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I PRESUPPOSTI TEOLOGICI
3)
Dalla fede in Cristo deriva una prospettiva di lettura della realtà che influenza anche l’agire umano, soprattutto per
quanto riguarda la formulazione dei giudizi e della definizione delle norme di comportamento.
Si instaura in questo modo un rapporto éthos umano ed éthos evangelico, in relazione a determinate categorie
teologiche: cristologica, ecclesiologica ed escatologica definiscono rispettivamente il fondamento, l’ambito di
attuazione e la tensione al futuro che caratterizzano l’etica cristiana e orientano l’agire del credente.
I. Il fondamento cristologico
L’agire morale del credente ha le sue radici nel mistero di Cristo, in quanto luogo della definitiva riconciliazione del
divino e dell’umano: l’evento-persona di Gesù di Nazaret costituisce la sorgente e il modello normativo dell’éthos
cristiano. Il cristianesimo del Vaticano II
L’assegnazione di centralità al mistero di Cristo nell’ambito dell’etica cristiana ha inizio nei primi decenni del XX
secolo. La fondazione cristologica trova pieno accoglimento nel Vaticano II, che fa dell’”altezza della vocazione dei
fedeli in Cristo” il fondamento della vita morale del credente.
La centralità della persona e dell’azione di Gesù emerge con chiarezza anche sul versante della risposta umana, che
ha la sua concretizzazione “nell’apportare frutto nella carità per la vita del mondo”. La formula conciliare sottolinea
la necessità di un impegno operoso conseguenza dell’azione dello Spirito di Cristo, che trova la sua espressione
compiuta nella carità, la quale consiste nella disposizione radicale di sé per il bene dei fratelli. In quanto norma
suprema della vita morale, perciò in quanto realtà che informa di sé le altre virtù, la carità rinvia alla pienezza della
vita divina, che ha avuto la sua incarnazione storica nella persona di Gesù, il quale diviene per il credente il
paradigma essenziale della propria condotta. In questo modo il Vaticano II integra perfettamente tra loro fede e agire
morale e mette strettamente in relazione éthos umano ed éthos evangelico.
Il cristocentrismo promosso dal concilio intende sottolineare come al centro del messaggio cristiano non vi è un
principio astratto, ma una persona, la persona di Cristo nella quale si è reso visibile e sperimentabile l’amore di Dio; e
intende, di conseguenza, rilevare come questo amore diviene l’intima struttura della personalità del credente e la
legge del suo agire. La vita cristiana riceve il suo senso ultimo dalla partecipazione alla vita di Cristo liberamente
accolta nella fede e resa operante nella carità.
La sequela di Cristo è libera adesione alla persona di Cristo, alla sua parola e al suo esempio; è inserimento nei
misteri della sua esistenza, da cui scaturisce la spinta a una radicale conversione. Verso un’ermeneutica esistenziale
Le sollecitazioni del concilio hanno dato luogo allo sviluppo di alcuni modelli interpretativi nei quali l’esperienza
etica e religiosa risultano connesse e interdipendenti. Tra questi modelli spiccano in modo particolare quelli del
rapporto tra regno di Dio e sequela di Cristo, tra indicativo e imperativo di salvezza e, infine, quello legato alla
rilettura esistenziale del discorso della montagna da cui si rende evidente l’incidenza dell’azione divina sui contenuti
dell’éthos del credente.
La sequela nell’orizzonte del Regno
La categoria “regno di Dio” designa l’attuazione della signoria di Dio sulla storia nella persona di Gesù. La sequela
assume, in questo contesto, il carattere di servizio alla causa del Regno. L’evento-Cristo costituisce il momento in cui
la signoria di Dio sulla storia raggiunge il culmine e conferisce alla libertà del credente la possibilità di affrontare le
conflittualità esistenti nel mondo, nella consapevolezza che, pur essendo vinte in Cristo, continuano a sussistere e
vanno coraggiosamente assunte ed elaborate. La tensione in avanti, derivante dalla presenza degli éschata, sollecita il
costante impegno del credente a cambiare il mondo “perché ancora non è per lui ciò che egli spera possa diventare”.
La considerazione che la salvezza divina non avviene in maniera separata dal mondo, ma nascostamente nel mondo
nell’umile obbedienza del Figlio di Dio, comporta la piena assunzione dell’éthos umano, liberato dalle tentazioni
legaliste e sottratto alla logica dell’interesse individuale per fare propria la logica dell’abnegazione e del dono di sé.
La connessione tra indicativo e imperativo
L’esistenza cristiana è descritta come un cambiamento interiore, come ri-nascita, ri-generazione, ri-creazione da cui
discende l’esigenza di una radicale trasformazione degli stili di vita. La vita del credente è incorporazione a Cristo e
partecipazione ai suoi isteri, in particolare a quello pasquale.
“è stato detto dagli antichi.. ma io vi dico”
Con questo discorso (“discorso della montagna”) Gesù rimette in discussione tutta la legge pre-esistente.
Il recupero del Gesù della storia
La prassi di Gesù si trasforma in un modello al quale il discepolo deve riferirsi per comprendere pienamente il
significato della legge nella nuova economia cristiana.
Il legame tra comandamento e sequela è dunque radicato nella testimonianza del Maestro. La Pasqua costituisce il
momento della piena ricomprensione del comandamento, che fa immediatamente appello alla decisione dell’uomo,
all’accoglienza nella fede e alla conversione come evento concreto dal quale viene l’illuminazione delle forme
dell’agire. La prassi messianica come paradigma
Fondata sul riconoscimento dell’umanità di Gesù e del suo essere da Dio, la prassi messianica aiuta a superare la
frattura tra il Cristo della fede e il Gesù della storia, evitando tanto la tentazione di una fuga nella disincarnazione
quanto quella della mancata ammissione della sua alterità.
La prassi di Gesù è contrassegnata da un duplice movimento: da un lato, essa stimola il processo umano di
liberazione, dall’altro lo trascende con la fiducia irremovibile in una salvezza che solo Dio può dare.
II. La dimensione ecclesiale
La vita morale cristiana si sviluppa nel contesto della chiesa, che ha nel mistero dell’incarnazione il suo fondamento e
nel mistero pasquale la logica della sua crescita.
La chiesa non è che il luogo in cui si raduna l’umanità ritrovata, che scaturisce dalla creazione di un mondo
pacificato, riconciliato con Dio per mezzo di Gesù Cristo. Animati da un unico Spirito (pneuma), radunati attorno ad
un unico altere e partecipi di un unico pane, i credenti formano un solo corpo; essi sono cioè uniti gli uni gli altri
quali membri di un organismo che viene una sola e medesima vita. Il concetto di comunione
Il concetto-chiave del Vaticano II è il concetto di comunione, di “popolo di Dio”. In quanto comunione dell’intera
umanità in Cristo, la chiesa si realizza infatti concretamente nel popolo di Dio della nuova alleanza.
La sorgente di tale comunione è il mistero trinitario al quale la vita della comunità cristiana deve ispirare la propria
condotta: il Dio cristiano è comunione di persone – il Padre, il Figlio e lo Spirito – che sussistono nell’atto in cui
reciprocamente si donano.
Il dono della comunione non è dato alla chiesa perché lo conservi gelosamente per sé, ma perché lo viva come una
vocazione, una chiamata a diventare “sacramento” della comunione universale e cosmica propria del Regno mediante
l’impegno a edificare la civiltà dell’amore fra gli uomini, divenuti fratelli in Cristo. L’agape come via privilegiata
In quanto prassi ecclesiale l’etica cristiana ha come contenuto fondamentale la carità. La chiesa non esiste, non vive e
non cresce che in funzione dell’agape, poiché è il sacramento dell’agape divina.
Ogni carisma e ogni mistero, che si esercita nella comunità cristiana va esercitato nella carità; nel vissuto caritativo
trova piene espressione la fedeltà al vangelo.
La carità della comunità cristiana deve tradursi in amore operoso, nutrito di azioni concrete di solidarietà, soprattutto
nei confronti dei fratelli più bisognosi. L’assistenza dei poveri¸ per i quali è predisposta una mensa quotidiana, è
considerata per questo come un atto eminente di culto e la cura per le vedove come una forma privilegiata di
attenzione verso chi è venuto a trovarsi in una situazione di grave disagio. L’elemosina, quando avviene in maniera
del tutto disinteressata, acquista per questo una importanza rilevante; così pure è tenuta in grande considerazione
l’ospitalità, fino a concepire l’ospite come un messaggero di Dio e di Cristo.
La chiesa in quanto comunità di fratelli, è chiamata a concorrere alla piena realizzazione della comunità umana. Essa
non è del tutto identificabile con il Regno, pur avendo un rapporto privilegiato con esso: da un lato, la chiesa è segno
e strumento del Regno, destinata a riversarsi in esso come a suo esito definitivo; dall’altro è realtà subalterna al
Regno, poiché è uno degli ambiti nel quale il Regno manifesta la sua presenza in questo mondo. In entrambi i casi la
chiesa non può che essere pensata in vista e in funzione del Regno, come realtà finalizzata all’esercizio di una forma
di carità che sappia affrontare con coraggio le situazioni di oppressione e di ingiustizia da cui nascono i conflitti che
attanagliano l’umanità. La fondazione sacramentale della prassi cristiana
Il momento più alto in cui si verifica nella chiesa l’esperienza dell’incontro con il mistero divino è il momento
celebrativo.
L’agire del credente non solo si muove all’interno del contesto ecclesiale, da cui deriva la sua efficacia in ragione
della partecipazione alla grazia divina di cui la chiesa è mediatrice, ma è soprattutto finalizzato a edificare la chiesa
come segno e sacramento di salvezza per l’intero genere umano. L’eucaristia fonte e culmine dell’agire morale
L’eucarestia è il sacramento dal quale scaturiscono più immediatamente orientamenti concreti per l’agire quotidiano.
Tre sono gli orientamenti che discendono dalla considerazione della prassi cristiana in quanto prassi eucaristica:
1) Un’etica della sovrabbondanza. L’eucarestia è anzitutto manifestazione della “sovrabbondanza” divina, la
quale supera illimitatamente ogni bisogno e ogni aspir