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IL MONTAGGIO TRA MITO E STORIA
Il montaggio cinematografico è una tappa del processo di postproduzione durante la quale i
metri di pellicola impressionati vengono riorganizzati secondo un principio ordinatore.
Il montaggio ha un ruolo determinante: ha responsabilità creativa, ovvero la capacità di
differenziare il cinema dalle arti precedenti.
Ma il cinema non nacque come arte del montaggio, servirono circa vent’anni perché si arrivi a una
piena consapevolezza delle sue potenzialità.
Coesistono diversi modelli di associazione delle immagini:
• il montaggio-trucco, cioè la giuntura impercettibile fra quadri, su cui si fonderà il linguaggio
classico hollywoodiano
• il montaggio per affinità tematiche (il programma di vedute)
• il montaggio interno al quadro , dal sapore pittorico e teatrale
In qualunque direzione si sviluppi l’operazione del montaggio implica sempre una frammentazione iniziale e
una successiva ricomposizione.
IL CINEMA DEL QUADRO UNICO
Fase “primitiva”:
Fra le prime proiezioni del 1895 e l’uscita di Nascita di una nazione, l’immagine è un intero (Non ha
nemmeno senso parlare di inquadratura):
1) la veduta, che ha a modello la fotografia. (L’oggetto è la tranche de vie: un paesaggio o una
situazione quotidiana).
- Il vero oggetto delle vedute non è il paesaggio, ma il flusso, lo scorrere di corpi, il continuo
divenire delle cose.
- Per esaltarne i contorni, i Lumière fissano la macchina da presa in un punto strategico, il più
delle volte obliquo, così da accentuare la profondità (Sarebbe ora semplicistico ricondurre le vedute
Lumière al polo del realismo, tradizionalmente contrapposto al cinema di finzione, dato che il loro scopo
.
principale resta quello di stupire)
2) Il tableu, che ha a modello il teatro. (La ripresa unica di una scena allestita, recitata e simulata
in studio, su fondali dipinti). Nel tableu a trucchi Georges Méliès è maestro indiscusso di magie,
sparizioni, riapparizioni e altri effetti speciali nei quali il repertorio del teatro illusionista viene
potenziato dalla tecnica cinematografica.
- La scenografia composta dai fondali dipinti riduce al minimo la profondità di campo. Un certo
ordine della rappresentazione è però garantito dal ritmo delle entrate e delle uscite, da
scenografie a più livelli che permettono la distribuzione dei personaggi nell’immagine.
ES. In La maison tranquille (1901) l’immagine si sdoppia in un sopra e un sotto corrispondenti a due
diverse inquadrature “montate” nello stesso quadro;
ES. Le royaume del fées (1903) il rapimento della principessa Azurine per mano dei demoni viene
narrato in un unico tableu diviso in due parti lungo la diagonale (nel frattempo si impara a lavorare sul
movimento degli attori e a sfruttare le potenzialità della luce, che la tradizione pittorica ci ha abituato a
considerare un elemento orientativo nella lettura dei dipinti narrativi).
La forma visiva a cui fa riferimento Méliès non è quella che sarà della serie lineare, egli non
istituisce la possibilità di usare questi trucchi anche fra una tavola e l’altra. Li usa invece all’interno
di un raffinato codice della bidimensionalità.
In Le mélomane (1903) Méliès nei panni di un maestro di musica ricorre a un espediente didattico
estremo: si strappa la testa che prontamente ricresce, e la lancia in alto sull’enorme pentagramma
alle sue spalle. Il trucco della decapitazione viene ottenuto con l’arresto della ripresa. L’obiettivo è
realizzare due riprese contigue e identiche, tranne che per un particolare: la visibilità della testa.
1.2. IL MONTAGGIO-TRUCCO
La scoperta di espedienti che rendono invisibile la saldatura di due immagini viene piegata a
esigenze narrative estranee agli obiettivi del grande mago: Tanto che questa capacità del cinema
di fare percepire come continue due inquadrature che in realtà non lo sono, avrà un’enorme
fortuna, soprattutto in chiave del verosimile, anziché in quella del meraviglioso.
La precisione degli effetti ottenuti da Méliès denuncia la presenza di una seconda operazione di
montaggio: in fase di sviluppo il mago
(oltre a riaggiustare corpi e oggetti prima di riavviare le riprese)
ritoccava le immagini con forbici e colla, per eliminare i frames in eccesso.
Méliès ricorre al sapere teatrale e a retoriche desunte da altre forme spettacolari.
ES. I quadri si chiudono spesso con gesti di congedo rivolti allo spettatore e si riaprono dopo un
riaggiustamento della scena.
Il montatore era l’esercente della sala, e a tutti gli effetti il proprietario delle pellicole acquistate, il
che lo rendeva libero di manipolarle a piacimento.
A cavallo fra Otto e Novecento si proponevano serate caratterizzate da associazioni di film
assolutamente semplici ma significativi, come la serie degli arresti della polizia a Central Park o
quella delle diverse imprese compiute dai pompieri (found footage: brani di film diversi dotati di
somiglianze significative).
1.3. VERSO L’INQUADRATURA
L’apparizione dell’inquadratura è legata al crescente bisogno di narratività.
Intorno al 1908, l’ impulso a saldare un tableau e l’altro in funzione del racconto si manifesta in due
generi molto popolari:
- i film di inseguimento
- i film a soggetto religioso.
Entrambi addestrano lo spettatore a fare uno sforzo nuovo: immaginare uno spazio che si
estenda al di là della singola tavola.
L’idea della tridimensionalità dello spazio gioca un ruolo decisivo (Sarà Griffith a svilupparla): La
parziale perdita di autonomia dei quadri permette a Griffith di concepire uno spazio
tridimensionale, al centro del quale viene collocato lo spettatore.
ES. In The House of Darkness (1913) si entra in casa dal giardino antistante. Un pazzo si apposta
sotto la finestra della moglie del suo psichiatra; in un salotto che presenta sullo sfondo una finestra,
vediamo una donna. Per lo spettatore le due finestre diventano la stessa solo nel momento in cui
Griffith decide di tagliare il movimento del corpo che le collega, interrompendo il gesto di
scavalcamento a metà, e completandolo nella ripresa dall’interno.
Questo raccordo di movimento modifica la posizione dello spettatore, non più pensato come
esterno, bensì al centro dello spazio della finzione e in grado di muoversi in esso.
1.4. LA NASCITA DEL PRIMO PIANO
La reinterpretazione definitiva del tableau in inquadratura viene sancita dal taglio del corpo umano
; l’introduzione del primo piano viene attribuito a Griffith: il primo a intenderlo
(in particolare del capo)
come un particolare punto di osservazione concesso allo spettatore e non come trucco scenico
.
(appare in Nascita di una nazione)
E il cinema classico, in astratto, continuerà il percorso di Méliès, lavorando sul passaggio fra il
corpo spezzettato e il possesso immaginario del corpo intero:
ES. Una delle sequenze di Psyco di Alfred Hitchcock (Psycho, 1960), lavora non semplicemente
sulla messa in scena dell’accoltellamento di una giovane donna sotto la doccia, ma sul suo “taglio”
attraverso il montaggio: senza mostrarci nemmeno la più piccola ferita, Hitchcock ci costringe a
guardare il corpo di Marion fatto a pezzi.
1.5. GRIFFITH E DIONISO
Questo lavoro sul corpo compiuto dal cinema motiva la nota pagina ejzenstejniana su Dioniso e le
origini del montaggio. Ejzenstejn traccia un percorso che dal mito greco passa attraverso i riti
ancestrali ad esso ispirati, fino a tradursi in astratto in tutte le arti.
In una versione in cui la storia di Dioniso è stata tramandata, la morte della madre Semele costringe Zeus a
far nascere prematuramente il feto e a completarne la gestazione nel proprio corpo, cucendolo nella coscia.
Questo secondo Dioniso, impazzito, celebra sacrifici estatici di uomini e animali che ripetono all’infinito la sua
storia di brandello strappato.
Ejzenstejn sostiene che nelle civiltà arcaiche diverse forme di culto interpretassero letteralmente
questa leggenda: Attraverso una cerimonia, si procedeva alla periodica uccisione del capo, che
veniva macellato e poi mangiato in modo che ciascun commensale divenisse una parte del tutto
originario e costituisse la tribù.
E così qualunque opera d’arte si offre come un oggetto in qualche modo ricomposto.
2. L’INQUADRATURA, CORPO E CELLULA
Può una sola inquadratura costituirsi come corpo?
In Il principio cinematografico e l’ideogramma (1929), Ejzenstejn risponde di sì, arrivando a definire
l’inquadratura come cellula di montaggio, secondo due diverse accezioni:
1) costituisce una molecola che entra a far parte di un intero, il film.
2) si presenta come organismo unicellulare che gestisce autonomamente relazioni e conflitti fra le
proprie componenti
E’ nella seconda eccezione che entrano in gioco le dinamiche della significazione: Il “pittoricismo”
di questo cinema non ha nulla a che vedere con la ricerca di un “effetto quadro”, ma con problemi
tipici della tradizione pittorica: il rapporto figura/sfondo e il problema della forma e della sua
decostruzione.
2.1. MIMETISMI
In un quadro, gli elementi compositivi possono entrare in relazione “drammatica”, venendo separati
e riaccostati dallo sguardo. Ejzenstejn illustra questo processo in un brano di Teoria generale del
montaggio, analizzando un ritratto in piedi di tre quarti, con le mani incrociate sul ventre il volto
serio, nella sobria stanza di un palazzo. Il senso di spiritualità, di “elevazione ispirata” che lo
spettatore prova di fronte al dipinto è appunto l’effetto di un preciso montaggio interno.
L’occhio dello spettatore scivola dall’alto verso il basso, seguendo i veri e propri tagli di montaggio
tracciati in corrispondenza del battiscopa, dello specchio e del soffitto: essi ritagliano tre differenti
inquadrature, rispettivamente un piano americano, una mezza figura e un primo piano.
Se la figura intera sembra inquadrata dall’alto e il piano americano in frontale, la mezza figura e il
primo piano sembrano inquadrate da un punto macchina sempre più basso. E’ così che il
montaggio interno, permettendo la percezione successiva (ma anche simultanea) dei singoli
frammenti, produce un percorso dello sguardo che corrisponde al gesto dell’ammirazione, da cui
l’effetto di “elevazione” (letterale) della figura.
Anche un film può giocare su questi effetti, il principio di montaggio è lo stesso: lo spazio entrando
in relazione con la figura umana, finisce per trasformarla.
ES. Thais (1916) è la storia di una donna fatale, grande seduttrice di nobiluomi