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4. LA POLITICA ANGIOINA E LA RIVOLTA DEL VESPRO.
Il papa, considerandosi signore feudale del Mezzogiorno, influì sulle sorti del regno: il papa francese Urbano IV aprì quindi
la strada a Carlo d’Angiò, che sconfisse a BV i ghibellini e uccise Manfredi (1266).
Carlo conservò le istituzioni monarchiche e l’impianto fiscale federiciano: il rafforzamento del governo offriva infatti una
struttura statale solida. Quest’eredità riponeva però il problema dell’opposizione delle città e della nobiltà feudale (che lo
avevano appoggiato contro gli Svevi). Il Papa sollecitò allora Carlo a convocare le assemblee parlamentari, mantenendo la
promessa fatta ai siciliani al momento dell’incoronazione. Tuttavia egli convocò solo curie generali senza poteri legislativi o
politici, atte solo far conoscere le sue decisioni; solo in seguito all’insurrezione di nobili che appoggiavano Corradino nel
tentativo di riguadagnare il regno agli Svevi, Carlo convocò il parlamento di NA (1267).
Nei confronti delle città riaffermò quindi la politica federiciana: nel 1270 abbatté il palazzo in cui a NA si riunivano i nobili
e il Popolo, ma questi episodi dimostrano che anche le città meridionali conobbero forme di organizzazione comunale.
La svolta ci fu con la rivolta del Vespo (1282), che costrinse gli Angioini a lasciare l’isola e sfociò nella costituzione della
Communitas Siciliae
lega di città . Nella rivolta, spesso considerata una ribellione popolare spontanea, pesarono: l’aristocrazia
rafforzatasi in età sveva, indebolita dalle scelte dei sovrani (preferenza di NA; legame col papa; affidamento d’importanti
funzioni a uomini del Mezzogiorno continentale); le categorie legate alla produzione e al commercio, lese dallo spostamento
degli interessi degli Angiò verso il continente; Aragonesi. La corona del regno di Sicilia passò a Pietro III d’Aragona (marito
di Costanza II d’Aragona, figlia di Manfredi) che si impegnò a rispettare le libertà dei tempi mitici di Guglielmo II.
L’insurrezione del Vespro causò conflitti tra Aragonesi e Angioini che ruppero l’unità statuale meridionale sancita dalla
pace di Caltabellotta (1302). Le necessità belliche dettero un forte impulso al ceto baronale e crebbe il potere delle città.
5. NUOVE RELAZIONI FRA CITTÀ E CORONA.
Con gli Angioini NA acquisì il ruolo di capitale del regno (Maschio Angioino). Questo accentramento irrobustì i legami tra
gli Angioini e la nobiltà feudale, il cui apporto militare era essenziale: la nobiltà mirava ad assicurarsi i nuovi incarichi burocratici
populares
e militari per poter godere dell’esenzione fiscale. Si accesero quindi contrasti coi , su cui ricadeva tutto il peso fiscale.
Nel 1311 fu istituita la magistratura dei Sei, un organo collegiale con 2 rappresentanti del popolo, 3 della nobiltà e 1 della corte,
ma neanche ciò placò i contrasti.
Gli Angioini, indeboliti dalla guerra contro gli Aragonesi, furono più attenti ai dissensi e alle richieste delle città. Il Vespro
permise quindi la nascita di nuove istituzioni comunali, in cui però il sovrano continuava ad essere un punto di riferimento.
Il grado di autonomia delle città del Mezzogiorno angioino e aragonese e la capacità di proiettarsi oltre le mura variavano;
a Nord, le città più a contatto con l’IT comunale svilupparono maggior autonomia e capacità di coordinazione territoriale. In
ogni caso al Sud la conquista del contado avvenne, diversamente che nell’IT comunale, grazie a concessioni del sovrano. La
giurisdizione cittadina sul territorio riguardava: manutenzione delle strade; regolamentazione dei mercati; disciplina di pesi e
misure; talvolta obbligo delle comunità dipendenti di rispettare gli statuti cittadini, partecipare alla fiscalità urbana, accogliere
baiulo
un cittadino.
Dopo il Vespro in Sicilia si trasformarono le relazioni fra monarchia e realtà locali. Pietro III favorì l’élite siciliana che aveva
voluto la sua elezione, ma fu anche debitore anche delle città che si erano ribellate agli Angiò: per questo creò assemblee
parlamentari col compito di deliberare sulle questioni più rilevanti.
Anche Federico III favorì l’aristocrazia e il ceto emergente che lo aveva eletto, ribadì gli antichi privilegi economici delle
città importanti (PA e ME) e rafforzò il ruolo della rappresentanza cittadina.
Avviò inoltre il decentramento amministrativo e giudiziario, creando così una struttura policentrica. Il governo cittadino
spettò a un consiglio di giurati guidato da un baiulo. PA, ME e altri centri ottennero un foro giudiziario e un tribunale urbano
milites civitates terra
di primo appello. Sotto la pressione di e aristocrazia, per sopperire alle necessità belliche in ogni o si
insediò un capitano di guerra; col tempo ampliarono le loro prerogative pubbliche e estesero la loro giurisdizione oltre i confini
secreti
dei centri abitati. Furono soppressi i .
Nel ‘300 l’aristocrazia riuscì ad imporre la sua egemonia sul territorio. Il decentramento dell’autorità regia privò il sovrano
di parte delle risorse demaniali e fiscali che passarono nelle mani dell’aristocrazia. Fu avvantaggiata anche dal perenne stato di
guerra che le permise di porsi come difensora. Le città erano particolarmente ambite perché più solide e ricche: l’acquisizione
delle cariche regie (giustiziere e capitano di popolo) costituì uno strumento di penetrazione.
Alcuni lignaggi aristocratici costruirono, a partire dai feudi ottenuti dalla corona, ampie compagini territoriali per penetrare
poi anche nei centri urbani. È il caso dei Chiaromonte, famiglia normanna che ricevette dagli aragonesi vari feudi e il diritto di
esercitarvi la bassa e l’alta giustizia; in seguito ottennero anche cariche regie, riuscendo così ad insediarsi a PA.
Il filo conduttore della processo di affermazione di molti lignaggi fu il tentativo di esercitare un controllo politico ed
economico sul territorio e di l’acquisire una posizione egemonica nelle città. Ciò portò ad forte competizione che però, a
differenza di quanto avvenuto nell’IT comunale, non nocque alle città. Dopo la morte di Federico III lo scontro divenne però
più cruento portò al predominio di una fazione sull’altra (PA: Chiaromonte; ME: Palizzi e poi Rosso). Tutto ciò andava a
detrimento del potere monarchico. Nel 1362 Federico IV riconobbe, sotto il controllo formale della corona, la legittimità del
governo dell’aristocrazia su vaste aree; ciò portò poi alla spartizione del regno tra Chiaromonte, Alagona, Ventimiglia, Petralta.
Il mezzo secolo di dominio aristocratico non svilì comunque le città che, a inizio XIV sec., con la restaurazione della
monarchia (Martino I), assunsero una maggiore importanza economica e amministrativa e instaurarono un nuovo rapporto
con la corona. Si aprì una nuova stagione in cui consolidarono organizzazioni comunali con organi collegiali elettivi, espansero
il controllo sui territori circostanti e ottennero il riconoscimento dei privilegi e delle consuetudini fissate in forma scritta.
L’età angioino-aragonese fu un periodo di trasformazioni delle realtà urbane Meridionali: ottennero spazi di autonomia
amministrativa e acquisirono una personalità giuridica all’interno dell’organizzazione monarchica.
8. Coscienza cittadina e vocazioni culturali.
1. UN IDENTITÀ COMPOSITA.
Al sud la monarchia fu un riferimento centrale e condizionò la costruzione dell’identità urbana. Esistevano manifestazioni
identitarie (culti civici, edificazione di mura e cattedrali), ma non c’era una coscienza politica come nell’IT comunale.
Nelle città-Stato si elaborò di una storiografia centrata sull’universo cittadino. Al Sud la produzione cronistica travalicava la
laudatio urbis
dimensione urbana: non fu assente ma non fu un fenomeno cittadino. Il modello della fu scarsamente diffuso;
la produzione urbana di cronache fu scarsa e incentrata sul punto di vista del sovrano e dell’aristocrazia, ma anche nei casi di
cronisti ostili alla monarchia l’orizzonte geografico e culturale rimaneva quello del regno. Anche qui ci furono notai-cronisti
notevoli impegnati nella conservazione della memoria storica della città, unendo la dimensione sovralocale del regno a quella
cittadina, diversamente dai cronisti dell’IT comunale che ricercavano la genesi delle fazioni all’interno del mondo urbano.
La produzione storiografica del Sud fu in linea con gli sviluppi politico-istituzionali del regno. I luoghi di produzione
privilegiati erano infatti le città al confine con l’IT comunale (AQ e BV). Anche la periodizzazione segue l’evoluzione della
laudes civitatum
dialettica tra centri urbani e corona: dopo il precoce sviluppo di e di cronache in età normanna, durante il
regno di Federico II, il periodo meno favorevole all’affermazione delle autonomie cittadine, ci fu una rarefazione delle scritture
storiografiche centrate sulla città, destinate ad aumentare nei secoli successivi.
Le manifestazioni più forti dell’identità civica del Mezzogiorno erano altre.
- Cattedrale: non era soltanto un centro religioso, ma anche l’espressione, al pari delle mura, dell’identità urbana (Dopo
un rapido sviluppo economico, FG rivendicò lo statuto di città e sede vescovile. Nel 1204 si ribella a Troia, centro
episcopale da cui dipendeva. Le rivendicazioni si placarono quando Federico II la elevò a quasi-capitale, ma riemersero
con l’istallazione della corte angioina a NA).
- Patrono. (BA: le reliquie di S. Nicola fecero della città un centro di pellegrinaggio; al momento della conquista
normanna, BA ottenne che tra le condizioni di sottomissione vi fosse la tutela della memoria del santo: l’esigenza di
autonomia trovava espressione nella religiosità civica. PA: la chiesa della Martorana a incarnava il desiderio di autonomia
dei cittadini che, in mancanza di un palazzo comunale, vi tenevano assemblee).
Dopo il Vespro ci fu una maggiore interazione dialettica tra la corona e l’élite locale che assurse al ruolo di ente politico.
Ciò si concretò nell’edificazione del palazzo comunale e nelle politiche urbanistiche. In quest’ambito ci fu un grande scarto
cronologico tra le città del centro-nord, che ebbero sedi di governo già dal XII sec, e quelle del sud, che le ebbero nel ‘3-400.
In realtà le evidenze materiali che segnavano più peculiarmente il paesaggio urbano del Mezzogiorno sono rintracciabili nei
palazzi regi muniti di torri e masti e nei castelli. Federico II resta