni non considerate in precedenza.
Sulla base di queste, la conflict transformation è una metodologia invece di trasformazione di relazioni e
interessi, interrompendo il ciclo della violenza. Presupposto fondamentale: una concettualizzazione positiva
del conflitto, considerato costruttivo, catalizzatore di camb
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