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Per i conservatori e anche per i progressisti, gli Stati erano un punto di riferimento essenziale. Il
rifiuto degli Stati del Brabante e dell’Hainault di concedere i tributi al sovrano suonò come una
squilla di guerra. Le province poi proclamarono l’indipendenza dal dominio austriaco.
Un’organizzazione cetuale esisteva in Ungheria dov’era indiscussa la supremazia nobiliare. Erano
molto potenti i magnati, che sedevano alla Camera alta. La Sicilia sotto Carlo di Borbone entrò a
far parte del Regno delle Due Sicilie. Pur riconoscendo la sovranità del re di Napoli, l’isola godeva
di autonomia. Il vicerè lasciava mano libera ai baroni. Il parlamento si divideva in tre bracci: quello
militare o feudale, quello ecclesiastico e quello demaniale. Un arma per la tutela degli interessi
baronali era il diritto del parlamento di fissare l’ammontare delle imposte, di ripartirle e di
riscuoterle. In Polonia il dualismo costituzionale comprometteva il funzionamento dello Stato. Le
componenti della dieta erano tre: il re, il senato e la Camera dei deputati. Dominavano i nobili.
L’autorità regia era nulla. Il re, eletto dalla dieta doveva impegnarsi a convocarla regolarmente, a
rispettarne i poteri e a non violare i privilegi della nobiltà. La dieta esercitava il potere legislativo. La
Polonia era mantenuta dai magnati in una situazione di disordine. Nel 1772 subì la prima
spartizione. In Svezia l’assolutismo si era spinto avanti. Il re Carlo XI era poco permissivo con i
nobili e lasciò il regno al figlio Carlo XII. Carlo XII ebbe molti successi in guerra ma nel 1718 cadde
combattendo contro i danesi. Con la sua fine ci fu la fine dell’assolutismo, da lui esteso e
rafforzato. Il regno era a pezzi e la nobiltà ne approfittò per tornare alla ribalta con una politica di
pace, la corona elettiva e un mutamento di regime. Cominciava così l’Era della libertà. La dieta
fissò i propri poteri e quelli del sovrano. Alla dieta spettava il potere legislativo e controllava il
Consiglio di Stato, cui era affidato il potere esecutivo. I 16 membri del consiglio erano nominati dal
re. La Svezia era una monarchia parlamentare. Nelle Province Unite c’erano tensioni tra
repubblicanesimo aristocratico e assolutismo. Sul piano sociale si accentuavano le differenziazioni
e le polarizzazioni che si traducevano in inquietudine politica. L’incertezza dell’assetto
costituzionale dava spazio al manifestarsi dei conflitti. Le Province Unite erano una repubblica con
connotazioni monarchiche. Gli Stati generali sedevano in permanenza all’Aia. Vi partecipavano i
deputati delle sette province, ognuna delle quali aveva leggi proprie. Fondamentale era il ruolo
delle città. Erano privi di cittadinanza politica gli strati inferiori della piramide sociale e anche i
gruppi mercantili ricchi ed attivi. I deputati agli Stati generali non erano autorizzati a fare di testa
loro: prima di deliberare dovevano consultare gli Stati provinciali, che a loro volta consultavano i
committenti. La velocità dei lavori era ostacolata. In momenti di emergenza lo stadhouderato si
occupava di assicurare la velocità d’esecuzione che aveva permesso alle Province Unite di
fronteggiare le minacce esterne. I successi ottenuti dai vai stadhoulder avevano fatto assumere
delle connotazioni monarchica ad una carica che gli Stati generali non volevano sfuggisse al loro
controllo. Era previsto uno stadhoulder in ogni provincia e doveva vegliare all’esecuzione dei
deliberati degli Stati e mantenere l’ordine pubblico. Morto nel 1702 Guglielmo III d’Orange, gli Stati
generali lasciarono vacante la carica di stathoulder. Si riaprirono contrasti tra il partito dei reggenti,
difensore della repubblica aristocratica e della struttura federalistica, e il partito orangista, ostile al
patriziato e fautore della monarchia assoluta. L’invasione francese nel 1747 giocò a favore dello
stadhouderato. La disfatta screditò infatti il governo aristocratico e portò alla carica di statolder per
tutte e sette le province Guglielmo V d’Orange. Lo stadhouderato fu reso ereditario nella casa
d’Orange. Gli anni successivi furono tranquilli. La scena politica mutò negli anni settanta col
delinearsi di un movimento che coinvolgeva nella condanna sia il patriziato sia lo stadhouderato.
La sconfitta subita dalle Province Unite contro la Gran Bretagna nel 1780 alimentò un
repubblicanesimo aggressivo che sfociò in guerra civile. L’intervento militare prussiano assicurò la
vittoria a Guglielmo V. In Italia Genova e Venezia non avevano retto il passo delle grandi
monarchie. A Genova ci fu una sollevazione popolare nel 1746, quando l’odio per le truppe
austriache aveva investito con violenza anche il governo aristocratico accusato di arrendevolezza
nei confronti dell’invasore. Prese corpo un contropotere popolare. Ci fu poi un ripristino dello status
quo. Venezia sopravviveva aggrappandosi alla massima del quieta non movere. Mentre
tramontava il mito di Venezia, si affermava quello della Svizzera. Cittadini e borghesi in Svizzera
sedevano nel Consiglio generale ma erano esclusi dal Consiglio dei Duecento e dal Piccolo
Consiglio. Contro Pierre Fatio, che aveva sostenuto che spettasse al Consiglio generale il diritto di
stabilire e cambiare le leggi e gli editti, il Piccolo Consiglio intervenne drasticamente
condannandolo a morte. Dopo un periodo di calma i contrasti si riaccesero nel 1734. L’intervento
dei Cantoni di Berna e di Zurigo condussero al Regolamento dell’illustre mediazione, in base al
quale il patriziato riconosceva a Cittadini e Borghesi il diritto di fare richieste ai quattro sindaci e al
Piccolo consiglio. Cittadini e Borghesi volevano far rispettare le loro conquiste e il patriziato di
cercò invece di svuotarle di significato. La tensione si trasformò in crisi nel 1763. Cittadini e
Borghesi chiesero che della questione fosse investito il Consiglio generale. Il patriziato rifiutava la
formazione di due partiti: i rappresentanti e i negativi. Il conflitto mise in discussione l’intera
organizzazione dello Stato. Dalla difesa conservatrice delle leggi, che secondo i rappresentanti i
negativi avevano violato, si giunse ad adombrare la sovranità del popolo. I Natifs continuavano ad
essere in condizioni di minorità civile e politica. La rivoluzione ginevrina del 1768 fu un
compromesso tra Cittadini e Borghesi da un lato, e patrizi dall’altro. Una parte dei Natifs non aveva
cessato di reclamare la pienezza dei diritti civili e politici e il Consiglio generale venne parzialmente
incontro alle loro richieste. I patrizi scandalizzati chiesero e ottennero l’intervento delle potenze
garanti e trionfarono. Con il Codice Nero tutto tornava com’era prima del 1768. Nel Settecento la
monarchia assoluta godeva di consensi perché sembrava incarnare l’ordine ma non solo lei
suscitava simpatie. Il fatto che esistessero delle repubbliche alimentava idee di libertà suscettibili.
Si affermava che il regime repubblicano conveniva solo ai piccoli Stati. Si manifestava differenza
per la democrazia. Circolava uno spirito repubblicano; il quale significava esigenza di
partecipazione politica dei cittadini, esaltazione dei diritti individuali. Si vigilava contro gli arbitrii del
potere regio. Il repubblicanesimo acquistò maggiore franchezza. L’America era la terra della
libertà, dove sorse uno Stato senza re che perfezionava la lezione delle repubbliche antiche e
moderne. Nel 4 Luglio 1776 ci fu la dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America.
Gli apparati burocratici e l’attività amministrativa
In Francia i vari Consigli non erano organi indipendenti l’uno dall’altro, bensì sezioni dell’unico
Consiglio di Stato del re. Le questioni di politica estera e interna erano trattate nel Conseil d’en-
haut e nel COnseil des depeches. Delle finanze e del commercio si occupavano il Consiglio reale
delle finanze e il consiglio reale del commercio. Il titolo di ministro spettava a chi veniva ammesso
al conseil d’en-haut. Per brigare meglio gli affari funzionavano dei comitati di ministri con eventuale
intervento di consiglieri e diplomatici. Non era prevista la carica di primo ministro. L’apparato
governativo francese era un modello di accentramento. All’unità teorica del Consiglio del re
corrispondevano nella pratica conflitti di competenze e rivalità. In Prussia con Federico II il sovrano
aveva il compito di decidere tutto e a lui spettava l’ultima parola sulle relazioni e i dispacci che gli
venivano inviati dai collaboratori e dagli organi governativi. La monarchia prussiana sembrava
funzionare a pieno ritmo, potendo contare su ingranaggi che Federico Guglielmo I aveva costruito
con cura e che Federico II conservò. Federico II salito al trono nel 1713 riformò l’amministrazione
dell’esteso demanio regio affidandolo a dei sovraintendenti-affittuari detti Amtmanner, dipendenti
dalle Camere provinciali dei demani e a loro volta sottoposte al Direttorio generale delle finanze.
Nelle città, un funzionario nominato dal re, il Commissarius loci, provvedeva alla riscossione
dell’accisa. Nei distretti il Landrat si occupava dell’imposta fondiaria, detta contribuzione. Era scelto
dalla nobiltà locale entro una serie di candidati approvati dal sovrano. Al di sopra dei Commissari
loci e dei Landrate c’erano dei Commissariati provinciali di guerra, che dipendevano dal
Commissariato generale di guerra. Nel 1723 tutto cambiò. In periferia furono create nove Camere
di guerra e demani ognuna delle quali ebbe un presidente, due direttori, quindici consiglieri,
cinquanta impiegati. Un nuovo funzionario, lo Steuerrat sostituì il Commissarius loci. Federico II
creò dei nuovi dipartimenti, uno per l’economia e l’altro per la guerra e anche uno per le
costruzioni. Nel 1763 all’indomani della guerra dei Sette anni la monarchia asburgica era molto
cambiata rispetto al 1740, l’anno in cui Maria Teresa prese il potere. Nel 1760 era stato istituito il
Consiglio di Stato che si occupava degli affari del blocco austro-boemo. Nell’apparato burocratico
andava ormai prevalendo il criterio della specializzazione funzionale. Nel 1749 si era avviata la
separazione della sfera amministrativa e finanziaria da quella giudiziaria. Kaunitz decise di abolire
il Directorium in publicis et cameralibus. Fu unità la cancelleria di Boemia e Austria. La Camera
aulica dei conti vide aumentare i suoi poteri di vigilanza sulle entrate dello Stato e un nuovo
Consiglio fu incaricato di gestire il debito pubblico. La Corte dei conti doveva accertare la
correttezza delle operazioni di tutti gli organi finanziari. Anche dopo la morte di Pietro il Grande in
Russia il sistema dei Collegi continuò a costituire l’ossatura dell’amministrazione zarista. Caterina
II creò nuovi Collegi. I