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Quindi, vista questa sudditanza del teatro alla parola, ci viene da chiederci se il teatro abbia

o no un linguaggio proprio, se è insomma un’arte indipendente ed autonoma come la

musica, la pittura o la danza. Questo linguaggio, ammesso che esista, si identifica

necessariamente con lo spettacolo, inteso come:

1) materializzazione visuale e plastica della parola;

2) il linguaggio di tutto ciò che si può rappresentare indipendentemente dalla parola.

Considerando questo linguaggio dello spettacolo il linguaggio teatrale puro, si tratta poi di

scoprire se esso può raggiungere gli stessi obiettivi della parola, cioè verificare se esso è in

grado non di precisare pensieri, ma di far pensare. In una parola, dice Artaud, porre il

problema dell’efficacia intellettuale di un linguaggio che utilizzi solamente forme, rumori,

gesti; quindi il problema dell’efficacia intellettuale dell’arte. E’ solo una povertà della nostra

cultura occidentale confondere arte ed estetismo, credere che si possa avere una pittura

che si esaurisca nel dipingere, una danza che si esaurisca nel danzare e, quindi, un teatro

che si esaurisca nel visualizzare un testo scritto.

Basta con i capolavori

Per Artaud bisogna dare un taglio con l’idea malsana che i capolavori siano riservati ad una

èlite di pubblico e non adatti alla folla; ovvero, che i testi del passato sono oggi

comprensibili solo a pochi. I capolavori del passato vanno bene per il passato, ma non per

noi. Il teatro odierno ha il diritto di dire ciò che stato detto o fatto in una forma che sia

propria, diretta, legata ad un un linguaggio facilmente comprensibile da tutti. E’ sciocco

rimproverare le masse di non saper cogliere il sublime, quando esso viene portato in scena

in modo formale.

Bisogna, invece, entrare nell’ottica che una folla abituata a terremoti, catastrofi e pestilenze

e guerre può avvicinarsi a questi concetti del sublime, anzi non chiede altro che prenderne

coscienza. La condizione è che si parli nel linguaggio di queste folle e che la nozione di

queste cose non pervenga attraverso usi e costumi appartenuti a epoche morte. Oggi,

come sempre, la folla è avida di misteri e vuole conoscere le leggi attraverso le quali si

manifesta il destino.

Se la folla non accorre ai capolavori letterari è perché essi sono congelati in forme che non

rispondono più alle esigenze del nostro tempo.

Colpa di tutto questo è da attribuire soprattutto all’idolatria della classe borghese verso i

capolavori consacrati. Ma non ha senso prenderla con il cattivo gusto del pubblico fino a

quando non sarà stato mostrato loro un valido spettacolo.

Il pubblico, anche se ritiene vero ciò che è falso, ha il senso del vero e se il pubblico si è

disabituato ad andare a teatro è perché troppe volte gli è stato detto che era finzione, un

mezzo di distrazione, un’arte inferiore; e troppo gli è stato detto che ciò che vedeva era

teatro, ossia finzione e illusione. Dal Rinascimento in poi la gente è stata abituata ad un

teatro puramente descrittivo e narrativo, che racconta soltanto psicologia. Ed Artaud è

convinto che gli uomini del teatro dovrebbero farla finita con la psicologia, ossia con le

storie di denaro, amori finiti, arrivismo sociale che non sono affatto teatro. L’idea di un’arte

fine a se stessa che serva a dare svago alla gente è un’idea assurda che dimostra

l’incapacità degli occidentali di pensare il teatro per come esso è nato e vissuto prima della

sua Istituzione.

Per questo motivo, egli propone un teatro della crudeltà: ma per crudeltà non si deve subito

intendere sangue e massacri. L’espressione teatro della crudeltà indica un teatro difficile e

crudele anzitutto per se stesso. Attraverso il suo teatro, il teorico francese auspica un

ritorno alle origini, cioè in un recupero del concetto di poesia che sta alla base dei Miti

raccontati dai grandi tragici antichi; un recupero dell’idea religiosa di teatro , un teatro

magico per cui il teatro provoca una sorta di trance che risvegli lo spirito dell’uomo e lo inizi

alla poesia. Il teatro è per Artaud l’ultimo mezzo al mondo capace di toccare direttamente

l’organismo e la sensibilità umana: per questo lo spettatore è al centro e lo spettacolo gli

sta intorno

Il teatro della crudeltà

La cosa più preoccupante è che si è persa un’idea del teatro. Infatti, il teatro si limita a farci

penetrare nell’intimità di qualche fantoccio o a trasformare lo spettatore in un voyeur. Per

questo la gente non va più a teatro ed è normale che cerchi nuove emozioni nel cinema,

nel circo o nella rivista. Il fatto è che c’è bisogno di un teatro che ci svegli, che ci colpisca ai

nervi e al cuore. La storia del teatro psicologico ci ha abituati ad un tipo di azione che

dovrebbe essere propria del teatro; a sua volta il cinema ci bombarda di immagini riflesse

che non possono raggiungere la nostra sensibilità poiché filtrate da una macchina.

L’abitudine agli spettacoli di pura evasione ci ha fatto dimenticare l’idea di un teatro serio

che ci trasmetta emozioni inaspettate ed agisca su di noi come una terapia spirituale. Tutto

ciò che agisce è crudeltà. Pertanto, a partire da questa idea, il teatro deve rinnovarsi: il

teatro della crudeltà vuole lo spettacolo di massa, vuole ricreare quella poesia che esiste

nelle feste e nelle folle, quando la gente si riversa nelle strade. Artaud è convinto, in altre

parole, che nella cosiddetta poesia esistano forze vive, e che l’immagine di un delitto

presentata in condizioni teatrali sia, per lo spirito, molto più atroce della realizzazione di

quello stesso delitto. Si vuole fare del teatro una realtà alla quale si possa credere e che dia

una scossa al cuore ed ai sensi. Il pubblico crederà ai sogni del teatro, a patto che li

consideri davvero dei sogni e non la mera riproduzione passiva della realtà. Il pubblico,

però, potrà dare libero sfogo all’inventiva magica del sogno solamente se impregnato di

terrore e crudeltà.

Per raggiungere pienamente la sensibilità dello spettatore, Artaud propone uno spettacolo

mobile il quale, anziché dividere sala e scena in due mondi chiusi, crei una comunicazione

che permetta di diffondere i lampi visivi e sonori su tutta la massa del pubblico. In pratica si

cerca l’idea dello spettacolo totale, in cui il teatro riprenda dal cinema e da altri spettacoli

ciò che gli è sempre appartenuto. Le parole dicono poco e allo spirito giunge solo la

dimensione e gli oggetti; parlano le immagini, lo spazio, il suono, i colori. La regia dispone

di mezzi puri per ottenere tutto ciò e viene descritto dal Manifesto del teatro della crudeltà.

Teoria e tecniche del teatro educativo e sociale

1.1 Introduzione

Mai come in questi ultimi anni la politica, la giustizia, i mass media, la cultura hanno rilevato la

loro matrice teatrale. Tuttavia l’esperienza teatrale viene comunemente considerata all’interno

delle convenzioni che nel tempo si sono create, nelle quali attori, registi, pubblico agiscono in

tempi e luoghi stabiliti, con una netta separazione tra chi assiste e chi agisce. Ma il teatro non

si esaurisce così, poiché la matrice teatrale è qualcosa insita nella natura dell’uomo.

Qui è indispensabile introdurre la nozione di teatralità, intesa come tutti quei gesti che si

manifestano come esperienze di comunicazione.

1.2 Che cos’è il teatro

Secondo il senso comune il teatro potrebbe essere definito come:

“La rappresentazione di un testo drammatico scritto da un autore, mediato da un regista e da

attori, in un tempo dedicato allo svago, in uno spazio predisposto allo spettacolo secondo lo

schema del teatro all’italiana, e offerto ad un pubblico pagante”

Questa definizione, però, è riferibile ad un unico modello teatrale, quello aristocratico e

tradizionale nato nel Rinascimento in Italia e diffuso poi in tutta Europa. In quel tempo si

definiva un teatro professionistico, caratterizzato dalla netta separazione tra scena e platea. Se

all’inizio il sistema della sala signorile permetteva un contatto tra il pubblico e gli attori (vedi

teatro inglese), ben presto, con la costruzione di edifici deputati al teatro, si demarcano le

distinzione spaziali. La scena all’italiana di tipo prospettico e cambiamenti a vista, nel tentativo

di rappresentare la profondità della realtà in senso illusorio, allontana e tiene a distanza lo

spettatore.

Questo tipo di teatro esiste ancora oggi, un teatro che è oggi in competizioni con i mass media,

in particolar modo con la televisione, che enfatizza il momento di evasione. Per il teatro è una

battaglia persa in partenza, perché condotta su piani molto diversi. Il risultato è un teatro servo

delle domande di mercato. Il testo preesiste sempre alla rappresentazione e ne è una

premessa necessaria. Il pubblico che paga il biglietto spende il proprio tempo libero all’interno

dello spazio teatrale, dove agiscono gli attori. Annamaria Cascetta parla di teatro come

“un’azione compiuta da un corpo in carne ed ossa davanti ad un pubblico nel come se della

scena”. Le esperienze teatrali del novecento hanno messo in crisi questo modo di fare teatro,

privilegiando un ritorno alle origini: il teatro può essere considerato un’azione “come se”, agita

da un corpo in carne ed ossa di fronte ad un altro corpo. Attore e spettatore sono in relazione

l’uno all’altro in uno spazio che è delimitato dall’azione dei corpi che agiscono nella

comunicazione instauratasi. Il “come se” restringe il campo dei fenomeni tipici della sfera

teatrale: la legge più importante del teatro sta in queste due parole, che rivelano la necessità di

un patto comunicativo tra l’emittente e il destinatario. Questo patto permette all’attore di

rappresentare l’azione come se facesse sul serio, mentre in realtà non è così: ciò che

rappresenta abita la sfera immaginaria, dove tutto è possibile.

1.3 Immaginario e rappresentazione

Il termine rappresentare contiene un doppio prefisso: “ri” e “ad-”. Il primo fa riferimento all’idea

di un ripristino di qualcosa di già dato e portato a presenza di fronte a qualcuno; il secondo

indica la direzione. Rappresentare significa dunque ri-ad-presentare. [da finire]

1.4 La matrice rituale del teatro

Il teatro affonda le radici nel rito. Teatro e rito sono realtà affini addirittura sovrapponibili

nell’ambito della odierna struttura sociale

2.2 teatro e media

Oggi si t

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A.A. 2014-2015
40 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mr1092 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teorie e modelli del teatro contemporaneo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Sapienza Annamaria.