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STORIA-TEATRO E CULTURA POLITICA
Le collettività premoderne erano stati-teatro in cui la legittimazione del potere richiedeva soltanto
che esso offrisse al popolo lo spettacolo di uno sfarzo imponente, e desse dimostrazione simbolica
della propria attenzione al bene comune con decisioni di grande effetto. In queste collettività i
sudditi si godevano le feste dispendiose messe a disposizione dalle autorità ma nelle situazioni di
emergenza speravano invano che le autorità li aiutassero. La mancata affermazione delle norme
giuridiche e la politica come spettacolo sono anche caratteristiche dello stato moderno. I politici
che vogliono restare al potere devono tenere d’occhio gli umori degli elettori sebbene le elezioni
abbiano natura puramente simbolica. Esse costituiscono il principale rito dello stato-teatro
democratico. Solo con l’illuminismo si iniziò tuttavia a criticare la performatività delle cerimonie e
dei riti, puntando sulla razionalità di una regolamentazione giuridica trasparente.
ASCESA DELLO STATO MODERNO
Lo stato moderna si è sviluppato in Europa perché qui vi erano eventi che permisero l’ascesa
avvenuta nel corso di quindici secoli. Questi eventi presupponevano condizioni necessarie che
erano presenti in Europa. Prima di tutto il pluralismo politico provocato dalle invasioni, da cui
nacquero nuovi regni: suddivisione dello spazio in tanti paesaggi di dimensioni limitate, infatti
nessuno è mai riuscito a integrare l’Europa in unico grande dominio. La seconda condizione è
l’autonomia politica: nascita di collettività territoriali ignote all’antichità. I villaggi nacquero in seguito
alla crescita della popolazione e allo sviluppo di una forma economica che combinava in modo
efficace agricoltura e allevamento su vasta scala. Inoltre il diritto romano, riscoperto nell’ XI secolo,
rappresentò per l’Europa una delle eredità più importanti dell’Imperium Romanum e condusse ad
un accrescimento del potere del re che andava al di là della consuetudine giuridica. Tale
accrescimento riguardò l’imperatore: ciò che è bene per l’imperatore è legge. Affondano qui le
radici della cosiddetta monarchia assoluta dell’era moderna, che aprì la strada allo stato moderno.
Inoltre il diritto romano aprì la strada all’istituto della persona giuridica che è alla base della vita
politica moderna.
La strada che ha condotto allo stato moderno di potenza in Europa passa in ogni caso per la
monarchia. Le competenze di un monarca furono definite costituzionalmente in modo preciso per
la prima volta in Francia nel 1791. Fino ad allora erano teoricamente illimitate. Un re poteva
rivendicare qualsiasi potere necessario in difesa della pace e del diritto. Il potere assoluto del re
consisteva nelle decisioni su guerra e pace, la nomina dei titolari di cariche, il potere legislativo
comprendendo la sospensione di una legge ecc. La prerogativa dei monarchi inglesi fu abolita nel
1648, quando il trattato di Westfalia stabilì che l’imperatore non aveva più tutti i poteri ma solo
quelli che gli erano accordati. Quindi l’impero inglese, a partire dal 0648, divenne il primo stato
costituzionale europeo. Maggior fortuna ebbe il cosiddetto “assolutismo illuminato” del XVIII in
Austria, Prussia, Russia: la razionalità illuminata aspirava con successo a trasformare la collettività
in una macchina efficiente: il che portò allo stato moderno prerivoluzionario.
Nel momento culminante della monarchia europea, nel XVII e XVIII secolo, si decise di assegnare
al monarca l’aggettivo “grande”. Ed egli era anche l’ autorappresentazione di una sorta d’opera
d’arte come nel caso di Luigi XVII. Il re era rappresentato dall’arte come astro centrale del
firmamento, il sole o come eroe della mitologia antica o cristiana. Il sovrano come opera d’arte era
anche il punto focale di un più vasto capolavoro la corte. Le corti erano sempre al centro
dell’attenzione, potevano definire modelli di buona condotta in tutto il paese e persino su scala
europea. Oggi sappiamo invece che le corti erano tutt’altro che apolitiche, in quanto palcoscenici
dello stato-teatro premoderno.
L’attività letteraria della vita di corte e la critica di corte come luogo di corruzione rappresentano dei
contributi al discorso politico premoderno. Essi devono la loro diffusione nella prima parte dell’età
moderna alla rivoluzione mediatica del libro stampato. La teoria più antica della monarchia
consisteva negli specchi del principe che erano trattati morali che partivano dall’idea secondo cui
la migliore politica possibile consisteva nell’esercizio di virtù che era possibile inculcare al sovrano.
Tommaso d’Aquino inventò il termine “scienza politica” e come Aristotele definì l’uomo come
essere per natura politico. Machiavelli elencò le regole amorali dell’attività politica, che chiunque
volesse creare e conservare una collettività in una situazione di instabilità doveva seguire. Il suo
libro è un antispecchio del principe perché supera l’idea secondo cui un comportamento
moralmente rigoroso dei potenti avrebbe promosso il bene comune per il successo politico. La
politica è per Machiavelli amorale: il valore supremo non è più l’azione morale dell’individuo ma il
bene della patria, cui viene subordinata la stessa religione. In Hobbes il bene e il male, il diritto e il
torto, il mio e il tuo, e la stessa religione si realizzano solo attraverso l’affermazione del sovrano;
egli non sta parlando tuttavia di monarca, ma dello stato che assume il monopolio della forza.
Inoltre secondo Hobbes quando il sovrano non si esprime, il suddito è libero di fare e lasciar fare.
L’antropologia politica di Hobbes è improntata a un profondo pessimismo e costituisce una
reazione alle guerre civili europee. Con John Locke si ha invece una svolte verso l’ottimismo
illuministico. La sua teoria di monarchia presuppone uno stato di natura contrassegnato da libertà
e uguaglianza in cui l’uomo diventa proprietario attraverso il lavoro. Qualsiasi stato è caratterizzato
dalla divisione dei poteri. Il potere supremo è quello legislativo, che definisce le regole per gli altri
poteri che vengono attuate dall’esecutivo, di cui fanno aprte anche i tribunali. I rapporti con
l’esterno competono al potere federativo, che spetta al monarca. La divisione dei poteri fu poi
riformulata da Montesquieu nel 1748.
All’origine non esistevano cariche di stato, ma solo servitori del principe, ministro infatti significava
proprio servitore. Il nucleo originario da cui si sviluppò il potere dello stato monarchico fu la corte
del principe, in cui i sacerdoti erano gli unici ad avere una buona padronanza della scrittura e della
lingua scritta e per molto tempo il cancelliere era uno dei sacerdoti. La cancelleria divenne presto
un grande ufficio distinto dalla corte. Non è un caso che la carica di cancelliere sia sopravvissuta
fino ad oggi. Sotto Maria Teresa, il cancelliere di stato divenne il responsabile della politica estera.
Oltre alle cancellerie si staccarono dalla corte anche i tribunali supremi che cominciarono ad
amministrare il potere al posto del sovrano in base al diritto romano e alla Common Law inglese.
Mentre tutti gli affari politici, e soprattutto la politica estera, erano riservati ad un organo collegiale
ristretto. Tutte le cariche politiche continuavano ad essere ricoperte dai nobili e servire il sovrano
offriva la possibilità di ascesa sociale sia per sé sia per la propria famiglia. Per quanto riguarda la
fiducia del sovrano: il ministro era informato dai suoi protetti e si avvaleva della loro collaborazione
e del loro successo, ed era perciò soggetto ad uno stress continuo.
Sebbene il re e la sua amministrazione centrale esercitassero un dominio a livello regionale e
locale, questa si trovava sempre in competizione con altre istanze. Il perfezionamento dello stato
moderno, nei secoli XVIII e XIX consisté nell’affermazione del potere centrale su tutti i sudditi.
Il re doveva nominare rappresentanti sempre nuovi, poiché quelli vecchi si appropriavano
dell’ufficio e si alleavano ai potentati locali.
All’inizio dell’era moderna il dominio a livello locale tende ad assumere quella forma di dominio
indiretto che si riscontrerà più tardi nelle colonie. Il potere centrale era diviso tra i potenti locali
assicurando loro una supremazia indisturbata a condizione che mantengano l’ordine.
CHIESA E STATO: nella cultura politica occidentale, al potere dello stato moderno si
contrapponevano non solo l’aristocrazia e i comuni, ma anche la Chiesa di Roma e in opposizione
al dominio esercitato sulla Chiesa dagli imperatori romani d’Oriente, Roma aveva proclamato la
dottrina dei due poteri, religioso e temporale. In occidente il dualismo tra sfera religiosa e secolare
(temporale) si intrecciò, infatti la chiesa cercava di insegnare come giungere al regno di Dio ma
allo stesso tempo cerca va di affermare il dominio indiretto sul mondo. Dall’altro lato i sovrani
cercavano di mantenere un potere indipendente dalla tutela ecclesiastica, ma per raggiungere
questo obiettivo dovevano far leva sulla sacralità della loro posizione assicurandosi il controllo
sulla chiesa nel proprio territorio. Molti pontefici avevano la pretesa di affermare di aver ricevuto i
due poteri da Dio e di aver affidato in un secondo tempo il potere temporale a imperatori e re. Fu
con il papato di Avignone nel XIV secolo che si ebbe il grande scisma del 1378-1417: i sovrani
europei riuscirono ad assicurare notevoli diritti di controllo sulle rispettive Chiese, fino a quando le
autorità imperiali si arrogarono il diritto di riformare o sopprimere chiese e conventi. In Inghilterra e
in Francia nacquero addirittura delle chiese nazionali vere e proprie sotto il controllo della corona e
la scissione dell’Inghilterra da Roma rappresentò solo un ultimo passo in tal senso. Con Martin
Lutero la situazione cambiò: separazione della Chiesa dal mondo. Alla Chiesa rimaneva la parola
di Dio, e tutto il resto spettava al potere temporale. Martin Lutero cmq portò all’estremo il
tradizionale dualismo spirituale-temporale, e dall’altro lo sospese in favore dell’autorità secolare: i
principi tedeschi ricevettero una nuova sacralizzazione e vennero promossi a ministri di Dio e padri
del paese, in analogia con il ruolo di Dio Padre.
In termini generali, la monarchia europea non solo non era assolutistica ma nemmeno neutrale sul
piano confessionale. Diversamente si sarebbe autodanneggiata. Il consenso religioso di fondo
contribuì alla formazione di un’identità politica.
DIRITTO E