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III.
Contemporaneamente un monaco anglosassone, Bonifacio, in accordo con papa Zaccaria, si era
recato a predicare il vangelo a Frisoni e Sassoni, ancora legato a culti pagani; si trattò di
un’impresa assai ardua che Bonifacio non riuscì a portare a termine finendo ucciso dai Frisoni nel
754, ma la sua opera si rivelò assai importante per l’acquisizione definitiva per l’acquisizione di
quelle regioni all’influenza della chiesa e del dominio dei Franchi. Bonifacio volse poi il suo zelo
alo stesso regno dei Franchi dove l’organizzazione ecclesiastica e la vita religiosa in generale
erano in profonda crisi: i concili che non si tenevano più dal 680, furono convocati per ben tre volte
dando avvio ad un riordinamento complessivo della chiesa franca.
Quando nel 747 Carlomanno abdicò Pipino assunse i pieni poteri e trattenne giunto il momento di
dare sanzione formale al suo potere: nel 751 Pipino, rinchiuso in un convento Childerico III, si fece
acclamate re da un’assemblea di grandi a Soisson, facendosi poi ungere con l’olio santo da
Bonifacio e da altri vescovi, secondo l’uso degli antichi re giudaico. In questo modo Pipino
mostrava d’intendere il suo ruolo in modo diverso dai merovingi: l’approvazione pontificia e
l’unzione di Bonifacio davano al suo potere un fondamento sacro, facendolo discendere
direttamente da Dio e quindi ponendo le premesse per la nascita di una monarchia di diritto divino.
7.2 – Le basi della potenza dei Pipinidi e le origini del feudalesimo
I Popoli germanici furono per definizione Popoli di uomini in armi; questa attitudine guerriera si
venne attenuando con la loro trasformazione in proprietari terrieri, ma non si annullò mai, per cui
la partecipazione all’esercito regio restava pure sempre una prerogativa, oltre che un dovere, di
tutti gli uomini liberi.
Quell’attitudine si conservava pero intatta in alcune minoranze guerriere, e anzi si andava
potenziando agli inizi dell’VIII secolo con la diffusione di nuove tecniche militari, come il
combattimento d’urto a cavallo, possibile grazie all’introduzione sella staffa, che dava al cavaliere
una maggiore stabilità sul cavallo. Si trattava in genere di giovani guerrieri, facenti parte del
seguito armato dei sovrani (trustis) e di quegli esponenti della nobiltà che, continuando la
tradizione dell’antico comitatus e a imitazione della trustis regia, avevano mantenuto intorno a se
in numero più o meno grande di uomini armati. Riducendosi, con la fine delle guerre di conquista,
la possibilità di ricompensarli con i frutti di razzie e scorrerie, ai capi armati non restava che tenerli
presso di sé, tra i loro familiare, o accasarli, mediante la concessione di terre; in cambio essi si
impegnavano, mediante un giuramento, a prestare il loro servizio militare. Accadde così che
l’ingaggio del guerriero venisse formalizzato con una vera e propria cerimonia (detta poi
dell’omaggio) e sancito con un giuramento di fedeltà (nel frattempo il termine di origine celtica
“vassus” subiva un cambiamento di significato, diventando il termine che indicava un cavaliere
legato al suo signore da un vincolo di fedeltà. Per indicare la ricompense alla fedeltà si prese ad
usare il termine “feudo”, ch subì anch’esso un’evoluzione semantica passando dal significato
originario di bestiame a quello di bene fondiario, essendo il vassallo generalmente retribuito con la
concessione di terre, attraverso una cerimonia di investitura). La conseguenza del diffondersi dei
rapporti vassallatico-beneficiari (beneficium è il corrispondente latino di feudo) era che all’interno
dell’esercito regio venivano ad assumere un ruolo preminente nuclei vassallatici: questa
preminenza era legata non solo alla prestazione fisica e all’abilità nell’uso delle armi, ma anche ad
un più efficace armamento, che ormai non era più alla portata di un qualsiasi uomo libero. Le
nuove tecniche di combattimento richiedevano infatti, oltre alla disponibilità di cavalli, l’uso di
un’armatura più pesante in grado d difendere dalla violenza del combattimento d’urto; un tale tipo
d equipaggiamento costava l’equivalente d venti buoi da lavoro.
Di seguiti armati così equipaggiati i Pipinidi disponevano con maggiore larghezza rispetto alle altre
famiglie dell’aristocrazia, potendo contare su larga base fondiaria nei loro possedimenti
dell’Austrasia.
Carlo Martello non si limitò a ingaggiare nuovi cavalieri e dotarli di beni, ma intraprese un vasto
reclutamento tra gli esponenti stesso dell’aristocrazia, già dotati di seguiti armati. Il risultato fu che
intorno alla sua famiglia si creò un aggregato di clientele militari e politiche, che si
sovrapponevano all’apparato monarchico merovingio; questo spiega come Pipino il breve potesse
spodestare l’ultimo sovrano di quella dinastia, senza incontrare alcuna resistenza.
7.3 – La ripresa dell’espansionismo Franco e la conquista dell’Italia
Con questa forte macchina da guerra Pipino il breve diede inizio a una nuova fase di espansione
dei Franchi in Europa: a farne le spese furono per primi i Longobardi, che con il re Astolfo (749-
756) erano ugualmente impegnati in una politica di espansione in Italia, volta a eliminare i residui
possedimenti bizantini. Davanti all’avanzata di Astolfo, che nel 751 aveva conquistato Ravenna e
il ducato di Spoleto, minacciando da vicino la stessa Roma, il pontefice Stefano II (752-757) si
recò nel 754 in Francia, dove rinnovò l’unzione con l’olio santo a Pipino e ai figli, e conferì al re il
titolo di patrizio dei romani, ovvero protettore della Chiesa di Roma: titolo sul quale il Papa fece
immediatamente leva per chiedere un suo intervento in Italia contro Astolfo (non fu facile
convincerlo perché negli ambienti di corte c’era un forte partito filo-longobardo, capeggiato dal
fratello del re, monaco a Montecassino).
La spedizione militare di Pipino in Italia avvenne nel 755 e mostrò chiaramente la differenza di
potenziale bellico esistente fra i due regni: Astolfo, in testa ad un esercito di uomini liberi che
avevano risposto all’eribanno regio, ovvero alla chiamata alle armi da parte del re, fu travolto dalle
schiere franche alla Chiusa di S. Michele, si rifugiò infine a Pavia, dove si arrese dopo un breve
assedio. Pipino, non essendo interessato a forzare la situazione, si accontentò della sua
promessa di cedere al Papa Ravenna e gli altri territori sottratti ai Bizantini. Bastò però che Pipino
lasciasse l’Italia perché Astolfo riprendesse gli attacchi a Roma: nel 756 Pipino intraprese perciò
una nuova spedizione e questa volta sconfisse definitivamente il re longobardo imponendogli la
cessione immediata alla Chiesa di Roma degli ex territori bizantini da lui conquistati.
Il nuovo Re Desiderio, succeduto lo stesso anno al defunto Astolfo, mostrava propositi meno
bellicosi, nonché la volontà di intrattenere rapporti di amicizia con i Franchi: a sancire il nuovo
corso della politica longobarda fu il matrimonio dei figli di Pipino, Carlomanno e Carlo, con due
principesse longobarde. In effetti la pace duro per un buon quindicennio, durante il quale
scomparvero alcun dei personaggi fin qui menzionati quali nel 757 Papa Stefano II, nel 768 Pipino
il Breve e nel 771 Carlomanno.
Carlo (detto poi Magno), rimasto unico sovrano, ripudiò la moglie e scacciò la vedova del fratello
con i figli, che si rifugiarono presso Re Desiderio. Quest’ultimo mosse un improvviso attacco ai
territori da poco consegnati al pontefice e alla stessa Roma: si scontrò però con l’irriducibile
ostilità di Papa Adriano I (772-778) che chiese l’intervento di Carlo.
Carlo, sconfitto nel 773 Desiderio in Val di Susa, lo costrinse a rinchiudersi a Pavia e una volta
che si fu arreso lo fece prigioniero; spezzò infine un tentativo di resistenza di suo figlio Adelchi,
che fu costretto a rifugiarsi presso l’imperatore d’Oriente.
Formalmente si trattò quasi soltanto di un cambio di dinastia, perché la maggior parte dei duchi e
degli esponenti dell’aristocrazia longobarda si sottomisero al vincitore e conservarono i loro
patrimoni fondiari, mentre restava in piedi l’apparato politico-amministrativo e le leggi preesistenti.
Cambiamenti più radicali furono introdotti invece nel 776, quando, in seguito a un tentativo di
riscossa dei duchi, ci fu una larga immissione nella penisola di conti e vassalli franchi, che
assicurarono al sovrano un più saldo controllo del nuovo regno, affidato a suo figlio Pipino; il loro
arrivò in Italia portò alla diffusione dei rapporti vassallatico-beneficiari, ormai largamente
sperimentati nei territori franchi.
7.4 – Le altre conquiste di Carlo Magno
Gli anni che succedettero la conquista del regno longobardo videro Carlo impegnato in una serie
incessante di guerre: nel 778 condusse un forte corpo di spedizione al di là dei Pirenei, con
l’obbiettivo di mettere fine una volta per tutte alla minaccia dei mussulmani di Spagna, meglio noti
come Mori o Saraceni, ma dopo la conquista di Pamplona fu costretto a ritirarsi per far fronte a
una rivolta dei Sassoni. Durante la ritirata, nelle gole dei Pirenei, presso Roncisvalle, la
retroguardia cadde in un’imboscata dei Baschi e molti guerrieri persero la vita (tra essi il conte di
palazzo Rolando). L’episodio, di per se stesso di scarsa importanza militare, ebbe nell’opinione
pubblica un’eco enorme, grazie all’opera di poeti e cantastorie, che celebravano nelle corti e nelle
piazze d’Europa le imprese dei cavalieri cristiani contro i mussulmani.
Su quel fronte non ritorno tuttavia prima dell’801, quando diede inizio a una nuova campagna che
si concluse nel 813 con la creazione di un nuovo distretto di confine, la Marca hispanica,
comprendente la Navarra e buona parte della Catalogna, con capitale Barcellona.
Nel tempo intercorso tra la prima e la seconda spedizione in Spagna, Carlo fu fortemente
impegnato su almeno altri due fronti: lungo le frontiere settentrionali e orientali. Al nord ci vollero
quasi trent’anni e massacri spaventosi per venire a capo all’ostinata resistenza dei Sassoni, i
quali, ancora prima del dominio Franco, rifiutavano il Cristianesimo, che Carlo tentava di imporre
loro con la forza; quando finalmente ebbero termine le operazioni belliche nell’804, fu possibile
completare l’opera iniziata da Bonifacio, dando alle regioni un saldo ordinamento ecclesiastico.
Difficoltà comportò anche il controllo della Frisia, che pure era stata evangelizzata da Bonifacio:
una rivolta nel 784, scoppiata in concomitanza con una sollevazione dei Sassoni, sembrò sul
punto di infrangere il dominio franco, ma la sconfit