Riassunto esame Storia dello Stato Moderno, prof. Motta, libro consigliato Storia dello Stato Moderno, Capra
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Nell’impero ottomano tutta la terra, esclusa quella adibita al servizio religioso,
era di proprietà del sultano, che esercitava un’autorità assoluta e dispotica
sugli uomini e sulle cose. Gli aspetti dispotici del governo ottomano non
incidevano pero sulla vita della massa dei sudditi, le cui condizioni per certi
aspetti erano migliori di quelle dei loro omologhi europei.
I giudici che applicavano la legge islamica amministravano una giustizia pronta
e imparziale; la protezione dello Stato era assicurata ai mercanti e agli
artigiani, riuniti in corporazioni anch’esse a sfondo religioso.
Guerre ed eserciti tra Medioevo ed età moderna
Le guerre in Italia servirono a sperimentare le nuove formazioni militari e i
nuovi modi di dare battaglia.
Questa evoluzione dell’arte militare si può considerare insieme causa ed effetto
di più profondi mutamenti nella società e nello Stato.
La nascita dell’idea di Europa
L’idea di Europa come complesso non solo spaziale e geografico, ma anche
storico e culturale è un prodotto caratteristico dell’età moderna.
In origina il concetto di Europa si forma per contrapposizione all’Asia, che
rimarrà il termine di confronto privilegiato fino alla Rivoluzione americana.
Il criterio di valutazione è quello della libertà politica greca contrapposta alla
tirannide asiatica, dove libertà significa partecipazione dei cittadini alla vita
pubblica, il vivere secondo le leggi e non soggetti all’arbitrio di un despota.
Da allora fino al Novecento all’idea di Europa verrà associata quella di libertà.
La contrapposizione per eccellenza diventa poi quella tra barbari e romani; con
l’avvento del cristianesimo questa coppia viene affiancata e spesso assorbita
dalla popolarità cristiani-pagani.
Nel Medioevo, il termine Europa è, salvo eccezioni, un espressione geografica.
Nel Quattrocento l’Europa è la patria della cristianità, e che per europei si
intendono coloro che sono considerati cristiani.
La prima formulazione del concetto di Europa come comunità dotata di
caratteri politici specifici al di là dei tradizionali ambiti religioso e geografico si
deve a Niccolò Machiavelli.
In lui il senso della differenza tra i continenti è nettissimo, e la diversità tra vita
e politica europea ed extraeuropea da luogo a due forma di governo
monarchico.
Secondo Machiavelli l’impero Ottomano prosegue la tradizione politica persiana
mentre gli Stati europei sono divisi e frazionati anche al proprio interno.
- Europa: repubblica o monarchia non assoluta
- Asia: monarchia assoluta dispotica
L’organizzazione politica europea favorisce lo svilupparsi delle virtù: il governo
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repubblicano da vita alla competizione tra i partiti e tra i singoli, che ne
vengono incentivati.
7 I NUOVI ORIZZONTI GEOGRAFICI
Le conoscenze geografiche alla fine del Medioevo: l’Africa Nera
Alla fine del Medioevo i rapporti degli europei con gli altri continenti erano
sostanzialmente limitati agli scambi economici e culturali tra le varie sponde
del Mediterraneo.
Le nozioni geografiche del primo Rinascimento erano, per quanto riguarda gli
altri continenti, assai vaghe e imprecise, risalenti in molti casi all’antichità
classica.
Si era ormai imposta, grazie all’autorità di Tolomeo, la concezione sferica della
Terra; il blocco formato dai tre continenti noti (Europa, Asia, Africa) era
collocato tutto nell’emisfero settentrionale e dell’esistenza delle Americhe o
dell’Oceania non si aveva nessuna idea.
Furono proprio questi errori a incoraggiare i viaggi di esplorazione dei
portoghesi e di Colombo.
Esistevano anche delle idee fantasiose ed esagerate circa le ricchezze delle
Indie, dell’Africa o dell’Asia. In realtà nell’Africa Nera la popolazione era in lenta
ma costante crescita ed era distribuita tra zone a notevole densità.
Assai vario era anche lo sviluppo dell’economia: molte popolazioni del
centro-sud vivevano ancora di caccia e di raccolta di frutti ma altre praticavano
la produzione di tessuti, di ceramiche, di utensili di legno e di metallo.
Le civiltà precolombiane in America
Nel continente americano le civiltà evolute si svilupparono nel millennio
precedente l’arrivodegli spagnoli negli altopiani dell’America centrale e lungo le
catene delle Ande nell’America meridionale. In queste zone era praticata
un’agricoltura sedentaria. Minore importanza aveva l’allevamento. Varie erano
le attività artigianali (ceramica, vasellame, utensili d’oro, d’argento e di rame).
La religione (soprattutto quella degli aztechi) era imperniata sull’idea della
precarietà dell’ordine cosmico, continuamente minacciato da catastrofi naturali
e dalla collera delle divinità, in primo luogo il dio del Sole. La religione
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giustificava un ordine sociale caratterizzato da rigide divisioni di ceto.
Quando gli spagnoli giunsero in America, era ormai da tempo in declino la
grande civiltà dei maya, era ancora in espansione l’impero degli aztechi. Gli
inca invece era una popolazione la cui società era rigidamente stratificata: al
suo vertice era l’Inca, il sovrano, venerato come un semidio, circondato da
un’aristocrazia composta sia dall’originaria nobiltà inca, sia dai figli dei capi
delle tribù sottomesse tenuti a corte come ostaggi; alla base c’era la comunità
contadina.
L’impero Inca era riuscito a darsi una salda organizzazione statale.
I viaggi di esplorazione e di scoperta
Il primo paese ad intraprendere, nel XV secolo, l’esplorazione dei nuovi mondi,
fu il Portogallo, grazie alla favorevole posizione geografica.
La caravella di origine portoghese, che deve la sua notorietà ai viaggi di
Colombo e di Vasco da Gama, era un veliero di piccole dimensioni costruita con
degli accorgimenti atti ad aumentare la velocità e la manovrabilità.
L’espansione marittima portoghese ebbe inizio con la presa di Ceuta, a sud
dello stretto di Gibilterra, e proseguì con la scoperta delle isole di Capo Verde e
del golfo di Guinea.
Non fu solo la curiosità scientifica a spingere i navigatori portoghesi sempre più
a sud: fin dagli anni Quaranta le loro caravelle cominciarono a tornare in patria
cariche di schiavi neri ottenuti con razzie sulle coste o comprati; quindi fu al
fine di agevolare questi traffici.
Il re del Portogallo Giovanni II si pose gli obiettivi di circumnavigare l’Africa in
direzione dell’oriente e di ottenere maggiori informazioni circa i porti e la
navigazione nell’oceano Indiano.
Il primo traguardo su raggiunto dalla spedizione di Bartolomeo Diàz, che alla
fine del 1487 arrivò all’estremità meridionale del continente nero, da lui
battezzata Capo di Buona Speranza.
Alla morte di Giovanni I gli succedette Giovanni II.
A Giovanni II si era rivolto un navigatore genovese, Cristoforo Colombo,
cresciuto in Portogallo e in cui aveva maturato il suo progetto di raggiungere
l’oriente circumnavigando la Terra verso occidente. Alla concezione di tale
ardito disegno contribuì la convinzione, tratta dalle ipotesi dello scienziato e
umanista fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli, che le coste del Giappone
fossero separate dall’Europa occidentale da appena una sessantina di gradi di
longitudine.
Poiché la corte portoghese si era mostrata scettica, Colombo finì col
concentrare le proprie speranze nella monarchia spagnola.
La regina Isabella concesse a Colombo il titolo di “ammiraglio del mare
Oceano”, la carica di vicerè e governatore delle terre eventualmente scoperte.
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Il 3 agosto 1492 tre velieri (due velieri e una nave più grande, la Santa Maria)
presero il largo dal piccolo porto atlantico di Palos. La mattina del 12 ottobre
del 1492 una terra si delineò tra l’orizzonte: era con ogni probabilità l’attuale
isola di Watling nelle Bahamas, battezzata da Colombo San Salvador.
Colombo però era convinto, e non si ricrederà mai neppure in seguito, di essere
giunto in Asia e di aver dimostrato la validità della propria teoria.
L’eco della scoperta di Colombo aveva stimolato nuove iniziative, quali le
spedizioni del veneziano Giovanni Caboto verso gli attuali Stati Uniti per conto
della corona inglese, e di Amerigo Vespucci verso la costa atlantica
dell’America meridionale, al servizio prima della Spagna e poi del Portogallo.
Proprio Vespucci fu il primo a comprendere che non poteva trattarsi dell’Asia,
ma di un nuovo continente, che in suo onore sarà chiamato America.
Un’altra importante conseguenza del primo viaggio di Colombo fu la disputa
insorta tra Spagna e Portogallo circa l’appartenenza dei territori nuovamente
scoperti.
Ben più ardua fu l’impresa di Ferdinando Magellano, un portoghese postosi al
servizio del re di Spagna, che partì il 10 agosto 1519 e trovò in fondo alla
Patagonia, lo stretto che prese successivamente il suo nome. A questo punto
Magellano affrontò la traversata del Pacifico e dopo oltre tre mesi di
navigazione, sbarcò nelle Filippine e ne prese possesso in nome del re di
Spagna.
Con le prime missioni e circumnavigazioni si ampliarono le conoscenze
geografiche.
Le imprese dei conquistadores spagnoli
La presenza europea nel “Nuovo Mondo” si limitò sostanzialmente alle isole
caraibiche e puntò soprattutto alla ricerca dell’oro; spietato fu lo sfruttamento
della popolazione indigena.
Solo nel 1517 ebbe inizio seriamente l’esplorazione della terraferma:
protagonisti ne furono i conquistadores, quei soldati spagnoli che, di origini
spesso nobili ma povere, ispirati dalla lettura dei romanzi cavallereschi e
infiammati dal miraggio dell’oro e della gloria, attraversarono l’oceano e
mossero alla conquista di grandi regni e di immense estensioni di territorio.
Numerosi fattori sono stati invocati per spiegare il crollo di questi grandi e
popolosi regni di fronte all’attacco di un pugno di uomini: da un lato il terrore
che incutevano le armi da fuoco e le cavalcature degli spagnoli e la loro furia
omicida, dall’altro i contrasti etnici e dinastici che indebolivano gli imperi e gli
aiuti recati ai loro aggressori da popolazioni indie insofferenti del giogo. In più si
deve tener conto del profondo trauma determinato dalla sensazione di essere
stati abbandonati dagli dèi, simboleggiato dall’uccisione del sovrano che ne era
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il supremo garante.
Questo stato d’animo, attestato anche dal moltiplicarsi dei suicidi, fu
indubbiamente tra le cause del rapido e catastrofico declino della popolazione
indigena nell’America latina.
Inoltre c’è da considerare lo sfruttamento a cui gli indios furono sottoposti dai
nuovi padroni, e piu ancora le malattie prima sconosciute diffuse dai nuovi
arrivati (morbillo, tifo, influenza..), contro le quali gli organismi indigeni non
avevano difese immunitarie ed infine la degradazione dell’ambiente provocata
dalla mancata manutenzione delle opere irrigatorie e dalla preferenza data
dagli spagnoli all’allevamento rispetto all’agricoltura.
La colonizzazione spagnola del Nuovo Mondo
Nel corso del Cinquecento la colonizzazione spagnola si estese sia verso nord
fino a comprendere la California e la Florida, sia nel continente sudamericano,
dove il limite all’espansione fu costituito dalle foreste amazzoniche.
Fenomeno del meticciato:
Grande svilppo ebbe il fenomeno del meticciato, determinato dall’unione di
uomini e donne di razza diversa: meticci propriamente detti, nati dagli
accoppiamenti di uomini bianchi con donne indie; mulatti nati dall’incrocio tra
bianchi e neri; zambos, nati dall’unione tra neri e indiani.
Tra gli strumenti di colonizzazione, grande importanza ebbero la fondazione di
città e l’encomienda.
L’encomienda consisteva nell’assegnazione a un conquistador o a un colono
spagnolo di una circoscrizione territoriale, al cui interno essi avevano il diritto di
esigere determinati tributi e prestazioni di lavoro dagli indigeni; in cambio gli
encomenteros erano tenuti a proteggere questi loro vassalli e a convertirli alla
fede cristiana. La realtà fu molto spesso diversa dalla norma legislativa, e
l’encomienda divenne lo strumento di uno sfruttamento indiscriminato del
lavoro indigeno.
Nel complesso di può dire che la corona di Spagna riuscì a svolgere, a partire
soprattutto dalle Nuove Leggi promulgate da Carlo V nel 1542 (che vietavano
tra l’altro di ridurre gli indios in schiavitù), una certa azione di controllo della
società coloniale e di moderazione dei molteplici soprusi che la
caratterizzavano.
Le ripercussioni in Europa
Campo economico
L’afflusso dei metalli preziosi dalle Americhe era considerato un tempo la causa
della cosiddetta “rivoluzione dei prezzi”, cioè ad una tendenza inflazionistica
che porto nel corso del XVI secolo ad una moltiplicazione per tre o per quattro
dei prezzi dei cereali e di altre derrate.
Oggi si ritiene che il fattore determinante sia stato piuttosto l’incremento
demografico. 20
In buona parte questi metalli preziosi furono utilizzati per pagare l’importazione
di spezie e altre merci dall’oriente.
Ma non fu solo la vita economica ad essere influenzata dalle scoperte
geografiche e dall’avvio della colonizzazione. Anche le abitudini alimentari e la
vita sociale saranno a lungo andare trasformate dai prodotti importati dai nuovi
mondi. (caffè, tè, tabacco, cacao).
Va sottolineato inoltre l’enorme ampliamento delle conoscenze geografiche e
scientifiche: la dimostrazione definitiva della sfericità della Terra, la percezione
esatta delle sue dimensioni e la rivelazione della falsità delle tante leggende
antiche e medievali.
Inoltre c’è il confronto con civiltà diverse e con i popoli primitivi che abitavano
le Americhe e alcune parti dell’Africa Nera contribuì in misura decisiva alla
definizione di un’identità europea.
America spagnola e America britannica
Nella storiografia gli imperi spagnolo e britannico in America sono stati spesso
descritti come rispettivamente “di conquista” e “commerciale”.
In una recente storiografia di John Elliott, egli cerca di correggere questo
stereotipo.
Secondo Elliott i creatori dei due imperi transatlantici avevano in comune
alcune aspirazioni simili (dal commercio all’evangelizzazione dei nativi ala
conquista di nuovi territori), i cui esiti divergenti furono in buona parte frutto
dei differenti contesti nei quali i colonizzatori si trovarono ad agire.
Oltre all’estrema diversità dell’ambiente naturale, va tenuto conto dello scarto
cronologico di circa un secolo:
Spagnoli-> spedizione partita nel 1519
Britannici-> spedizione partita nel 1606
Rispetto ai coloni inglesi dei Seicento, i coloni spagnoli del Cinquecento erano
meno interessati alla proprietà della terra: ciò che veramente importava era il
dominio sugli uomini.
Per quanto riguarda l’emigrazione la Spagna vietava il viaggio ad ebrei, zingari
ed eretici e gli emigranti dovevano attestare l’assenza di contaminazione con
sangue ebreo. Inoltre, la corola spagnola non approvò mai il trasporto gratuito
nelle Indie in cambio di un periodo di lavoro coatto, che avrebbe creato una
sorte di schiavitù bianca. In Inghilterra, al contrario, poiché vi era una maggiore
necessità di emigranti, lo strumento più efficace se diffuso per incoraggiare
l’emigrazione fu il contratto di servitù, che in cambio del trasporto gratuito
vincolava a quattro o cinque anni di lavoro, con obblighi talora molto pesanti e
costrittivi. 21
Tuttavia, l’atteggiamento degli spagnoli nei confronti dei nativi non fu mai
segregazionista: la corona autorizzò formalmente nel 1514 i matrimoni
interetnici. Completamente diverso il quadroo nelle comunità di coloni inglesi,
dove il fenomeno del meticciato rimase trascurabile e marginale.
8 I NUOVI ORIZZONTI SPIRITUALI: RINASCIMENTO E RIFORMA
La civiltà del Rinascimento italiano
I decenni delle invasioni straniere sono quelli in cui giunge alla sua massima
fioritura la civiltà del Rinascimento italiano.
Il termine “Rinascimento”, che riprendeva il concetto di “rinascita” già familiare
ai contemporanei, significava il ritorno ai valori e ai modelli dell’età classica
nella filosofia, nella politica, nella letteratura e nell’arte, in consapevole
polemica con le credenze e gli atteggiamenti dei secoli di mezzo, e al tempo
stesso l’adozione di un più positivo atteggiamento verso la natura e verso
l’uomo posto al centro dell’universo.
La cronologia più condivisa di questo movimento intellettuale e artistico
abbraccia i due secoli che vanno da Francesco Petrarca (1304-1374) a Erasmo
da Rotterdam (1469-1536) anche se la sua diffusione europea si prolunga nel
pieno e tardo Cinquecento.
Il concetto di Rinascimento si può considerare inclusivo di quello di
Umanesimo, che si applica in prevalenza all’ambito filosofico e letterario. Gli
umanisti, cultori delle humanae litterae, erano coloro che si dedicavano alla
riscoperta e allo studio delle opere dell’antichità, dapprima latina, poi anche
greca.
Tra gli autori così riproposti all’attenzione del mono intellettuale si può citare
Platone, tradotto in lingua latina da Marsilio Ficino che raccolse intorno a sé un
cenacolo detto appunto “Accademia Platonica”.
Gli umanisti insegnavano a esprimersi in un latino colto ed elegante, modellato
sullo stile ciceroniano.
Benchè anche nelle arti figurative fossero ricercati e imitati i modelli antichi. La
rarità di qusti ultimi favorì una maggiore originalità nella riproduzione degli
oggetti, del paesaggio e della figura umana:
-osservazione della realtà e della natura sempre più attenta -> tecnica della
prospettiva di Pier della Francesca
-architetto Filippo Brunelleschi,inventore di macchine e congegni di ogni genere
Leonardo da Vinci (anche pittore, architetto, ingegnere idraulico,indagatore
della natura).
La brutale rottura dell’equilibrio tra gli Stati rinascimentali italiani ad opera
delle potenze straniere doveva segnare a lungo termine la crisi anche di questo
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mondo intellettuale.
Ma in un primo tempo quelle vicende diplomatiche e militari agirono di stimolo
alla riflessione politica e storiografica. Col “Principe” e coi “Discorsi”,
Machiavelli fondò in pratica la nuova scienza politica, sulla base di una sua
scissione dalla morale e di un’esaltazione dei modelli classici basati sulla
“virtù” e sulla partecipazione attiva dei cittadini.
Aspettative e tensioni religiose alla fine del Medioevo: Erasmo da Rotterdam
Questa cultura rinascimentale era fortemente impregnata di valori laici e
terreni e piuttosto indifferente alle dispute dottrinali e teologiche.
Anche in Italia non mancavano però spiriti che potevano al centro delle loro
preoccupazioni il rapporto con Dio, la purificazione della fede e il problema
della salvezza ultraterrena; ma la compenetrazione tra umanesimo ed
evangelismo è tipica piuttosto di altri paesi europei in cui era forte il peso
dell’eredità medievale e più sentita l’esigenza di conciliare fede e ragione,
l’ammirazione per i classici e l’impronta cristiana dell’esistenza.
Il rappresentante più autorevole dell’umanesimo cristiano è l’olandese Erasmo
da Rotterdam (1469 circa-1536). Educato agli ideali di vita religiosa, Erasmo
entrò, come farà poi Lutero, in un convento agostiniano, ma dopo sei anni
lasciò la vita del chiostro per seguire liberamente la sua inclinazione agli studi.
Arrivando a Parigi, Inghilterra, Venezia e Basilea strinse una relazione con i
circoli colti locali e si acquistò un prestigio ineguagliato per la sua conoscenza
dei classici e per l’eleganza del suo stile latino.
Tra le sue opere più celebri troviamo opere satiriche i cui bersagli principali
sono la pedanteria, l’intolleranza, il fanatismo, le superstizioni e gli eccessi di
devozione.
Nel “Manuale del soldato cristiano” e nell’ “Educazione del principe cristiano”
Erasmo delineò il quadro di una morale che conciliava le influenze del mondo
classico con l’insegnamento di Cristo.
Il contributo maggiore di Erasmo a questo ritorno alla fondi del cristianesimo fu
la sua edizione critica del testo greco e latino del “Nuovo Testamento” (1516)
che servirà a Lutero per la sua traduzione della Bibbia in tedesco. Il
cristianesimo di Erasmo era tuttavia un ideale di vita pratica piuttosto che un
insieme di dormi, e per questo egli non volle mai separarsi dalla Chiesa
cattolica. Eppure le sua opere verranno messe all’Indice della Chiesa di Roma:
nell’epoca della Controriforma non ci sarà più posto per la sua proposta di un
cristianesimo ragionevole, di una riforma religiosa e morale ispirata al Vangelo.
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La riforma luterana
Martino Lutero era figlio di un piccolo imprenditore minerario ed era nato nel
1483 ad Eisleben, cittadina della Germania, dove dominava una religiosità
ancora medievale, coi suoi toni cupi e i suoi terrori del diavolo e del peccato.
Nel 1501 Lutero si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza ma nel 1505,
improvvisamente, scelse di farsi monaco a causa, probabilmente, di una
profonda crisi interiore.
Ciò che lo tormentava era la sensazione della propria inadeguatezza di fronte ai
comandamenti divini, la paura del peccato e della dannazione eterna.
Lutero cercò la risposta ai propri dubbi negli studi teologici.
La giustizia divina, in sostanza, andava intesa non come giudizio e punizione,
ma come giustificazione, come il dono della grazie offerto, mediante il sacrificio
di Cristo, al peccatore che riconosca la propria indegnità e si affidi alla sua
misericordia.
Anche secondo la tradizionale visione della Chiesa la grazie era indispensabile
ma l’uomo poteva meritarsela con le buone opere e così contribuire alla propria
salvezza.
Invece per Lutero la natura umana è intrinsecamente malvagia, corrotta dal
peccato originale, e nulla può fare da sé.
Il giusto (nel senso di “giustificato”) farà naturalmente il bene, per amore di Dio
e del prossimo, ma ciò sarà una semplice conseguenza e non una causa del
suo stato di grazia.
Questo accenno esclusivo posto sulla fede e questo pessimismo sulla natura
umana saranno ribaditi da Lutero nell’opera intitolata “Sulla schiavitù della
volontà” in polemica con Erasmo da Rotterdam, che sosteneva la validità
dell’iniziativa umana.
Alla luce di ciò, la Sacra Scrittura acquistava un nuovo significato; doveva
essere letta e spiegata senza tenere conto delle interpretazioni ufficiali.
Erano due principi fondamentali della teologia luterana:
-Con la sola Scrittura
-Con la sola fede
Questa Rivelazione contenuta nei testi sacri cancellava di colpo il magistero
della Chiesa in materia teologica, così come la dottrina della giustificazione per
fede ne annullava la funzione intermediaria fra uomo e Dio.
Dei sette sacramenti tradizionalmente ammessi dalla Chiesa, solo due si
salvavano dalla rilettura dei testi sacri: il battesimo, come cerimonia di
iniziazione alla vita cristiana, e l’eucarestia, che vede la presenza reale del
Cristo nel pane e nel viso offerto ai fedeli.
Importante era la soppressione del sacramento dell’Ordine: ne conseguiva il
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sacerdozio universale dei laici, l’idea cioè che chiunque potesse essere
chiamato a celebrare le funzioni religiose.
Tanto meno giustificabili erano i voti monastici: Lutero stesso alla metà degli
anni Venti abbandonerà la vita claustrale e si sposerà con una ex monaca.
Naturalmente questo insieme di convinzioni non fu elaborato da Lutero tutto in
una volta; la rottura con Roma avvenne per “strappi” successivi e si consumò
in un contesto politico-sociali.
La rottura con Roma e le ripercussioni in Germania
La vicenda che indusse Lutero a venire per la prima volta allo scoperto è assai
indicativa del tipo di preoccupazioni che all’inizio del Cinquecento dominavano
le istituzioni ecclesiastiche.
Papa Leone X conferì la nomina di arcivescovo di Magonza ad Alberto di
Hohenzollern dietro pagamento di 10.000 ducati. Per nascondere il pagamento
dell’ingente somma di denaro, il pontefice gli concesse l’appalto di una vendita
di indulgenze, bandita in tutta la Germania, allo scopo di finanziare la
ricostruzione della basilica di San Pietro: metà del ricavato sarebbe rimasta ad
Alberto e l’altra metà sarebbe toccata alla Camera apostolica.
Teoria delle indulgenze
La teoria delle indulgenze era basata sul presupposto dell’esistenza di un
tesoro di meriti accumulati dalla Vergine e dai santi, secondo alcuni, per
abbreviare le pene del Purgatorio. I predicatori ingaggiati di Alberto
promettevano addirittura il Paradiso a chiunque si fosse mostrato prodigo del
proprio denaro.
Il 31 ottobre 1517 Lutero inviò ad Alberto 95 tesi, che secondo la tradizione
affisse anche alla porta della chiesa del castello di Witenberg. Non solo vi era
stigmatizzato il traffico delle indulgenze ma vi era negata la facoltà del
pontefice di rimettere le pene, al di fuori di quelle da lui stesso inflitte.
All’insaputa di Lutero, che aveva inteso solo avviare un dibattito accademico, le
tesi furono stampate e riscossero grande successo in tutta la Germania, segno
dell’esasperazione ormai suscitata dalla rapacità della Chiesa.
A Roma, solo nel giugno 1520 fu emanata da Leone X la bolla “Exsurge
Domine” (Lèvati, o Signore) che lasciava a Lutero sessanta giorni per ritrattare
prima che contro di lui fosse scagliata la scomunica. Per risposta, alla fine
dell’anno Lutero bruciò pubblicamente la bolla insieme ai libri di diritto
canonico.
La scomunica giunse nel primi giorni del 1521; il nuovo imperatore Carlo V
eletto nel giugno 1519 però, aveva promesso a Federico il Saggio, elettore di
Sassonia e protettore di Lutero, che avrebbe consentito a quest’ultimo di
giustificarsi alla sua presenza. Il memorabile incontro avvenne alla Dieta
imperiale di Worms nei giorni 17 e 18 aprile 1521.
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Lutero pero si rifiutò di scusarsi e di riconoscere i propri errori anche davanti
alla Chiesa.
L’editto di Worms, promulgato qualche settimana più tardi, dichiarava Lutero al
bando dell’Impero, il che significava che chiunque avrebbe potuto ucciderlo
impunemente.
Nel frattempo però l’elettore di Sassonia lo aveva messo in salvo nel castello di
Warttburg, dove Lutero attese per circa un anno alla traduzione in tedesco nel
Nuovo Testamento e alla stesusa di altri scritti.
La battaglia di Lutero aveva suscitato in tutta la Germania una immensa eco.
Dove non arrivava la parola scritta, arrivavano le illustrazioni e le xilografie,
nonché la predicazione dei numerosi ecclesiastici convertiti che dipingevano il
Papa come l’Anticristo, la Chiesa di Roma come una meretrice, Lutero come il
santo e il profeta inviato da Dio per suscitare un grande cambiamento
nell’umanità, per introdurre quella “età dello spirito” che avrebbe preceduto la
fine del mondo.
Il messaggio di Lutero quindi faceva appello ad un anticlericalismo diffuso in
tutti i ceti e a un nascente nazionalismo germanico.
Le correnti radicali della Riforma. La guerra dei contadini.
Fin dal 1520 alcuni seguaci di Lutero cominciarono ad aizzare le folle non solo
contro il clero e le istituzioni romane, ma anche contro tutte le ingiustizie e
tutte le forme di oppressione: riforma religiosa e riforma sociale erano infatti
strettamente congiunte per questi predicatori, che si proponevano di instaurare
sulla retta il regno di Do, basato sulla fratellanza e sui principi del Vangelo.
Molti di loro, inoltre, erano convinti che Dio non avesse parlato agli uomini una
volta per tutte nella Bibbia, ma continuasse a rivelarsi agli spiriti eletti
attraverso l’illuminazione interiore.
Già da parecchi mesi ormai, infuriava in varie regioni della Germania la guerra
dei contadini. Gli insorti non erano spinti tanto dalla miseria, quanto dalla
volontà di ristabilire gli “antichi diritti” contro le recenti usurpazioni dei signori
che tendevano ad accrescere i prelievi feudali e a impadronirsi dei beni
comunali, di difendere l’autonomia della comunità di villaggio e di realizzare la
morale evangelica.
Le violenze e i saccheggi perpetrati dai rivoltosi e il pericolo di un
sovvertimento delle gerarchie indussero i principi, i prelati, la nobiltà e i ceti
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urbani superiori a serrare le file e ad armarsi per stroncare il movimento,
indebolito dalla mancanza di unità delle bande contadine, che operavano
ciascuna nel proprio territorio.
La repressione fu durissima. Lo stesso Lutero, in uno scritto pubblicato nel
maggio del 1525 aveva esortato i principi e i signori a “colpire, scannare,
massacrare in pubblico o in segreto” i sediziosi, dei quali “nulla può esistere di
più velenoso, nocivo e diabolico”. La condanna della ribellione aperta era in
fondo coerente con la visione ancora medievale che Lutero aveva dell’autorità
di principi e magistrati, istituita da Dio per mantenere l’ordine e reprimere i
malvagi, e con la netta distinzione che egli operava tra la libertà interiore del
cristiano e il suo dovere esteriore di obbedienza ai superiori e alle leggi.
All’inizio degli anni Venti Lutero e il suo braccio destro, Filippo Melantone,
disapprovavano ogni costituzione in materia di fede e confidavano
nell’intrinseca virtù della parola di Dio, in seguito furono indotti ad appoggiarsi
sempre più all’azione dei principi e ad approvare la costituzione di Chiese
evangeliche da questi ordinate e controllate.
La corrente più radicale della Riforma sopravvisse alla disfatta dei contadini
soprattutto grazie all’azione dei gruppi anabattisti. Questo termine, che
significa “ribattezzatori” si riferisce all’uso di somministrare il battesimo agli
adulti, giacchè secondo costoro solo l’adesione consapevole del soggetto
rendeva valido il sacramento. 27
La conclusione dei conflitti in Germania
Frattanto erano ripresi gli sforzi di Carlo V per risolvere la questione luterana.
Fiducioso nelle possibilità che un concilio universale appianasse le divergenze
in materia di fede, l’imperatore convocò nel 1530 una dieta di Augusta. Qui,
Filippo Melantone redasse una professione di fede, la “Confessio Augustana” a
cui aderì la maggior parte delle città e dei principi riformati. Ma l’intransigenza
dei teologi cattolici cui ne fu affidato l’esame rese impossibile l’accordo.
L’ultimo tentativo di conciliazione ebbe luogo nel 1541 a Ratisbona, dove un
compromesso tra protestanti e cattolici parve delinearsi sullo spinoso problema
della giustificazione per fede. Ma le posizioni tornarono subito ad allontanarsi
irrimediabilmente e i negoziati lasciarono il posto allo scontro armato.
Le trattative per un accordo furono condotte dal fratello di Carlo V, Ferdinando,
e sfociarono nella pace di Augusta (25 settembre 1555). Con essa venne
riconosciuta l’esistenza in Germania di due diverse fedi religiose, quella
cattolica e quella luterana: mentre nelle città imperiali era ammessa la loro
convivenza, i principi territoriali potevano imporre il proprio credo ai sudditi, i
quali in caso di dissenso erano obbligati ad emigrare. Le secolarizzazioni di beni
ecclesiastici (cioè il loro incameramento da parte delle autorità civili) erano
confermate fino al 1552; da quell’anno, i prelati che si fossero convertiti al
luteranesimo avrebbero dovuto rinunciare ai loro possedimenti. L’applicazione
di queste regole sarebbe stata garantita, significativamente, non dai
rappresentanti imperiali ma dai principi stessi.
28
La pace di Augusta sanciva così al tempo stesso la scissione religiosa della
Germania e un grave indebolimento dell’autorità imperiale.
I veri vincitori della lunga lotta erano i principi, non solo luterani ma anche
cattolici, che consolidarono il proprio potere all’interno.
La decisione di Carlo V di spartire il suo immenso impero tra il fratello
Ferdinando e il figlio Filippo II divenne effettiva tra il 1555 e il 1556 con la sua
abdicazione a tutti i titoli.
Ferdinando diveniva imperatore del Sacro Romano Impero col titolo di
Ferdinando I ed ereditava le corone di Boemia e di Ungheria e i ducati austriaci.
A Filippo II invece toccavano la Spagna con tutte le sua colonie e inoltre i Paesi
Bassi, la Franca Contea e in Italia il Regno di Napoli, la Sicilia, la Sardegna e il
Ducato di Milano.
Carlo trascorse i suoi ultimi anni nel monastero spagnolo di Yuste, dove si
spense il 21 settembre 1558.
Da Zwingli a Calvino: “il governo dei Santi”
L’esperienza di Ulrich Zwingli (1484-1531) fu parallela a quella di Lutero, ma
ebbe caratteri in parte diversi, legati al vivace clima politico-intellettuale dei
liberi cantoni della Svizzera tedesca, resisi del tutto indipendenti.
Zwingli si stacco progressivamente dalla fede tradizionale e tra il 1523 e il
1525 riuscì a convincere il Consiglio cittadino ad abolire la messa, a riformare
la liturgia e a imporre la Bibbia come unica fonte di autorità in campo religioso.
Fu impossibile raggiungere l’appoggio dei luterani tedeschi soprattutto a causa
del problema teologico dell’eucarestia: Zwingli la interpretava coma una
semplice cerimonia commemorativa dell’Ultima Cena, mentre Lutero, come si è
già detto, credeva nella presenza reale di Cristo nel pane e nel vino offerti ai
fedeli. 29
Non avendo ottenuto l’alleanza, nel 1531 un esercito cattolico mosse contro
Zurigo: i protestanti ebbero la paggio e lo stesso Zwingli morì in battaglia.
L’eredità di Zwingli ( del movimento di riforma delle città svizzere, del suo
carattere militante e la sua tipica compenetrazione tra potere religioso e potere
civile) fu raccolta dal calvinismo.
Giovanni Calvino compì accurati studi umanistici e giuridici a Orléans e Parigi.
Nel 1534, di fronte a un’ondata di persecuzione degli “eretici” scatenata da
Francesco I, egli fuggì all’estero, riparandosi prima a Strasburgo e poi a Basilea.
Qui pubblicò nel 1536 “Istituzione della religione cristiana” che si presenta
come una autorevole guida alla lettura e alla comprensione della Bibbia.
Molti punti essenziali della dottrina luterana sono condivisi da Calvino, a
cominciare dall’autorità esclusiva della Sacra Scrittura e dalla giustificazione
per fede. Il Dio di Calvino, tuttavia, è più il Dio del Vecchio che del Nuovo
Testamento: un Dio maestoso, inaccessibile, tremendo, che fin dal principio ha
predestinato ogni singolo uomo alla salvezza o alla dannazione eterna, secondo
criteri di giustizia per noi incomprensibili. La predestinazione, tuttavia, non
elimina la responsabilità del peccatore: è il paradosso di Calvino.
Il concetto di “vocazione” già presente in Lutero, viene ancor più fortemente
sottolineato da Calvino, il quale, a differenza del suo predecessore, non crede
nell’imminente fine del mondo e attribuisce quindi molta importanza alla
graduale attuazione dei disegni della Provvidenza.
Malgrado la predestinazione, il calvinismo ha quindi una forte impronta
attivistica, che è ancora accresciuta dal bisogno psicologico del fedele di uscire
dall’angscioso dubbio circa il proprio destino ultraterreno.
Su queste basi, lo storico e sociologo Max Weber ha formulato ai primi del
Novecento la sua celebre tesi circa il rapporto tra etica protestante (anzi
specificatamente calvinista) e spirito del capitalismo.
Secondo Weber, la tensione dinamica imposta dalla dottrina calvinista nel
30
perseguimento della propria “vocazione” e la tendenza a interpretare la buona
riuscita delle proprie iniziative come segno dell’elezione divina avrebbero
costituito il terreno di coltura ideale per la formazione di una mentalità
imprenditoriale e di una tendenza all’accumulazione e al reinvestimento
propria del capitalismo moderno.
Un’altra importante differenza tra luteranesimo e calvinismo sta nella
concezione del rapporto tra la Chiesa e lo Stato. Rispetto alla “Chiesa
invisibile”, composta nell’insieme degli eletti di tutta l’umanità, assume
importanza crescente nel pensiero di Calvino la “Chiesa visibile”, la
congregazione dei fedeli legati dalla comune pratica del culto e dalla comune
appartenenza a uno Stato o ad una città.
Secondo Calvino l’autorità non deve limitarsi a mantenere l’ordine in un mondo
sottoposto al peccato, ma deve promuovere il bene spirituale dei sudditi in
accordo con la Chiesa visibile. Più che di una teocrazia, si tratta di un
trasferimento integrale alle autorità civili di quei compiti di controllo e sanzione
dei comportamenti privati che nei Paesi cattolici erano svolti dalla Chiesa.
Proprio per questo Calvino, a differenza di Lutero, ritiene legittima la resistenza
contro un sovrano malvagio, purchè essa sia guidata dai magistrati e non
assuma un carattere anarchico.
Nel 1541 la Chiesa ginevrina venne riorganizzata con una suddivisione dei
compiti tra i pastori, addetti all’esercizio del culto e alla predicazione della
parola di Dio (i dottori incaricati dell’insegnamento, i diaconi per l’assistenza ai
poveri e agli infermi etc..).
L’organi supremo della Chiesa era il Concistoro, formato da dodici anziani e da
un numero minore di pastori, la cui autorità si estendeva anche alla censura dei
magistrati civili.
Nella città così riformata venne introdotta una disciplina ferrea, che
comportava per esempio la proibizione delle osterie, dei balli, dei nomi di
battesimo non contenuti nella Bibbia e prevedeva pene severe per ogni
infrazione alla dottrina e alla morale. I dissidenti, dopo scontri armati, vennero
costretti ad andarsene. 31
La diffusione europea del protestantesimo. La Riforma in Inghilterra
L’istituzione di un’Accademia per la formazione dei pastori contribuì a fare di
Ginevra il centro d’irradiazione di una fede intransigente ed eroica, pronta al
martirio e alla ribellione per affermare la gloria del Dio sovrano e instaurare il
“governo dei santi”. Le principali aree europee di diffusione del calvinismo
furono la Francia, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna e l’Europa orientale (Polonia,
Boemia, Ungheria).
Nel 1528 il re d’Inghilterra Enrico VII Tudor (1509-1547), alleato della Francia
nella Lega di Cognac contro l’imperatore, chiese al pontefice l’annullamento del
suo matrimonio con Caterina d’Aragona, zia di Carlo V, che non gli aveva dato
il sospirato erede maschio. Clemente VII non si sentì di accogliere la domanda e
allora Enrico, pungolato anche dall’infatuazione per una dama di corte, Anna
Bolena, decide di fare da sé.
Nel 1529 convocò un Parlamento da cui ottenne non solo l’annullamento del
matrimonio, ma anche la rottura di tutti i vincoli di dipendenza da Roma e
l’approvazione nel 1534 dell’Atto di Supremazia, che lo dichiarava “capo
supremo” della Chiesa d’Inghilterra.
La dottrina e la struttura gerarchica della Chiesa non furono per il momento
32
toccate, ma gli ordini regolari furono sciolti a partire dal 1536 e i loro ingenti
beni fondiari incamerati dalla corona, che li mise in vendita favorendo così la
formazione di una nuova classe di medi e grandi proprietari terrieri (gentry).
Artefice principale dello “scisma anglicano” era stato il potent3e primo
segretario Enrico VIII, Thomas Cromwell, a cui si dovettero anche il
riordinamento del Consiglio privato della corona e il rafforzamento
dell’apparato amministrativo.
Dal punto di vista religioso, la vera riforma ebbe luogo durante il breve regnno
di Edoardo VI (1547-1553), dato dalla terza moglie di Enrico VIII.
La dottrina calvinista si diffuse allora largamente in Inghilterra.
Maria Tudor (1553-158), che succedette a Edoardo e sposò il re di Spagna
Filippo II, si sforzò di riportare l’Inghilterra alla fede cattolica con numerose
condanne a morte inflitte ai protestanti, che le meritarono il sopranome di
“Maria la Sanguinaria”. Dopo la morte assumerà una forma definitiva la Chiesa
anglicana, separata da Roma e soggetta all’autorità del sovrano.
Anche in Scozia alla fine degli anni Cinquanta il calvinismo divenne la religione
dominante.
Nei paesi Scandinavi fu invece il luteranesimo a diventare religione di Stato.
In Danimarca la trasformazione degli ordinamenti ecclesiastici fu opera del re
Federico di Holstein che proclamò il luteranesimo unica religione si Stato.
Le utopie nell’Europa moderna
Utopia fu il nome che l’umanista inglese Thomas More diede all’isola
immaginaria descritta nella celebre opera omonima.
More giocava sulla duplica etimologia greca del termine da lui coniato:
“ou-topia” (=non-luogo, luogo che non esiste) ma anche “eu-tepia” (luogo
/dove si sta/ bene).
Descrizione dell’isola:
L’isola, a forma di mezzaluna, contiene 54 città perfettamente uguali l’una
all’altra, abitate ciascuna da 6.000 famiglie. L’economia è fondamentalmente
agricola. Tra città e campagna vi è uno scambio continuo di uomini e di
prodotti: non esiste proprietà privata e non esistono lussi. Esiste la schiavitù
ma solo come punizione per i delitti più gravi.
Il Governo dell’isola è esercitato da un Senato e da consigli cittadini eletti dai
33
capifamiglia. I matrimoni sono rigidamente regolari: è previsto il divorzio, ma
l’adulterio è punito con la riduzione in schiavitù. Nell’isola vige una completa
tolleranza in materia religiosa, anche se vi è una specie di religione naturale cui
aderisce la maggior parte degli abitanti.
Taluni elementi della costruzione fantastica di More rimandano all’antichità
classica, in particolare ai miti di Atlantide e dell’età dell’oro e alla Repubblica di
Platone. Altri trovano riscontro in immagini già largamente diffuse in Europa
ideali del Rinascimento italiano.
9 LA CONTRORIFORMA E L’ITALIA DEL TARDO CINQUECENTO
Speranze e propositi di rinnovamento religioso
Il termine Controriforma, coniato in Germania verso la fine del XVIII secolo, non
ha raccolto nella storiografia consensi umani. Gli studiosi cattolici preferiscono
in genere il termine “Riforma Cattolica”, più atto a sottolineare l’autonomia e la
spontaneità del moto di rinnovamento che investì il mondo ecclesiastico nella
prima metà del Cinquecento.
Altri hanno proposto la definizione di “evangelismo” per indicare il diffuso
bisogno di una vita religiosa più vicina agli insegnamenti di Cristo e degli
apostoli, un bisogno sentito dai fedeli di tutta Europa al di là delle frontiere, che
comunque si solidificarono solo verso la metà del secolo.
I nuovi ordini religiosi: i gesuiti
Questo clima di fervore e rinnovamento si espresse anche nella creazione di
nuovi ordini regolari o nella riforma dei vecchi.
Si può ricollegare la nascita, intorno al 1528, dell’ordine dei cappuccini, un
nuovo ramo della grande famiglia francescana: all’ideale della povertà
assoluta, secondo lo spirito originario, di san Francesco, i cappuccini univano
quello dell’assistenza spirituale e materiale alla gente umile.
La scelta della vita attiva caratterizza anche altre congregazioni sorte nella
prima metà del Cinquecento, come i barnabiti, i somaschi, i cui loro obiettivi
34
principali erano la formazione del clero, l’evangelizzazione delle plebi,
l’assistenza ai malati e agli organi e l’insegnamento. Al movimento non
rimasero estranee le donne, con la formazione della congregazione delle
orsoline nel 1535 grazie alla bresciana Angela Merici.
Ma l’ordine che più di ogni altro era destinato a incarnare lo spirito della
Controriforma fu la Compagnia di Gesù. Il suo fondatore, lo spagnolo Ignazio di
Loyola (1491-1556) era un tipico esponente di un ceto caratterizzato dalla
vocazione delle armi e dallo spirito di crociata, da cui uscirono anche i
conquistadores.
Ferito durante un assedio, Ignazio decise di convertirsi a una vita di preghiera e
di penitenza. Nel 1534 Ignazio pronunciò i voti di povertà e castità e si impegnò
a consacrare la propria vita alla liberazione della Terra Santa e al servizio della
Chiesa e del suo pontefice.
Dal 1535 Ignazio e i suoi compagni soggiornarono in Italia: a Roma nel 1540 la
costituzione della Compagnia di Gesù venne solennemente approvata da papa
Paolo III.
Fin dall’inizio i gesuiti si caratterizzarono come una milizia scelta al servizio del
papa e dalla Controriforma. Ai tre voti tradizionali di povertà, castità e
obbedienza, essi ne aggiungevano un quarto, di fedeltà assoluta alle direttiva
del pontefice.
I collegi dei gesuiti si configuravano come istituzioni fondate e dotate da
benefattori; essi erano dedicati alla formazione non solo del clero, ma in
generale dei giovani di nascita aristocratica o alto-borghese. La formazione
delle classi dirigenti divenne col tempo una specialità della Compagnia, che
elaborò una propria efficace pedagogia, imperniata sull’insegnamento del
latino e dei classici, sull’emulazione tra gli studenti congiunta alla severa
disciplina dei comportamenti.
Grande fu anche il contributo dei gesuiti all’attività missionaria che costituì uno
degli aspetti più significativi della Controriforma. (India e Indonesia predicando
il Vangelo, evangelizzazione e protezione degli indigeni svolta nell’America
35
spagnola, introduzione nel 1549 del Cattolicesimo in Giappone…).
Il concilio di Trento
Nel 1541 fallì a Ratisbona l’ultimo tentativo di accordo tra protestanti e
cattolici. Nel 1542 venne creata a Roma, per dirigere e coordinare la
repressione dell’eresia, la Congregazione del Sant’Uffizio o dell’Inquisizione.
Ormai non ci era più posto in Italia per tentennamenti e posizioni intermedie.
L’unica alternativa alla pratica del nicodenismo (l’atteggiamento di chi si
conformava esteriormente al culto ufficiale, pur professando nel proprio intimo
una fede diversa) era l’esilio volontario.
Il concilio ecumenico (esteso cioè a tutto il mondo cristiano), sollecitato
dall’imperatore che sperava in un riassorbimento dello scisma protestante, ma
procrastinato per ragioni politiche da Paolo III, che voleva assicurarsene lo
stretto controllo fu infine indetto nel 1542 a trento, scelta in quanto sede di un
principato vescovile, che d’altra parte era soggetto all’Impero. A causa della
riapertura delle ostilità tra Carlo V e il re di Francia, il concilio poté riunirsi
effettivamente solo il 13 dicembre 1545.
Fu cosi scavato un solco incolmabile e definitivo tra le posizioni della Chiesa
cattolica e quelle delle confessioni protestanti.
Paolo IV estese i poteri dell’Inquisizione, sottopose alcuni dei maggiori
esponenti del partito riformatore e promulgò nel 1559 il primo “Indice dei libri
proibiti” in cui venne fra l’altro inserita l’intera opera di Erasmo.
36
Dal concilio tridentino usciva in primo luogo riaffermato e rafforzato il carattere
monarchico della Chiesa cattolica; era chiaramente stabilita la superiorità del
pontefice sul concilio e la sua discrezionalità nell’applicarne le deliberazioni. Le
decisioni principali del concilio riguardarono, oltre alla riaffermazione del valore
delle opere ai fini della salvezza, la collocazione della tradizione della Chiesa
accanto alla Sacra Scrittura come fonte della verità; la natura dei sacramenti
(soprattutto l’eucarestia e l’ordine); furono ribadite l’esistenza del Purgatorio e
la validità delle Indulgenze.
La chiesa e il papato nella seconda metà del Cinquecento
Il concilio di Trento segna la ripresa in grande stile della Chiesa cattolica, la
conquista di una nuova compattezza e durezza nella lotta contro il
protestantesimo e le tendenza eterodosse, l’affermazione di una volontà di
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dominio non solo in campo spirituale, ma anche nella sfera politica e sociale.
L’egemonia spagnola in Italia
La pace di Cateau-Cambrésis, stipulata tra Francia e Spagna nel 1559, sancì
una egemonia destinata a durare fino agli inizi del XVIII secolo.
La spagna controllava direttamente quasi metà del territorio italiano, e cioè i
Regni di Napoli, Sicilia, il ducato di Milano e lo Stato dei Presidi.
Degli altri Stati, solo Venezia poteva considerarsi veramente indipendente,
giacchè i sovrani di Savoia e di Toscana dovevano a Carlo V e a Filippo II i loro
titoli e il loro ingrandimento, Genova era legata a Madrid a causa dei suoi
interessi finanziari, mentre i Ducati padani (di Parma e Piacenza e quello dei
Gonzaga a Mantova..etc..)erano troppo piccoli per contare sulla scena politica.
Quanto allo stato Pontificio, la sua subordinazione, anche finanziaria, alla
funzione universale della Chiesa ne rendeva inevitabile l’alleanza con la
monarchia spagnola, che in Europa e nel Mediterraneo rappresentava il
maggiore baluardo del cattolicesimo.
Al monarca spagnolo si riconosceva la suprema autorità legislativa e il
diritto-dovere della difesa e quindi del prelievo delle risorse necessarie; ma la
facoltà di applicare e interpretare le letti e di ripartire e riscuotere le imposte
era considerata prerogativa degli organi di governo locali.
A Milano era il tribunale supremo, il Senato, a svolgere il ruolo di interlocutore
principale dell’autorità sovrana, Sia il Senato che il Consiglio collaterale, sia le
minori magistrature erano composti dai “togati”, cioè da laureati in
giurisprudenza, che in Lombardia provenivano quasi sempre dalle file del
patriziato urbano. 38
Lo Stato Sabaudo, occupato dai francesi e spagnoli durante le guerre d’Italia
venne ricostituito sotto il duca Emanuele Filiberto(1553-1580) alla pace di
Cateau-Cambrésis. Egli trasferì la capitale da Chambéry a Torino; soppresse i
limitò molte autonomie locali e centralizzò il controllo finanziario in una Camera
dei conti.
L’aumento delle imposte e l’impulso dato alle attività economiche resero
possibile la costituzione di un piccolo, ma disciplinato esercito permanente.
Il successore Carlo Emanuele I (1580-1630) cercò di sfruttare questa nuova
compattezza del ducato per una serie di iniziative espansionistiche spesso
avventurose.
Riuscì nel 1601 a ottenere dalla francia il Marchesato di Saluzzo in cambio della
cessione di alcuni territori in Savoia.
L’inquisizione in Italia
L’ Inquisizione Romana fu istituita il 21 luglio del 1542 da papa Paolo III con la
bolla Licet ad initio. La sua fondazione, volta a centralizzare i tribunali
ecclesiastici impegnati nella repressione antiereticale, rifletteva la crescente
preoccupazione per il diffondersi in Italia di idee eterodosse e protestanti non
solo tra i privati, ma anche ai più alti livelli della società politica italiana,
all’interno di Consigli cittadini come quello di Modena, di piccoli Stati autonomi
come Lucca e persino tra i vertici della gerarchia ecclesiastica, secolare e
regolare.
Con il provvedimento del 1542, Paolo III istituì una commissione si sei generali,
nominati inquisitori generali e incaricati di vigilare a difesa dell’ortodossia con
poteri giudiziari estesissimi.
Nessuno, neppure i cardinali, era esente dalla giurisdizione degli inquisitori
generali, i quali potevano procedere contro le autorità di governo ecclesiastiche
e laiche, con forte pregiudizio della sovranità degli Stati, e in particolare degli
Stati italiani.
Restarono escluse dalla sua giurisdizione la Sicilia e la Sardegna, sottoposte
all’Inquisizione spagnola, dipendente dal re.
Accanto al tribunale dell’Inquisizione, l’altro principale strumento creato al fine
di combattere il dissenso teologico e culturale fu la Congregazione dell’Indice,
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istituita da Pio V nel 1572.
Liquidato già negli anni settanta del Cinquecento il dissenso teologico e
dottrinale, l’attenzione del Sant’Uffizio si appuntò sugli esponenti del pensiero
deviazionista nei confronti della tradizione scolastica e aristotelica: per citare
solo un esempio, Giordano Bruno fu arso al rogo a Roma nel 1600; Tommaso
Campanella morì esule a Parigi dopo trent’anni di carcere; Galileo Galilei fu
processato e costretto all’abiura nel 1633 per aver messo in discussione le
posizioni tolemaiche e geocentriche sostenute dalla Chiesa.
Alla coercizione delle coscienze si affiancò una non meno sistematica opera di
controllo della cultura e della stampa. Nel 1572 l’Inquisizione fu affiancata dalla
Congregazione dell’Indice, che si occupò dell’aggiornamento delle proibizioni e
del controllo sulla stampa: il terzo Indice fu redatto nel 1596.
Di particolare rilievo, fu la proibizione della lettura della Bibbia in volgare,
incoraggiata invece per ovvi motivi nei Paesi protestanti.
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10 L’EUROPA NELL’ETA’ DI FILIPPO II
Filippo II e i regni iberici
Carlo V abdicò e rese effettiva la divisione dei suoi immensi domini.
Mentre il fratello Ferdinando diveniva imperatore col titolo di Ferdinando I
(1555-1564) ed ereditava gli Stati ereditari asburgici e le due corone di Boemia
e d’Ungheria, al figlio Filippo II toccava la corona di Spagna con i suoi immensi
possedimenti nel Nuovo Mondo e in Europa (es. Ducato di Milano, Regni di
Napoli, Sicilia e Sardegna, Paesi bassi etc…).
Il nuovo re di Francia Francesco II, succeduto a Francesco I nel 1547 volle
tentare ancora una volta la sorte delle armi ma sconfitto nel 1557 dovette
rassegnarsi a firmare la pace di Cateau-Cambrésis (1559), che assicurava alla
Spagna una schiacciante supremazia in Italia e il possesso della Franca Contea
e dei Paesi Bassi.
Inghilterra:
Se il disegno di ricondurre l’Inghilterra all’obbedienza cattolica e di farne una
componente del sistema asburgico venne frustrato dalla prematura scomparsa
di Maria Tudor, la seconda moglie di Filippo, in compenso la monarchia
francese, la sua maggiore rivale, vene durevolmente indebolita dalle divisioni
religiose interne e da una successione di re minori o incapaci dopo la morte
accidentale di Enrico II (1559).
Tra il 1558 e il 1560 fu rafforzata in Spagna l’Inquisizione, furono proibiti i
viaggi all’estero degli studenti e l’introduzione dei libri stranieri.
L’intransigenza in materia religiosa non faceva che rispondere a un’aspirazione
profonda del popolo castigliano, eredità della reconquista: una tendenza non
priva di risvolti razzisti, dato che la purezza della fede si faceva coincidere con
41
la limpidezza de sangre, con una discendenza non contaminata da sangue
moro o ebraico.
E’ da osservare che le restrizioni alla libertà di pensiero e di espressione non
ebbero in Spagna gli effetti soffocanti sulla vita intellettuale che si registrarono
in Italia; nella sua storia letteraria e artistica, il periodo che va dalla metà del
Cinquecento alla metà del Seicento è noto come il “secolo d’oro”.
Tornato dai Paesi bassi nel 1559, Filippo II non si mosse quasi più dalla
Castiglia.
Tale accentramento del potere decisionale nella persona del monarca non deve
essere confuso con il centralismo politico e istituzionale al quale tenderanno le
monarchie assolute nei secoli XVII e XVIII. Filippo II rimase sempre fedele alla
concezione imperiale di Carlo V secondo cui ogni Paese doveva mantenere la
propria individualità e i propri ordinamenti ed essere unito agli altri solo nella
persona del sovrano.
Nel 1580, in seguito all’estinzione della dinastia regnante, il Portogallo con i
suoi vasti possedimenti coloniali fu annesso alla corona spagnola, anch’esso
mantenne inalterate la sua forma di governo, le sue leggi e venne sottoposto
ad un nuovo Consiglio formato interamente di portoghesi.
La battaglia di Lepanto e i conflitti nel Mediterraneo
L’indiscussa egemonia spagnola in Italia e il possesso diretto del Regno di
Napoli, della Sicilia e della Sardegna, garantivano a Filippo II (spagnolo) una
posizione dominante nel Mediterraneo ma lo rendevano al tempo stesso più
esposto agli attacchi dei corsari barbareschi e dalla potenza ottomana.
La flotta ottomana sferrò nel 1570 un improvviso attacco contro l’isola di Cipro,
avamposto orientale di Venezia e della cristianità.
Per iniziativa di papa Pio V (1566-1572) si costituì allora una “santa lega” in cui
entrarono Venezia Spagna, Repubblica di Genova, il duca di Savoia e l’ordine di
Malta. Il 7 ottobre 1571, quando già Cipro era caduta in mano ai turchi, la flotta
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cristiana al comando di don Giovanni d’Austria (un figlio naturale di Carlo V) e
quella ottomana si affrontarono nei pressi di Lepanto (oggi Nafpaktos).
Lepanto fu l’ultima grande battaglia della storia che vide protagoniste le navi a
remi e che fu combattuta con la tecnica dell’abbordaggio.
Alla fine della giornata si delineò schiacciante la vittoria delle forze cristiane.
La vittoria cristiana apparve come una sanzione divina degli ideali della
Controriforma e fu esaltata da letterati, poeti e artisti.
Assai più modesti furono i risultati sul piano politico e militare , anche per i
dissidi subito insorti fra gli alleati. Venezia, preoccupata per i suoi possedimenti
nel Mediterraneo orientale, preferì firmare una pace separata (1573)
rinunciando a Cipro.
Nell’ultimo ventennio del XVI secolo, infine, si registra la penetrazione in forze
nel Mediterraneo degli olandesi e soprattutto degli inglesi: al tradizionale
scontro tra ottomani e cristiani si sovrapponeva quindi la rivalità fra protestanti
e cattolici.
La rivolta dei Paesi Bassi
Alle origini dell’insurrezione olandese contro la Spagna, che è stata definita la
prima rivoluzione borghese dell’età moderna, vi furono essenzialmente tra
fattori.
1)Il primo è il fattore religioso. I Paesi Bassi erano stati fin da principio un
terreno fertile per la diffusione delle dottrine riformate, in particolare del
calvinismo. Naturalmente non poteva mancare la risposta repressiva di Filippo
II, strenuo difensore dell’ortodossia religiosa.
2) Il secondo fattore è quello politico. Il monarca aveva affidato il governo dei
Paesi Bassi alla sorellastra Margherita, che al suo fianco aveva posto il
cardinale di Granvalle, che diresse la lotta contro l’eresia rafforzando
l’Inquisizione e mostrando scarso rispetto per le tradizionali autonomie
cittadine e per le prerogative degli Stati provinciali. Ciò suscitò l’irritazione e
l’opposizione dei patriziati urbani e dell’alta nobiltà, pur fedeli nella grande
maggioranza al culto religioso.
Il governo Asburgico veniva ora avvertito come straniero e oppressivo
43
nonostante l’allontanamento di Granvelle (1564).
Malgrado il suo allontanamento i nobili fiamminghi il 5 aprile 1566 invasero in
armi il palazzo della governatrice e pretesero l’abolizione dell’Inquisizione e la
mitigazione delle leggi contro i protestanti.
3) Il terzo fattore che contribuì in modo determinante a trasformare la protesta
in rivolta, fu la crisi economica che verso la metà degli anni Sessanta colpì i
centri urbani e soprattutto Anversa a causa del trasferimento ad Amburgo del
luogo di raccolta dei panni semilavorati da tingere e da finire e della
temporanea chiusura del Baltico legata a una guerra in corso tra Svezia e
Danimarca.
Nel 1566 dunque, ad Anversa e in altre città folle di calvinisti si dietedo a
devastare le chiese e a distruggere le immagini sacre, ritenute manifestazioni
di idolatria.
Di fronte alla ribellione aperta, Filippo II decise di ricorrere alla forza e inviò
nelle Fiandre un forte esercito al comando del terribile Duca d’Alba. L’Alba fede
arrestare i capi dell’opposizione.
Una nuova ondata di malcontento fu suscitata nel 1569 dall’imposizione di
tasse per mantenere l’esercito spagnolo e in particolare dall’istituzione di
un’imposta del 10% su tutte le transazioni commerciali.
Approfittando della situazione di fermento, il principe Guglielmo di
Orange.Nassau, un grande aristocratico sfuggito alle persecuzioni del duca
d’Alba, riuscì ad allestire una flotta e a invadere le province settentrionali dal
mare, facendosi proclamare nel 1572 “governatore militare” delle province di
Olanda e Zelanda e convertendosi al calvinismo.
In quelle zone acquitrinose, che avevano una difesa naturale nei grandi estuari
del Reno e della Mosa, i “pezzenti”, come gli spagnoli chiamavano con
disprezzo i rivoltosi, riuscirono a resistere all’esercito del duca d’Alba.
Nei primi mesi del 1579 si giunse alla definitiva scissione del Paese. Mentre le
dieci province meridionali, corrispondenti all’attuale Belgio, tornavano l’una
dopo l’altra all’obbedienza, le sette province settentrionali continuarono la
lotta, rafforzate anche dal flusso di profughi calvinisti proveniente dalle Fiandre
e dal Barbante.
Neppure l’assassinio di Guglielmo d’Orange perpetrato da un sicario il 10 luglio
1584, modificò la situazione, che evolveva ormai verso la piena indipendenza
dell’Olanda e delle altre province del Nord. Del resto ogni residua possibilità
della Spagna di risolvere a proprio favore la lotta venne frustrata dall’apertura
di nuovi fronti in Inghilterra e in Francia.
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L’inghilterra nell’età elisabettiana
Nata nel 1533 da Enrico VIII e la sua seconda moglie Anna Bolena, Elisabetta
salì al trono dopo la morte di Maria Tudor, alla fine del 1558.
Il suo governo si caratterizzò per un notevole equilibrio tra l’esigenza di tenere
buoni rapporti con il Parlamento e la tendenza a concentrare i poteri decisionali
nel Consiglio privato della corona.
Il problema più urgente che stava di fronte a Elisabetta era quello religioso. Per
dare al Paese pace e stabilità la regina adottò una soluzione di compromesso
che fissò in maniera definitiva i tratti della Chiesa anglicana: riaffermò la
supremazia del sovrano in maniera religiosa, ma mantenne l’episcopato e con
l’Atto di uniformità del 1559 impose il Libro delle preghiere comuni.
Il dissenso religioso fu ampiamente tollerato.
Il compromesso elisabettiano lasciava insoddisfatti i calvinisti più intransigenti
detti puritani, che reclamavano l’abolizione dei vescovi e l’eliminazione del
culto di ogni residuo di “papismo”.
Ma solo nel XVII secolo il puritanesimo si trasformerà in una forza di
opposizione alla monarchia.
Al problema religioso era strettamente legato il problema della successione. Il
rifiuto di Elisabetta di concedere la sua mano a qualcuno dei numerosi
pretendenti faceva temere una ripresa delle discordie civili dopo la sua
scomparsa; tutto ciò aumentato dalla sua illegittimità che pesava sulla sua
nascita.
Punto di riferimento di questi pensieri era Maria Stuart, regina di Scozia, di fede
cattolica e che poteva vantare una discendenza legittima da Enrico VII Tudor.
Dichiarata decaduta nel 1568 dalla nobiltà scozzese calvinista, Maria si riparò
in Inghilterra dove, benché strettamente sorvegliata, non cessò di intrigare con
gli oppositori del regime e con gli emissari delle potenze cattoliche.
In seguito a ciò nel 1587 Elisabetta si decide a firmarne la condanna a morte.
Ma intanto l’educazione protestante impartita in Scozia al figlio di Maria Stuart,
il futuro Giacomo I, aveva fornito la garanzia di una successione indolore al
trono d’Inghilterra. 45
In campo finanziario, vanno ascritte a merito del governo elisabettiano, la
stabilizzazione della moneta (1563) e la moderazione dei tributi. La politica
interna di Elisabetta fu tale da facilitare il grande moto di espansione
dell’economia e della società inglese.
Nel commercio e nella navigazione l’età elisabettiana segna l’inizio di una
nuova era (compagnie privilegiate come la Compagnia del Levante e la
Compagnia delle Indie orientali). Non si trattava più di semplici corporazioni di
mercanti, bensì di vere e proprie società per azioni che ottenevano dalla corona
il “privilegio” esclusivo di commerciare con una certa area del globo in cambio
di prestiti e compartecipazioni agli utili.
I rapporti con la Spagna, già tesi a causa dei continui attacchi dei marinai
inglesi contro le navi e i possessi di Filippo II, giunsero al punto di rottura
quando Elisabetta, nel 1585, decise di appoggiare in modo aperto la rivolta dei
Paesi Bassi e quando, due anni dopo avvenne l’esecuzione di Maria Stuart.
Ma “l’invincibile armada” di Filippo II fu scompaginata dalle tempeste e
aggredita nelle acque della Manica della piccola flotta di Elisabetta e da una
moltitudine di corsari inglesi e olandesi, ben più agili e veloci delle fortezze
galleggianti spagnole.
Gli spagnoli decisero allora di rinunciare allo sbarco e di circumnavigare con le
forze residue le isole britanniche. Era ormai evidente che era fallito il tentativo
di Filippo II di stroncare sul nascere la potenza navale e commerciale
britannica.
Fu questa una componente non secondaria di quella fioritura intellettuale e
artistica che fa dell’età elisabettiana un periodo di ineguagliato splendore nella
storia della civiltà inglese.
Le guerre di religione in Francia
Anche in Francia troviamo in primo piano tra le cause dei conflitti interni il
fattore religioso. In seguito alla morte di Enrico II nel 1559, toccò alla vedova
46
Caterina de’ Medici il compito di reggere il timone dello Stato, dopo la
scomparsa del primogenito Francesco II, cui succedettero altri due figli minori o
incapaci, Carlo IX e Enrico III.
Nel frattempo il calvinismo andava facendo proseliti soprattutto nelle regioni
del sud e dell’ovest. E’ significativo che i calvinisti, detti in Francia ugonotti,
fossero circa il 7-8% della popolazione, ma la metà o poco meno dei nobili.
Alla testa delle fazioni nobiliari in lotta troviamo tre grandi casate, che
esercitavano estesi poteri nelle province, i Guisa, capi naturali dei cattolici
intransigenti; i Borbone, i cui domini erano concentrati nel sud-ovest, esponenti
del partito ugonotto e i Montmorency-Chantillon, il cui membro più autorevole,
l’ammiraglio Gaspard de Coligny, era anch’egli convertito al calvinismo.
Per reagire alla strapotenza dei Guisa, Caterina de’ Medici fu indotta a fare
concessioni agli ugonotti.
Ma il 1° marzo del 1562 i partecipanti a una riunione protestante a Vassy
furono massacrati dai seguaci del duca di Guisa. Fu questo l’inizio della prima
fase di guerre civili, conclusa nel 1570 con una pace che ribadiva e allargava le
precedenti concessioni agli ugonotti.
Nei due anni che seguirono divenne dominante a corte l’autorità
dell’ammiraglio Coligny, che riuscì a conquistare la fiducia di Carlo IX, e ad
ottenere per Enrico di Borbone re di Navarra, ugonotto, la mano della sorella
del re, Margherita di Valois. Durante le nozze, Caterina de’ Medici, preoccupata
per la crescente influenza di Coligny sul figlio, diede mano libere alla fazione
dei Guida e alla plebaglia parigina, violentemente antiprotestante.
Nella notte tra il 23 e il 24 agosto del 1572, la notte di san Bartolomeo, più di
duemila ugonotti, tra i quali lo stesso Coligny, vennero trucidati nelle loro case,
e il massacro si estese in seguito nelle province.
Molti calvinisti fuggirono all’estero. Enrico di Borbone (protestante) riuscì a
salvarsi con l’abiura dalla strage di san Bartolomeo e fuggì dalla corte e
annunciò il proprio ritorno alla fede calvinista.
All’organizzazione protestante si oppose allora la Lega santa, capeggiata dai
Guisa e sostenuta dalla nobiltà e dalla città di Parigi.
Si ruppe il precario equilibrio quando divenne erede presuntivo al trono Enrico
di Borbone. Seguì la cosiddetta “guerra dei tre Enrichi”: il re Enrico III, Enrico di
Borbone e il duca Enrico di Guida, capo della Lega cattolica.
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Guerra:
-la lega sostituì la propria autorità a quella del monarca
-il monarca fece assassinare il duca di Guisa
-il monarca si alleo con il Borbone
-un frate fanatico uccise il monarca che fece però in tempo a designare il suo
successore Enrico di Borbone, che divenne Enrico IV (1589-1610).
Naturalmente Enrico IV non venne riconosciuto dal Leghisti, che gli
contrapposero la candidatura di una figlia di Filippo II di Spagna, Isabella.
Ma proprio questo fatto permise a Enrico IV di trasformare la guerra civile in
guerra contro lo straniero e contro i suoi alleati interni, rafforzando l’unità e
l’indipendenza nazionale.
Nel suo programma di pacificazione e di restaurazione dell’autorità monarchica
non poteva non riconoscersi il partito dei politiques, cattolici moderati che
ponevano l’interesse dello Stato al di sopra di quello delle fazioni religiose e
che si reclutavano in larga parte tra la magistratura e la borghesia degli uffici:
espressioni di tali istante sono i “Sei libri dello Stato” del giurista Jean Bodin
che teorizzano l’autorità assoluta del monarca temperata dal rispetto delle
“leggi fondamentali” del regno.
Con la pubblica conversione di Enrico IV (1593), con il suo ingresso trionfale a
Parigi e con l’assoluzione pronunciata l’anno seguente dal papa Clemente VIII,
le sorti della lotta erano ormai segnate.
Filippo II riconobbe la propria sconfitta firmando il 2 marzo 1598 la pace di
Vervins.
Poco più di un mese dopo, l’editto di Nantes promulgato da Enrico IV sanciva la
pace religiosa mantenendo al cattolicesimo il carattere di religione di Stato ma
riconoscendo agli ugonotti il diritto di praticare il loro culto (tranne che a Parigi
e in pochi altri luoghi). 48
L’Europa orientale: Polonia e Russia
Il territorio europeo orientale si divideva in:
-Regno polacco-lituano
-Russia moscovita
Oltre che un crogiolo di popoli, la Polonia era anche un crogiolo di fedi religiose,
giacchè alle confessioni cattolica e greco-ortodossa si aggiungevano il
luteranesimo professato dalla forte minoranza tedesca, il calvinismo, gli
anabattisti e gli ebrei.
Questa complessiva etnica e religiosa rendeva difficile l’affermazione in Polonia
di una forte autorità statale.
La Polonia era in realtà una repubblica aristocratica che si mostrerà, a lungo
andare, incapace di reggere all’urto delle nuove monarchie assolute.
Il principio di libertà religiosa venne ribadito nel 1573, facendo della Polonia
una sorta di oasi in un’Europa dominata dall’intolleranza.
Nella Russia moscovita le condizioni economico-sociali erano simili a quelle del
Regno polacco-lituano.
L’evoluzione politica andò verso la concentrazione di tutti i poteri nelle mani
del monarca, nei cui confronti gli stessi nobili erano in uno stato di soggezione
servile inconcepibile nel resto dell’Europa. Tra i motivi di questo diverso destino
dobbiamo considerare il ruolo cruciale della Chiesa Ortodossa, legata alla
tradizione bizantina, nel rendere sacra la figura dello zar e nell’inculcare ai
sudditi l’obbedienza incondizionata.
Gli zar posero le basi della stretta associazione tra Chiesa e Stato e della
creazione di una nuova nobiltà. Tale processo raggiunse il punto più alto con
Ivan IV, che dopo essersi fatto incoronare zar nel 1547, diede inizio ad una
politica di rafforzamento del potere monarchico e di alleanza con i ceti inferiori
in funziona antinobiliare. Ma nel 1560, in conseguenza della morte della prima
moglie, che aveva esercitato un influsso moderatore sul suo carattere instabile
e violento, Ivan IV cominciò a dare segni di squilibrio mentale e ad
abbandonarsi ad atti di gratuita ferocia. Gli succedette il figlio Fedor, debole e
infermo di mente: il potere effettivo fu esercitato dal cognato di questi,
Godunov, riconosciuto zar nonostante fosse sospettato dell’assassinio del
nipote Dimitri. Gravi carestie e pestilenze funestarono gli ultimi anni del suo
regno. Alla sua morte, la Russia sprofondò in uno stato di totale anarchia, la
cosiddetta “epoca dei torbidi che ebbe fine solo nel 1613 quando divenne zar
Romanov, la cui dinastia era destinata a regnare fino al 1917.
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11 L’EUROPA NELLA GUERRA DEI TRENT’ANNI
Il Seicento un secolo di crisi?
E’ un fatto che tra il 1620 e il 1650, a seconda delle zone, si esaurisce la lunga
fase di crescita iniziata verso il 1450: ma solo per l’area tedesca, devastata
dalla guerra dei Trent’anni, e per i Paesi mediterranei colpiti da disastrose
pestilenze si può parlare di vera e propria recessione.
Tra il 1620 e il 1650 si arresta o si inverte la tendenza all’aumento dei prezzi
che aveva caratterizzato il “lungo Cinquecento”. Questo fenomeno è
naturalmente in rapporto con l’attenuarsi della pressione della domanda.
Un’altra spiegazione può essere cercata nella drastica diminuzione dei
quantitativi di argento importati dalle Americhe.
Per quanto riguarda l’industria e il commercio, non mancano i segnali di
difficoltà ee di recessione, come la crisi delle manifatture tessili fiamminghe e
italiane o la diminuzione del numero delle navi che transitavano verso il Mar
Baltico.
Più che crisi, in realtà si può parlare di una redistribuzione delle risorse a
vantaggio dei paesi affacciati sull’Atlantico e a danno dell’Europa mediterranea
e dell’area germanica.
In non poche zone (per esempio nel Mezzogiorno d’Italia o in Spagna) si ebbe
un aumento dei gravami feudali, tanto che alcuni studiosi hanno parlato di
“rifeudalizzazione” come di una caratteristica generale del periodo.
Alla rendita feudale e al prelievo signorile o ecclesiastico (decima) si
aggiungeva poi il crescente peso delle imposte statali.
Nel frattempo si verificava una vera e propria rivoluzione scientifica e filosofica
e può sembrare paradossale che una simile svolta nel campo delle idee
coincidesse nel tempo con quella fase di oscurantismo e di intolleranza che
ispirò le attività dell’Inquisizione e la caccia alle streghe. A questo clima si
sottrassero in larga misura Inghilterra e Olanda, che furono i centri principali di
elaborazione della nuova cultura.
La prosperità dell’Olanda 50
Il ruolo di primo piano degli olandesi nella rivoluzione scientifica e filosofica è
un rifletto del carattere avanzato dell’economia e della società delle Province
Unite nel XVII secolo.
La Spagna riconobbe nel 1609 l’indipendenza delle Province Unite ed esse
erano già da alcuni decenni le protagoniste di uno sviluppo economico, che ne
fece la potenza marittima e commerciale più importante d’Europa.
Inoltre, fin dal XV secolo si era sviluppata nei Paesi Bassi del Nord la pesca
delle aringhe in alto mare; tale pesce alimentava una vivace corrente di
esportazione verso il Baltico e l’Europa meridionale, dove il pesce salato
divenne presto un elemento importante della dieta delle classi popolari.
Anche più spettacolare fu la penetrazione dei continenti extraeuropei. Un
insediamento olandere oltre l’Atlantico fu Nuova Amsterdam, che gli inglesi
ribattezzarono New York quando riuscirono ad impossessarsene nel 1664.
Gli olandesi compirono due importanti passi avanti: da un lato estesero il loro
controllo alla produzione di alcune spezie, riducendo il schiavitù e costringendo
a lavorare nelle piantagioni gli abitanti delle Molucche e delle isole di banda;
dall’altro praticarono su larga scala il commercio di’intermediazione tra le
diverse aree dell’oceano Indiano. Nel corso di questi viaggi i navigatori olandesi
scoprirono l’Australia e la Nuova Zelanda.
Non ultima causa di questi successi fu il regime di relativa libertà religiosa e
civile di cui si godeva nelle Province Unite. Sebbene ufficialmente calviniste, le
Province Unite contenevano forti minoranze di cattolici, di anabattisti e di ebrei
e si riuscì sempre a imporre il rispetto delle varie opinioni religiose.
La monarchia francese da Enrico IV a Richelieu
Dopo il periodo delle guerre di religione, la Francia sotto la guida di Enrico IV di
Borbone riguadagnò rapidamente quella posizione dominante sulla scena
europea.
Al rifiorire delle attività economiche, prima fra tutte l’agricolture, contribuirono
gli sgravi fiscali e la soppressione di molti dazi.
L’erede al trovo Luigi XIII (1610-1643) era allora un bambino di nove anni. La
reggenza fu assunta in suo nome dalla vedova di Enrico IV, Maria de’ Medici,
51
che inaugurò una politica filo spagnola .
La sudditanza della Spagna e la presenza di stranieri a corte suscitarono il
risentimento dei principi di sangue reale e delle grandi casate aristocratiche,
che come sempre nei periodi di reggenza rialzarono la testa e cercarono di
riguadagnare il potere politico perduto.
Un punto centrale delle loro rivendicazioni fu la richiesta di una convocazione
degli Stati Generali del regno, che furono riuniti, ma con scarsi risultati tra il
1614 e il 1615. Furono questi gli ultimi Stati generali nella storia di Francia
prima del 1789.
Succedette un confuso periodo che impose, come mediatore dei contrasti tra
Luigi XIII e la madre, un giovane vescovo che si era messo in luce come
portavoce del clero agli Stati Generali: il duca di Richelieu. Luigi XIII lo nominò
cardinale e lo inserì nel Consiglio della corona. Richelieu in poco tempo riuscì
ad ottenere una posizione dominante accentrando nelle proprie mani la
direzione della politica francese interna ed estera.
Richelieu decise di non perseguire la condotta della regina con l’appoggio alla
politica di restaurazione cattolica degli Asburgo, ma di attuare una
contrapposizione al disegno egemonico degli Asburgo di Spagna e subordinò a
questo obiettivo ogni esigenza politica interna.
Il ritorno della Francia a una politica estera aggressiva presupponeva
innanzitutto il rafforzamento dell’autorità monarchica all’interno del Paese e
l’eliminazione di ogni potenziale focolaio d’opposizione.
Quindi ai protestanti venne concessa una “pace di grazia” che manteneva la
libertà di culto nei limiti sanciti dall’editto di Nantes.
Il progressivo coinvolgimento della Francia nei teatri di guerra tedesco e
italiano ebbero come conseguenza un rapido aumento della pressione fiscale.
Fu questa la causa principale della grande ondata di rivolte popolari che scosse
la Francia a partire dal 1625.
L’impero germanico e l’ascesa della Svezia
Alla morte di Ferdinando I (1564) la dignità imperiale, la Boemia, l’Ungheria e i
ducati austriaci passarono al figlio Massimiliano II e successivamente a Rodolfo
II.
Quest’ultimo, assertore del cattolicesimo, dovette far fronte a una larghissima
52
diffusione del luteranesimo e, in Ungheria e in Boemia, anche del calvinismo.
verso il 1580 ormai la grande maggioranza della nobiltà nei domini asburgici
aveva abbandonato la Chiesa cattolica. Come in Francia e altrove, anche in
questi territori la scelta delle aristocrazie non era solo un affare di coscienza,
ma andava di pari passo con la rivendicazione di più ampi poteri per le
assemblee dei ceti (o “Stati) e con l’opposizione all’assolutismo monarchico.
Rodolfo II pose la sua residenza a Praga ma dopo pochi anni cominciò a
manifestare segni di squilibrio mentale. Nel 1609 i nobili del regno di Boemia lo
costrinsero a firmare una Lettera di maestà, che concedeva loro piena libertà
religiosa e nel 1611 la corona passo al fratello Mattia che l’anno successivo fu
eletto anche imperatore.
La debolezza della suprema autorità aveva acuito in tutta la Germana i
contrasti tra cattolici e protestanti: accanto al luteranesimo era ora presente il
calvinismo.
Nel 1608 i principi luterani e calvinisti, preoccupati dai progressi della
Controriforma, conclusero un’alleanza difensiva (l’Unione evangelica), cui in
seguito si aggregarono anche molte città imperiali; a questa si contrappose
l’anno seguente una Lega cattolica, la cui anima fu il potente duca di Baviera
Massimiliano di Witterlsbach. L’uno e l’altro schierament cercavaano protettori
e alleati fuori dai confini dell’Impero, creando una situazione sempre più tesa.
Svezia:
Sigismondo Vasa, eletto re di Polonia nel 1587, ereditò la corona di Svezia. Lo
zio di Sigismondo, Carlo, si pose alla testa di un forte movimento di opposizione
aristocratica, facendo leva sui timori di una restaurazione cattolica, e al
termine di una guerra civile fece deporre l rivale dalla Dieta svedese. Nel 1604
egli assunse anche formalmente la corona col nome di Carlo IX.
Il nuovo sovrano manifestò subito mire espansionistiche in direzione sia della
Polonia, sia della Danimarca.
Il figlio e successore di Carlo IX, Gustavo Adolfo (1611-1632), in soli vent’anni
riuscirà ad imporre la supremazia svedese su tutto il Baltico.
Quali furono le cause di questa straordinaria ascesa?
La Svezia possedeva estesi giacimenti di ferro e di rame, che a partire dal
Cinquecento cominciarono a essere sfruttati sistematicamente. Tali ricchezze
minerali da un lato alimentavano un consistente flusso di esportazioni,
dall’altro fornivano la materia prima per una produzione di armamenti in rapido
sviluppo (artiglieria).
Inoltre anche i piccoli proprietari terrieri delle campagne avevano una propria
Dieta; questo favoriva la presenza abbondante di soldati.
53
Nel 1621 Gustavo Adolfo riuscì ad impadronirsi del porto di Riga. La lotta per
l’egemonia sul Baltico sarà uno dei motivi principali dell’intervento svedese
nella guerra dei Trent’anni.
Le prime fasi della guerra dei Trent’anni (1618-1629)
Sul trono imperiale Mattia (corona di Boemia) (1612-1619) vecchio e privo di
figli, era candidato a succedere il nipote Ferdinando, educato dai Gesuiti e
intransigente alla Controriforma cattolica.
Nel 1617 Ferdinando divenne re di Boemia e di Ungheria (ricche di protestanti).
Ma le misure subito prese a favore del cattolicesimo dai reggenti che
rappresentavano il potere imperiale a Praga indignarono i ceti boemi.
Il 23 maggio una folla di delegati invase il palazzo reale e si ribellò; fu poi
formato un governo provvisorio che si diede a reclutare un esercito, in
previsione dell’inevitabile scontro con gli asburgo.
Nel frattempo l’imperatore Mattia muore (marzo 1619) e il 28 agosto 1619
venne eletto imperatore Ferdinando (Ferdinando II 1619-1637). Due giorni dopo
i ceti boemi dichiararono deposto Ferdinando e offrirono la corona al calvinista
Federico V.
Ciò spinse l’imperatore Ferdinando a chiedere aiuto alla Spagna e alla Lega
cattolica tedesca.
Gli eserciti bavarese e imperiali entrarono in Boemia e l’8 novembre i ribelli
boemi furono sbaragliati.
Alla vittoria degli imperiali seguì una dura repressione; Federico V fu privato dei
suoi domini, in Austria e in Boemia i pastori luterani e calvinisti furono espulsi, i
capi della ribellione furono giustiziati e la nobiltà protestante venne posta di
fronte all’alternativa di convertirsi o emigrare.
Alla ricattolicizzazione forzata, si accompagnò in Boemia l’imposizione di una
nuova costituzione (1627) che sanciva l’ereditarietà della corona nella casa
d’Asburgo e limitava i poteri dei ceti.
Nel 1621 si riaprirono anche le ostilità fra la Spagna e le Province Unite e due
fatti intervennero nel 1624/1625 a movimentare la situazione diplomatica e
militare: lo spostamento della Francia, che aveva fino allora mantenuto una
neutralità benevola verso gli Asburgo, su posizioni di sostegno alla causa
protestante e l’interevento del re di Danimarca Cristiano IV.
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Entrambe le iniziative parvero destinate all’insuccesso. Una spedizione inviata
da Luigi XIII e Richelieu in Valtellina, i cui passi erano stati occupati dagli
spagnoli, dovette presto essere ritirata a causa dei problemi interni della
Francia (la guerra in vista degli Ugonotti).
Il re di Danimarca riotteneva i territori perduti, ma doveva impegnarsi a non
intervenire più negli affari dell’Impero.
Due mesi prima, il 28 marzo 1629, era stato pubblicato l’Editto di restituzione,
con il quale l’imperatore Ferdinando II ordinava la restituzione di tutti i beni
ecclesiastici secolarizzati dopo il 1552.
La causa cattolica sembrava ormai avviata a una completa vittoria sia in
Germania sia nei Paesi Bassi, ma le potenze protestanti e la Francia di Richelieu
non potevano assistere indifferenti al trionfo degli Asburgo.
Dalla guerra di Mantova alla pace di Vestfalia
Tra il 1628 e il 1630 il centro della politica europea si spostò dalla Germania
all’Italia Settentrionale.
Alla fine del 1627 era morto il duca di Mantova Vincenzo II Gonzaga senza
lasciare eredi diretti. Il successore designato era il francese Carlo duca di
Nevers, ma gli Asburgo rivendicarono la dipendenza dall’Impero del Ducato di
Mantova e del Marchesato del Monferreto che era ad esso unito.
Nel 1629-1630 un esercito imperiale scendeva le Alpi e si impadroniva di
Mantova, sottoponendola a un orribile saccheggio, mentre la fortezza di Casale
Monfferrato resistette all’assedio delle forze spagnole perché in esso era
penetrata una guarnigione francese.
Ma i problemi interni di Richelieu e la gravissima epidemia di peste scoppiata
nell’Italia Settentrionale indussero a questo punto i contendenti a trattative di
pace, che portarono all’accordo di Cherasco (1631): Mantova e il Monferrato
restavano al Gonzaga-Nevers, che si riconosceva suddito dell’Impero e la
Francia manteneva il possesso di Pinerolo.
Quell’anno entrò in guerra il re di Svezia Gustavo Adolfo, appoggiato
finanziariamente dalla Francia; egli intendeva difendere la causa protestante,
ma affermare anche definitivamente l’egemonia svedese nel Baltico. La sua
schiacciante vittoria nello stesso anno(1631) aprì a Gustavo Adolfo la via verso
la Germania meridionale. Il re di Svezia si diresse verso sud-ovest verso
Magonza e invase la Baviera.
Per scacciare gli svedesi l’imperatore fidava ora nell’aiuto di un esercito inviato
con un supremo sforzo dalla Spagna: insieme imperiali e spagnoli inflissero agli
svedesi una grave sconfitta (6 settembre 1634). I principi protestanti si
affrettarono allora a concludere la pace con l’imperatore (1635).
Anche la Svezia, esausta, si preparava ad abbandonare la lotta, quando un
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nuovo fatto intervenne a rianimare l’incendio: l’intervento diretto della Francia.
Lo scopo del cardinale Richelieu (lui, un principe della Santa Romana Chiesa),
nel muovere guerra alla Spagna e all’Impero a fianco dei protestanti di
Germania era chiaramente quello di impedire il consolidamento della potenza
imperiale in Germania e il riformarsi di quella tenaglia asburgica contro la quale
avevano già combattuto i re di Francia all’epoca di Carlo V. L’intervento
francese rafforzò la determinazione della Svezia, decisa ad affermare la proprie
supremazia sul Baltico e delle Province Unite.
Di fronte a questo schieramento di forza, le possibilità di resistenza degli
Asburgo erano limitate.
La flotta spagnola venne distrutta dagli olandesi nella battaglia delle Dune (21
ottobre 1639). Gli svedesi continuarono nelle loro devastazioni in Germania,
mentre l’esercito francese ottenne una grande vittoria su quello spagnolo, fino
allora reputato invincibile, nella battaglia di Rocroi (19 maggio 1643).
I negoziati di pace sfociarono nel 1648 in una seria di trattati (tra Olanda e
Spagna, tra Francia e Impero, tra Svezia e Impero) collettivamente noti come
Pace di Vestfalia.
Scontato era il riconoscimento spagnolo dell’indipendenza delle Province Unite.
La Francia otteneva gran parte dell’Alsazia e di altre piazzeforti sia sul Reno, sia
in Piemonte (Pinerolo). La Svezia invece perfezionava il proprio dominio sul
Baltico.
La situazione religiosa dell’Impero fu modificata, rispetto alla pace di Augusta,
nel senso di ammettere anche il calvinismo, accanto al cattolicesimo e al
luteranesimo, e di spostare al 1624 l’anno “normale” per le secolarizzazioni dei
beni ecclesiastici. Dal punto di vista politico, i principi ottenevano i diritto di
stringere alleanze e fare guerre per proprio conto, purchè non dirette contro
l’imperatore.
Restava solo accesa la guerra tra Francia e Spagna, conclusa solo nel 1659
dalla pace dei Pirenei.
Conseguenze economiche del conflitto:
La Germania perse dal 20 al 30% della popolazione, molte terre rimasero
incolte e molte città andarono in rovina.
-Diffusione epidemie, ferocia e avidità dei soldati
Le devastazioni si esterero anche in Boemia, in Danimarca e all’Italia
nord-occidentale.
La guerra dei Trent’anni rimase nella memoria dell’Europa come un’epoca di
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violenza e di orrore.
Una rivoluzione scientifica e filosofica
Il Seicento si può considerare, in campo scientifico, filosofico e politico, il secolo
di transizione alla modernità, infatti venne sviluppata una nuova concezione
del metodo scientifico.
La pubblicazione delle opere di Nicolò Copernico si può considerare l’atto di
fondazione della scienza destinata a compiere nel successivo secolo e mezzo i
maggiori progressi: l’astronomia moderna. (e con Andrea Vesalio, l’anatomia).
Sostenere, come faceva Copernico, che è la Terra a girare attorno a Sole e non
viceversa, significava sconvolgere la visione tradizionale di un cosmo
gerarchicamente ordinato, la divisione tra un mondo sublunare in continua
trasformazione, per via delle instabili combinazioni dei quattro elementi che lo
componevano.
La teoria eliocentrica ripugnava al senso comune (Jean Bodin affermò che era
assurdo) e sembrava in contrasto col testo biblico e con gli insegnamenti della
Chiesa; essa fu a lungo considerata una stravaganza finche l’astronomo
tedesco Giovanni Keplero non giunse a formulare le sue leggi matematiche
sulle orbite ellittiche dei pianeti, e finchè Galileo Galilei (1564-1642) servendosi
di un cannocchiale di sua invenzione, non fornì nuove prove dell’esistenza di
innumerevoli corpi celesti e della loro affinità sostanziale col nostro pianeta.
La scoperta galileiana della legge che regola la caduta dei gravi e la brillante
difesa della teoria copernicana che costò a Galileo il processo e la condanna da
parte del Sant’Uffizio, portarono agli occhi degli scienziati i colpi decisivi alla
cosmologia aristotelico-tolemaica.
Toccherà poi a Isaac Newton (1642-1727) collegare le scoperte dei suoi
predecessori nella legge di gravitazione universale.
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Anche per lo studio scientifico del corpo umano fu necessario combattere
tenaci pregiudizi, in particolare quello che si opponeva alla dissezione dei
cadaveri.
Più che le singole scoperte, sono i principi generali e i metodi della nuova
scienza a dare il senso di una rivoluzione intellettuale che inaugura l’epoca
moderna.
Strumenti fondamentali e quasi simboli di questa forma di indagine furono il
telescopio, il microscopio, frutto dell’abilità tecnica dei molatori di lenti italiani
e soprattutto olandesi.
Anche nella storia del pensiero politico del XVII secolo regna una tappa
fondamentale: l’inglese Thomas Hobbes fornì con il “Leviatano” una
giustificazione del potere assoluto basata non su un disegno provvidenziale, ma
su una spregiudicata analisi degli aspetti e della ricerca egoistica del piacere
che determinano uno stato di guerra perpetua fra gli uomini, superabile solo
con una delega al sovrano di tutti i poteri.
12 RIVOLUZIONI E RIVOLTE
L’Inghilterra sotto la dinastia Stuart
Giacomo I Stuart (1603-1625) era già re di Scozia, col nome di Giacomo VI,
quando succedette sul trono inglese alla regina Elisabetta che era rimasta
nubile e quindi non lasciava eredi diretti. L’unione nella stessa persona delle
due corone di Scozia e Inghilterra non comportò la fusione dei due Paesi sotto il
profilo politico amministrativo (fusione che avverrà solo nel 1707).
Diversi fattori dovevano rendere impopolare il nuovo sovrano presso gli inglesi:
l’origine straniera e le inclinazioni omosessuali.
Fin dai primi anni del regno di Giacomo I si ripresentarono le due questioni che
già negli ultimi tempi di Elisabetta avevano reso difficili i rapporti tra corona e
Parlamento: la questione religiosa e la questione finanziaria.
La legislazione contro i cattolici venne inasprita dopo la scoperta di una
congiura che mirava a far saltare in aria il primo Parlamento convocato da
Giacomo I; non ebbero pero soddisfazione le richieste dei puritani (i calvinisti
intransigenti) per una più radicale riforma della Chiesa d’Inghilterra, che
eliminasse dal culto le vestigia di “papismo”, abrogasse o almeno riducesse
l’autorità dei vescovi e lasciasse alle singole congregazioni maggior libertà
nella scelta di ministri e predicatori.
Nel corso dei primi decenni del XVII secolo, il puritanesimo, inteso come stile di
vita piuttosto che come sistema teologico, si venne diffondendo sempre più
largamente tra la gentry e tra i ceti mercantili e artigianali delle città,
58
alimentando un crescente senso di estraneità e di ostilità nei confronti di una
corte sfarzosa e corrotta.
I costi della guerra contro la Spagna avevano creato una difficile situazione
finanziaria. Al centro del problema era l’insufficienza delle entrate a fronte di
spese in continuo aumento, anche per effetto della tendenza al rialzo dei
prezzi.
Ai problemi di natura religiosa e finanziaria si aggiunsero le ripercussioni di una
congiuntura economica negativa: da un lato la popolazione inglese continuò ad
aumentare fin verso il 1650, ma tra il 1620 e il 1650 l’incremento demografico
non fu più accompagnato da un parallelo sviluppo delle attività produttive,
anche a causa dello scoppio della guerra dei Trent’anni e dello sconvolgimento
delle tradizionali correnti di traffico.
I quattro successivi Parlamenti convocati da Giacomo I si rifiutarono sempre di
soddisfare le richieste finanziarie della corona e denunciarono invece con
crescente energia i fenomeni di corruzione e gli sprechi presenti nella corte e
nel governo. Il problema finanziario diventa così, per la monarchia inglese, un
problema politico.
Il regno di Carlo I, e lo scontro tra corona e Parlamento
Il figlio e successore di Giacomo I, Carlo I (1625-1649) si vide addirittura negare
dal Parlamento, alla sua ascesa al trono, la tradizionale concessione della
facoltà di riscuotere i dazi doganali sulle importazioni degli articoli.
Nel tentativo di guadagnare il sostegno dei puritani, Carlo I dichiarò guerra alla
Spagna e organizzò una spedizione navale per soccorrere gli ugonotti assediati
dalle truppe del re di Francia. Il disastroso fallimento di queste operazioni
militari convinse l’Inghilterra che del nuovo re non c’era da fidarsi.
Il Parlamento, convocato nel 1628 condizionò l’accettazione da parte del re di
un documento denominato “Petizione di diritto” , che dichiarava illegali le tasse
imposte senza il consenso del Parlamento stesso, gli arresti arbitrari, il ricordo
alla legge marziale e l’acquartieramento forzoso di soldati in case private.
Ma nel 1628, quando le sedute ripresero, Carlo I , esarcebato dall’ostinazione
del Parlamento nell’attaccare tutta la sua politica, decide di scioglierlo
definitivamente.
Da allora, e per undici anni, fino al 1640, Carlo I governò senza Parlamento,
appoggiandosi al Consiglio privato della corona e all’azione dei tribunali regi
che giudicavano i reati di lesa maestà.
Non mancarono negli anni del governo personale di Carlo utili riforme, che
59
eliminarono parte delle inefficienze e degli sprechi ereditati dal regno di
Giacomo I. Grazie a tali misure e alla pace frettolosamente conclusa con la
Francia e con la Spagna alla fine degli anni Venti, le spese poterono finalmente
contenute, mentre le entrate beneficiarono non soltanto di una più oculata
amministrazione, ma anche del reperimento di nuovi cespiti, primo fra tutti
quello relativo all’estensione a tutto il Paese della cosiddetta “tassa per le
navi”, un tributo per la costruzione di navi da guerra.
Parallelamente si procedeva a riorganizzare la Chiesa d’Inghilterra secondo
linee e gerarchie autoritarie. Il sospetto che si volesse riportare un ritorno al
cattolicesimo era alimentato dall’ascendente che su Carlo I esercitava la moglie
francese Enrichetta Maria, che professava il culto cattolico; ciò rafforzava
l’opposizione dei puritani, convinti ormai che la corte fosse schierata con le
forze del male.
Alla fine degli anni Trenta poteva sembrare che l’Inghilterra degli Stuart, come
la Francia di Richelieu e la Spagna di Olivares, si avviasse verso un regime di
tipo assolutistico. Ma si opponeva a questo disegno la fragilità dell’apparato
militare, burocratico e finanziario su cui la monarchia poteva contare. (es.
l’ostilità dei sudditi era evidente nel diffuso rifiuto di pagare le imposte,
ritenute illegali in assenza dell’approvazione parlamentare).
Nel 1638 le novità religiose suscitarono una rivolta nella Scozia presbiteriana.
Falliti i tentativi di conciliazione, Carlo I si decise nell’aprile del 1640 a
convocare un nuovo Parlamento per ottenere i mezzi necessari a condurre la
guerra contro gli scozzesi.
Il Parlamento riunito nel 1640 fu detto “Breve Parlamento” perché Carlo I, di
fronte a un’opposizione ancor più risoluta rispetto a quella del 1628-1629, lo
sciolse dopo poche settimane.
Ma l’esercito messo insieme con grandi sforzi dal monarca fu messo in rotta,
nei mesi successivi, dagli scozzesi. In questa situazione non rimase a Carlo I
altra via che convocare nuovamente la rappresentanza della nazione.
Il Parlamento che si aprì a Westminster il 3 novembre 1640 è passato alla storia
come il “Lungo Parlamento” perché rimase in carica fino al 1653.
Nella Camera dei Comuni erano in netta maggioranza gli avversari della
politica assolutistica del sovrano: furono dichiarate illegali e abolite le tasse per
le navi, e altre imposte introdotte nell’ultimo decennio; inoltre il re venne
privato del diritto di sciogliere il Parlamento senza il consenso di quest’ultimo.
La guerra civile. Cromwell e la vittoria del Parlamento
60
La guerra civile vera e propria ebbe inizio nell’estate del 1642 e sembrò in un
primo tempo volgere a favore del re. Ma il protrarsi delle ostilità doveva
inevitabilmente far pendere la bilancia dalla parte del Parlamento.
Il primo importante successo venne ottenuto il 2 ottobre 1644 grazie al valore
dei reparti di cavallerie guidati da Oliver Cromwell (1599-1658), un gentiluomo
di campagna dotato di un grande talento militare e organizzativo oltreché di
una saldissima fede calvinista. Fu lo stesso Cromwell a costituire l’anno
seguente “l’esercito di nuovo modello” caratterizzato da una disciplina ferrea e
dalla precedenza data al merito rispetto alla nascita e animato dalla
convinzione dei soldati di combattere per una causa giusta: le schiaccianti
vittorie ottenute posero fine alla guerra civile.
Carlo I preferì un anno dopo arrendersi agli scozzesi, che lo consegnarono al
Parlamento di Londra.
Ma ben pochi erano coloro che ritenevano si potesse fare a meno della
monarchia: i più, e tra loro lo stesso Cromwell, erano favorevoli a un accordo
con il re sconfitto.
Sul nuovo assetto politico e religioso da dare al Paese non vi era pero
unanimità di vedute: nel Parlamento era predominante la corrente
presbiteriana che intendeva riorganizzare la Chiesa d’Inghilterra con un
sistema di consigli saldamente gerarchizzati e con la rigida imposizione del
credo calvinista.
A costoro si contrapponevano gli indipendenti che erano sostenitori di una
larga tolleranza delle opinioni religiose (esclusi però i cattolici) e
dell’indipendenza delle singole congregazioni di fedeli.
Dopo la vittoria sul re, divenne chiara l’intenzione del Parlamento di sciogliere
“l’esercito di nuovo modello” o di spedirlo in Irlanda a combattere contro i
cattolici. Le discussioni furono interrotte dalla fuga del re, che con l’appoggio
degli scozzesi cercò di riaccendere la guerra civile, ma venne sconfitto in pochi
mesi. A questo punto Cromwell e gli altri capi militari erano decisi a farla finita.
Nel 1649 il Parlamento venne epurato e il poco rimasto fu costretto a decretare
l’istituzione di un’Alta Commissione di giustizia per processare il re. Carlo I
venne condannato a morte e giustiziato il 30 gennaio 1649. Era la prima volta
nella storia d’Europa che un monarca veniva giudicato e condannato in nome
della sovranità del popolo.
Il successivo decennio doveva dimostrare tutta la difficoltà di governare con
istituzioni repubblicane un Paese saldamente attaccato alla tradizione
monarchica e a una concezione gerarchica della società.
61
Il decennio repubblicato: Cromwell al potere
L’esecuzione del re su seguita dalla creazione di un Consiglio di Stato (1649)
che prendeva il posto del Consiglio privato della corona, dalla soppressione
della Camera dei Lord e dalla proclamazione della Repubblica unita di
Inghilterra, Scozia e Irlanda (Commonwealth).
Ma non erano però risolti i contrasti; per scongiurare la minaccia di
un’invasione da parte della Scozia o Irlanda e per sottomettere quei due
territori c’era bisogno di una forza armata compatta. Fece dunque seguito, ad
opera di Cromwell, (1649-1659) la campagna contro gli insorti irlandesi, che fu
segnata da massacri di cattolici, da lui considerati alla stregua di “spregevoli
barbari”, e confische di terre a beneficio di protestanti inglesi.
Ugualmente rapida e vittoriosa fu la successiva campagna di Cromwell in
Scozia: per la prima volta nella storia si apriva così la via per una unificazione
politica, e non solo dinastica, delle isole britanniche.
Nel 1651 venne promulgato l’atto di navigazione, che riservava alla
madrepatria il commercio con le colonie nordamericane e ammetteva nei porti
inglesi solo navi britanniche o dei Paesi da cui provenivano le merci. Per questo
scoppiò la prima delle tre guerre navali anglo-olandesi che finiranno per sancire
la superiorità marittima britannica.
Alcuni anni dopo l’Inghilterra di Cromwell entrò in guerra contro la Spagna e le
strappò l’isola di Giamaica, destinata a divenire il fulcro della tratta
intercontinentale degli schiavi.
(più trattati commerciali, ripresa in grande stile dell’espansione marittima e
commerciale = inaugurata l’era dell’imperialismo britannico!)
Assai meno soddisfacenti furono i risultati nella politica interna. Nel 1653 venne
sciolto definitivamente il “Lungo Parlamento” e al suo posto venne insediata
un’assemblea di 144 membri tutti scelti dai capi dell’esercito (Parlamento
all’osso, durò solo cinque mesi a causa dei contrasti interni e dai timori
suscitati dai suoi progetti di riforme radicali).
Alla fine di questo stesso anno (1653) una carta costituzionale dichiarò
Cromwell Lord Protettore del Commonwealth di Inghilterra, Scozia e Irlanda; fu
Cromwell a scegliere i membri del Consiglio di Stato, quasi tutti capi
dell’esercito. Il potere militare si identificava così strettamente col potere
politico.
Con il protettorato ebbe fine la relativa libertà di cui aveva fino allora goduto la
stampa, e anche il dissenso religioso cominciò ad essere perseguitato.
62
Alla morte di Oliver Cromwell (3 settembre 1658) venne designato a
succedergli il figlio Richard, che non aveva però l’autorità del padre e si
dimostrò incapace. Dopo l’abdicazione di Richard, l’unica soluzione possibile
apparve il richiamo di Carlo II Stuart che si impegnò a governare di concerto
con il Parlamento e a tollerare una cerca libertà religiosa.
La Francia a metà del Seicento: il governo di Mazzarino e la Fronda
Lo spietato aumento della pressione fiscale imposto ai francesi dal governo di
Richelieu aveva provocato una serie di rivolte popolari.
Un carattere in parte diverso ebbero i disordini della “Fronda” (dal francese,
fionda) che videro protagoniste le classi dirigenti e interessarono
contemporaneamente la capitale e la maggior parte del Paese.
Alla morte di Luigi XIII (1643), preceduta di pochi mesi da quella di Richelieu
(1642), la reggenza in nome dei piccolo successore Luigi XIV venne assunta
dalla vedova del defunto monarca Anna d’Austria, la quale affidò la direzione
degli affari ad una creature di Richelieu, il cardinale Giulio Mazzarino.
(1602-1661)
Egli si mantenne fedele agli indirizzi politici di Richelieu.
Ma i principi del sangue e i nobili presero ad agitarsi e a complottare per
impadronirsi del potere politico (come era successo sotto la reggenza di Maria
de’ Medici).
La situazione divenne esplosiva nel 1648, l’anno stesso in cui si avviava a
conclusione la guerra dei Trent’anni.
Successivamente, di fronte a un nuovo pacchetto di misure fiscali, anche il
Parlamento si unì al movimento di opposizione e concertò con le altre corti
sovrane risiedenti nella capitale un comine programma di riforme.
La regina e Mazzarino reagirono ma di fronte alla sommossa la corte su
costretta a lasciare la capitale e a piegarsi alle richieste del parlamento (22
ottobre).
La pace fu firmata a Saint-Germain il 1 aprile 1649 e chiudeva, con la sconfitta
apparente della monarchia, la Fronda della “parlamentare” per il ruolo di primo
piano che in sessa aveva giocato il Parlamento di Parigi.
A pagare il prezzo maggiore di questo rigurgito di anarchia feudale furono
naturalmente le campagne, esposte alle estorsioni e alle violenze dei soldati e
per giunta flagellate dalla carestia (1651/1652).
Il mondo alla rovescia. Le sette religiose nel Seicento inglese
In Inghilterra il ventennio tra il 1640 e il 1660 fu un’epoca favorevole alla
libertà di pensiero e di opinione: l’incertezza del quadro politico provocò il
temporaneo allentamento della censura sulla stampa, che favorì la diffusione di
63
opuscoli e pubblicazioni non convenzionali.
13 L’ITALIA DEL SEICENTO
La popolazione e le attività economiche
La prosperità di molte città dell’Italia settentrionale si era basata, nei secoli
precedenti, sulla produzione di articoli di lusso, soprattutto tessuti, e sulla loro
esportazione verso l’Europa e il Levante. Furono soprattutto queste attività ad
essere colpite dalla crisi del Seicento.
Inoltre le manifatture di Venezia, Milano, Firenze Genova furono innanzitutto
vittime della vittoriosa concorrenza dei produttori dell’Europa nord-occidentale.
In queste aree era avvenuta per tempo la conversione verso prodotti meno
costosi e più richiesti dal mercato internazionale.
Le manifatture italiane invece, a causa della tradizionale regolamentazione
corporative, persistettero a produrre con metodi antiquati articoli eccellenti ma
oramai fuori moda.
Rilevanti sono anche gli effetti devastanti della guerra dei Trent’anni nell’Italia
Settentrionale e in Germania e dalle gravissime pestilenze che imperversarono
nel 1630-1631.
La vita sociale e la cultura
La Chiesa aveva un posto centrale nella vita italiana del Seicento. Oltre ad
essere sovrano di uno dei maggiori Stati della penisola, il pontefice esercitava
anche fuori dei suoi confini poteri che nelle altre nazioni cattoliche erano
delegati ai monarchi, dalla nomina dei vescovi al controllo giurisdizionale sul
clero secolare e regolare, che era dovunque una componente non trascurabile
della popolazione, soprattutto nelle città.
Le organizzazioni ecclesiastiche detenevano una parte importante della
ricchezza fondiaria, e i beni immobili in loro possesso erano inalienabili senza
un’esplicita autorizzazione pontificia(concetto di manomorta) . Preti, frati e
monache si consideravano sudditi del papa, e non delle autorità secolari, e per
loro era rivendicata non solo l’esenzione delle imposte (immunità reale) ma
anche la dipendenza dai tribunali ecclesiastici e non da quelli civili (immunità
personale), perfino i luoghi adibiti al culto godevano di una sorta di
extraterritorialità (immunità locale), per cui i malfattori che vi si rifugiavano
non potevano esservi arrestati senza il consenso dell’autorità ecclesiastica
(diritto d’asilo). 64
Estirpati già negli ultimi decenni del Cinquecento i focolai di “eresia”
protestante, le uniche minoranze religiose che riuscirono a sopravvivere in
Italia, nonostante le periodiche persecuzioni, furono le comunità valdesi, nelle
valli occidentali del Piemonte e gli ebrei, ma dovunque rinchiusi nei ghetti e
sottoposte a discriminazioni.
Le classi dirigenti vedevano nella Chiesa non soltanto una garante dell’ordine
sociale e della docilità dei poveri, ma anche un conveniente sbocco per i
cadetti e per le figlie non destinate al matrimonio.
Alla soffocante vigilanza della Chiesa su ogni manifestazione del pensiero e
dell’arte è legato anche l’impoverimento culturale che si osserva in questo
periodo in confronto alla grande stazione umanistica e rinascimentale. Per non
subire la sorte di Giordano Bruno , di Campanelle o di Galilei, la grande
maggioranza degli intellettuali piegò la testa e si conformò ai dettanti
dell’autorità ecclesiastica, non solo in ambito religioso, ma anche in campo
filosofico e scientifico.
Più in generale, la valutazione globalmente negativa del Seicento
nell’evoluzione intellettuale del nostro Paese,è riscontrata nelle pagine delle
opere di Francesco De Sanctis e Benedetto Croce.
I domini spagnoli: Milano, Napoli e le isole
A partire dal 1620 l’impegno della Spagna nella guerra dei Trent’anni portò a un
forte aggravamento della pressione tributaria, proprio mentre l’oscurarsi della
congiuntura economica e le crisi demografiche la rendevano sempre meno
tollerabile.
Tra il 1628 e il 1658 gli anni stessi in cui la peste fece sentire i suoi tragici
effetti, lo Stato di Milano fu più volta trasformato in campo di battaglia dalle
soldatesche spagnole, imperiali francesi e piemontesi.
Le conseguenze della crisi economica e politica che colpì la monarchia
65
spagnola nel suo insieme furono più gravi nel Mezzogiorno e nelle isole.
In questa situazione, l’indebolimento dell’autorità centrale (a Napoli) doveva
portare e di fatto portò soprattutto negli anni Trenta e Quaranta del secolo, a
un’estensione a macchia d’olio del potere feudale. I feudatari, detti “baroni”
ottennero non solo un ampliamento delle loro attribuzioni di giustizia e polizia,
ma anche una sostanziale impunità per le estorsioni e le prepotenze commesse
a danno dei vassalli. Il Banditismo (soprattutto nel Mezzogiorno) si trasformò
così in questo periodo in una forma di terrore baronale.
Anche in Sicilia un rafforzamento del baronaggio a spese delle masse contadine
sottopose a un duro sfruttamento e degli strati artigiani vittime degli
inasprimenti fiscali e della crisi economica.
Molte analogie con l’evoluzione siciliana presentava infine la Sardegna che era
tutta via assai più povera e meno popolata.
Le rivolte antispagnole a Napoli e in Sicilia
-Moti insurrezionali che scossero il Mezzogiorno nei decenni centrali del
seicento, in parallelo con le rivolte e le guerre civili della penisola iberica,
dell’Inghilterra e della Francia.
Una grave carestia e il malcontento creato dal fiscalismo spagnolo furono
all’origine del fenomeno popolare a Palermo.(1647)
Più profonda e promulgata fu la crisi del dominio spagnolo nel Mezzogiorno
continentale.
A Napoli la causa immediata della rivolta, esplosa il 7 luglio 1647, fu una nuova
gabella che colpiva la vendita della frutta. La direzione del movimento fu
assunta in un primo tempo da un popolano, Tommaso Aniello, detto Masaniello,
dietro al quale si muovevano elementi borghesi che puntavano a una modifica
degli ordinamenti politici della città e del regno.
Masaniello venne ucciso quasi subito dai suoi stessi seguaci.
Gli insorti napoletani proclamarono la repubblica e invocarono la protezione del
re di Francia. Ma il cardinale Mazzarino era restio ad impegnarsi a fondo in
un’area così lontana e si limitò ad appoggiare tiepidamente l’iniziativa di Enrico
duca di Guisa che sperava di impadronirsi del regno con l’appoggio della
nobiltà meridionale. L’arrivo di una flotta spagnola segnò il destino della
repubblica di Napoli che capitolò nel 1648.
Il fallimento della rivolta antispagnola a Napoli, seguito dalla terribile pestilenza
del 1656 determinò un aggravamento della crisi economica e sociale già in atto
nel Mezzogiorno d’Italia. 66
Un ultimo tentativo rivoluzionario ebbe luogo a Messina negli anni Settanta. Gli
insorti messinesi chiesero soccorso a Luigi XIV, allora in guerra contro la
Spagna, che inviò una squadra navale a occupare la città. Ma il resto dell’isola
rimane fedele alla sovranità spagnola e alla conclusione della pace (1678) la
Francia lascò Messina esposta alla dura repressione spagnola.
I principati indigeni: Ducato di Savoia e Granducato di Toscana
Il regno di Carlo Emanuele I, figlio di Emanuele Filiberto che aveva restaurato il
Ducato sabaudo, fu contraddistinto da iniziative espansionistiche che
contribuirono al rafforzamento interno dello Stato e alla costruzione di un
apparato militare e fiscale tale da permettere al Piemonte di giocare una parte
non trascurabile sulla scena internazione tra Sei e Settecento.
Con il trattato di Lione nel 1601 Carlo Emanuele cedette al re di Francia la
Bresse, e altri territori transalpini e ottenne in cambio il marchesato di Saluzzo.
Negli anni che seguirono egli rivolse le sue ambizioni in direzione orientale,
verso il Monferrato, ancora soggetto ai Gonzaga di Mantova.
Sterile di risultati fu la prima guerra del Monferrato. La seconda guerra del
Monferrato (1628-1630) vice invece i piemontesi alleati con gli spagnoli contro i
francesi. Il trattato di Cherasco, firmato nel 1631 dal nuovo duca Vittorio
Amedeo I (1630-1637), sancì l’acquisizione di un certo numero di terre del
Monferrato, ma al prezzo assai pesante della cessione alla Francia della
fortezza di Pinerolo.
Le enormi spese provocate da questa politica estera e le devastazioni della
pestilenza del 1630 gettarono anche il Piemonte in una grave crisi
economico-sociale.
Ma un rovesciamento di questa tendenza e un risolleva mento dell’economia
piemontese si verificò già durante il regno di Carlo Emanuele II (1663-1675)
che rafforzò il controllo del governo centrale sulle comunità.
Nel Granducato di Toscana i progressi compiuti in direzione dello Stato moderno
sotto Cosimo I e i suoi figli Francesco I e Ferdinando I si arrestarono sotto i
successori. 67
Le repubbliche oligarchiche e lo Stato della Chiesa
Repubblica di Venezia
Gli indirizzi di politica estera adottati determinarono una tensione con la Santa
Sede, che oltre a contestare il monopolio veneziano della navigazione
nell’Adriatico considerava lesive delle “libertà” ecclesiastiche alcune nuove
leggi, come il divieto di costruire chiese senza il consenso del governo veneto.
L’arresto di due religiosi colpevoli di reati comuni nel 1605 attirò sulla
Repubblica i fulmini del nuovo papa Paolo V.
Il papa scomunicò i governatori della repubblica e scagliò la proibizione di
celebrare qualunque funzione ecclesiastica in terra veneta.
Il clero veneto non obbedì all’ingiunzione. L’intervento nella controversia delle
maggiori potenze cattoliche, Francia e Spagna, portò a una soluzione di
compromesso che permise a Venezia di uscirne a testa alta.
Stato Pontificio
Qui si va esaurendo la spinta a un maggior accentramento e a un più saldo
controllo delle province.
All’annessione di Ferrara (1598) seguì quella del Ducato Urbino (1631).
Per far fronte alle spese richieste dai grandi lavori pubblici e da una corte
sfarzosa, la Camera apostolica ricorreva sia ai proventi delle imposte, sia alla
raccolta di capitali mediante la vendita dei “luoghi di monte” titoli del debito
pubblico che assicuravano una rendita vitalizia e perpetua. Nella seconda metà
del Seicento, con la fine delle guerre di religione e l’attenuarsi progressivo del
rigore controriformistico, il prestigio internazionale del papato cominciò a
declinare e apparvero sempre più evidenti i difetti di un governo temporale
caratterizzato al tempo stesso dall’accentramento del potere nel sovrano e
dalle mancanza di continuità dinastica.
Gli ebrei nell’Europa moderna
Negli Stati italiani non soggetti alla dominazione spagnola sopravvissero nel
XVII secolo significative minoranze ebraiche, pur soggette a odiose
discriminazioni e angherie.
Gli ebrei erano stati espulsi dall’Inghilterra alla fine del Duecento e dalla
Francia in varie fasi nel corso del Trecento.
All’inizio dell’età moderna un fatto particolare nella storia europea degli israeliti
fu la loro espulsione dalla Spagna (1492) e dal Portogallo (1497), Paesi alla cui
prosperità e al cui sviluppo culturale avevano dato un importante contributo.
68
Questi profughi, detti “sefarditi” dal nome ebraico della Spagna (Sefarad) si
diressero in buona parte verso l’Impero ottomano dove furono ben accolti; ma
anche nel Nord Africa, nei Balcani e nei Paesi Bassi.
Agli occhi dei cristiani pesava sugli ebrei la colpa di avere ripudiato e messo a
morte il Cristo, e la loro tenacia nel difendere la fede e i costumi dei padri era
vista come una diabolica ostinazione nel peccato. L’ostilità popolare si
rivolgeva poi contro talune attività economiche che esercitate dagli ebrei,
soprattutto il prestito su pegno.
Anche dove erano tollerati, gli ebrei erano soggetti a interdizioni e vessazioni
umilianti; non potevano acquistare beni immobili né sposare o avere al proprio
servizio donne cristiane; dovevano spesso portare speciali indumenti o segni di
riconoscimento e pagare esosi tributi. La Riforma protestante e la
Controriforma cattolica portarono a un aggravamento delle loro condizioni.
Durante l’Inquisizione spagnola in Spagna, in Germania si succedevano i
tumulti popolari antiebraici spesso sfociati in saccheggi e massacri.
In Italia gli Stati che ancora ammettevano minoranze israelite (Repubblica
veneta, Stato pontificio, Toscana, Ducati estensi e gonzagheschi; furono invece
cacciati da tutte le regioni soggette alla Spagna) le rinchiusero nei ghetti,
speciali quartieri cittadini circondati da mura i cui portoni venivano chiusi al
tramonto.
Una certa attenuazione degli atteggiamenti persecutori si registrò in alcune
aree d’Europa a fine Cinquecento e nel Seicento a seguito del movimento di
secolarizzazione nella politica e nella cultura e della diffusione nelle sfere di
governo degli indirizzi mercantilistici, che facevano venire conveniente
ricorrere alle disponibilità finanziarie e alle reti di relazioni delle comunità
ebraiche per incrementare il commercio internazionale. (soprattutto ad
Amsterdam). 69
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