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LA TEORIA DELL’ARTE NELLA PRIMA METÀ DEL SECOLO XVI
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I. LA TEORIA DELL’ARTE NELL’ITALIA CENTRALE PRIMA DEL VASARI
Si coordinano in un gruppo a sé in ragione del contrasto – socio-politico, geografico e artistico – tra Italia continentale e peninsulare.
Francesco Lancillotti Trattato di pittura (1509). Pittore fiorentino; riflette il pensiero del tempo: lamenta che la pittura sia esclusa
dalle arti liberali. C'è già la divisione più tardi tanto usata in disegno, colorito, compositione e inventione. Per il resto non offre molto.
Benedetto Varchi (1503-65), storico e filologo fiorentino, amico degli artisti. Due conferenze sulla pittura e sulla plastica tenute nel
1546 nell'Accademia di Firenze.
La I, assieme all'orazione funebre per Michelangelo, testimonia del culto per l’artista che si aveva a Firenze, e per il resto non è molto
profonda. La II tratta del paragone; inaugura lo strumento, poi sfruttatissimo, dell'inchiesta, cioè domanda agli artisti che gli scrivono
lettere di risposta. Le più interessanti sono quelle di Cellini (la scultura è 7 volte migliore della pittura perché ha da fare non con una
ma con otto prospettive, il platonismo agisce anche su di lui, con la convinzione che la scultura sia cosa vera e la pittura solo l'ombra
di essa); Vasari (Pittura: rappresenta l'intero fenomeno dell'universo); Pontormo (introduce il concetto di difficoltà); Bronzino
(cruscante, risponde con cura letteraria – che ha la stessa attrattiva della fredda levigatezza dei suoi quadri – senza dire nulla di
innovativo); Michelangelo (risponde di considerare la questione oziosa); altri artisti sono Sangallo, Del Sarto.
II. I TEORICI DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
Padova ebbe un documento fondamentale da un autore meridionale: Pomponio Gaurico ('uomo universale' napoletano che visse
anche a Padova), De sculptura (1504). Ampolloso e ricco di fiorettature greche; il suo approccio è piuttosto letterario che basato sulla
visione. Si limita alla scultura in bronzo, secondo lui la più difficile, lasciando informazioni preziose sulle tecniche. La tecnica della
scultura in bronzo comprende due parti: ductoria, la preparazione del modello di cera, e la parte relativa alla tecnica di fusione. La
ductoria si divide a sua volta nella disegnatio e nella animatio. La disegnatio è a sua volta suddivisa in commensuratio e fisionomica.
La chimica è complemento di natura pratica. La teoria delle proporzioni di G. è spiccatamente platonica. Tratta la massa corporea con
espressa allusione alla musica, è evidente la connessione con la speculazione platonica. Sulle proporzioni del fanciullo il G. volle
scrivere un libro particolare; per tanto tempo la rappresentazione del fanciullo era rimasta legata alle proporzioni dell’adulto.
Paolo Pino, modesto pittore veneziano allievo di Savoldo, Dialogo sulla pittura (1548). Dialogo presso un salotto, espediente
tipicamente veneziano. Parte da un tema molto discusso, quello della bellezza delle donne (delinea il tipo ideale veneziano).
L’esposizione della teoria della pittura è scandita dalle tipiche categorie del Disegno, Invenzione, Colorito; appaiono già nozioni e
termini del manierismo, come il difficile o il pittore valente (virtuoso). Fra i pittori viventi sono citati con lode il Tintoretto e anche il
Vasari. Sul tema del paragone cita un aneddoto interessante su Giorgione (raccontato anche da Vasari): 'a confusione degli scultori',
avrebbe dipinto un s. Giorgio in modo che la figura si rispecchiasse di scorcio in una fontana e in due specchi laterali; dimostra che la
pittura può rendere tutte le visuali di un oggetto, cosa che alla scultura non è possibile (classico sofisma). Tipico di Venezia è l’alto
apprezzamento dei Paesi Bassi: rispetto a Vasari dimostra quindi di saper estendere il suo sguardo oltre i propri confini culturali.
Michelangelo Biondo (NB non confondere con Flavio), Della nobilissima pittura (1549); Schlosser lo definisce un meschino
letterato che scrisse su ogni cosa possibile. Anche questo suo 'lavoraccio è assai misero' composto piuttosto da furti da altri autori, la
sua incompetenza è palesata dal fatto che creda di Mantegna l’Ultima cena. Giulio Camillo è un'altro della medesima schiera del B.
Francesco Doni, fiorentino, pubblicò a Venezia il grazioso libretto d’arte sul Disegno. Anche qui la parte più importante è incentrata
sul «paragone» in un dialogo tra il pittore veneziano Pino e lo sculture toscano Silvio. Infine viene chiamato nella disputa Baccio
Bandinelli che risolve la questione a favore del suo concittadino.
III. CONTINUAZIONE DEGLI STUDI SU VITRUVIO
Vitruvio fu noto agli eruditi del Medioevo: conosciamo gli studi di Eginardo; i manoscritti più antichi pervenutici risalgono all'età
carolina. Ancora nel '300 circolava in rarissime copie manoscritte.
1414 – Mito della riscoperta a Montecassino del Poggio: questi dette sicuramente un contributo alla sua diffusione rinascimentale, ma
è ormai destabilita la sua 'mitica' riscoperta.
1486 – Editio princeps in latino (posteriore addirittura all'Alberti); 1511 Edizione latina di Fra Giocondo, illustrata.
Traduzioni in volgare.
- Marco Fabio Calvo, pregevole opera incaricata da Raffaello, non fu data alle stampe.
- Cesare Cesariano, 1521 (Como), è la prima ad essere stampata; illustrata, e commentata nel paragone con gli edifici esistenti
(contiene importanti informazioni sugli edifici milanesi sfruttate anche da Michiel); esercitò un forte influsso (le traduzioni di
Francesco Lucio da Castel Durante (1524) e del Caporali non sono che sue copie).
- Daniele Barbaro, 1556. Oscurò tutte le precedenti.
Dilettantismo edilizio fu un fenomeno tipico dell'ambiente signorile italiano dal XV al XVI sec.
Mario Contarini Mercante dilettante d'architettura, progetta la sua Ca' d'Oro a Venezia (1421-40).
Alvise Corner (o Luigi Cornaro). Scrittore mecenate dell'edilizia.
Trissino Trattato dell'architettura; L'Italia liberata dai Goti.
Il dilettantismo edilizio sfocia quindi nell'Accademia della Virtù (o Vitruviana) fondata a Roma nel 1542.
IV. PRIMI INFLUSSI DELLA TEORIA ITALIANA ALL’ESTERO
I grandi risultati italiani circa l'ottica, l'anatomia, la proporzione e la prospettiva raggiunsero tardivamente il Nord Europa.
L'arte in Italia aveva da tempo abbracciato la scienza; al Nord era ancora un lavoro artigianale ed empirico. Tanto il pensiero teoretico
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con ambizioni scientifiche quanto quello storico era estraneo ai nordici.
Le antiche conoscenze sulla teoria della visione – la perspectiva communis cioè l'ottica come disciplina puramente matematica – era
noto ai dotti del nord. La perspectiva artificialis, l'applicazione dell'ottica alla rappresentazione figurativa, non esisteva al Nord. I
pittori fiamminghi non conoscevano questi libri pieni di severa dottrina; erano privi di ogni sapere teorico e i loro quadri, in quanto
spazio aereo, erano annotazioni delle impressioni e delle esperienze dell'osservazione ingenua della natura in modo puramente
empirico che, malgrado il perfezionamento nella pratica, non aveva nessuna base teoretica. Ma col nuovo secolo i principi teoretici
del Sud cominciano ad influire.
Jean Pélerin Viateur, De artificiali perspectiva (1505). L'autore era un dotto canonico di Toul, dunque non un artista (ma dedicò
l'opera agli artisti, facendone un breve elenco significativo per la conoscenza del Nord). Il libro è il primo tentativo di far conoscere al
Nord le conquiste d'oltralpe, prima che apparse il libro di Dürer (che ebbe maggior eco). L'opera è enigmatica essendo primo trattato
stampato sulla prospettiva, anche se si comprende l'Italia (il trattato di Piero della Francesca era diffuso solo mansocritto)! Ma, fatto
stranissimo e ad oggi inspiegabile, è anche la prima opera che esponga il procedimento del punto di distanza. I teorici italiani lo
conoscono tanto poco quanto Leonardo o Dürer, il primo a farlo conoscere all'Italia sarà Vignola. Il canonico non poté esserne lo
scopritore; nello stato attuale delle cose non è neppur permessa una supposizione.
Altra innovazione è la spiegazione della rappresentazione delle architetture viste di sbieco e d’angolo, la visione pittorica.
2. DÜRER (1471-1528, Norimberga)
In assoluta solitudine si rivolse ai problemi che da oltre un secolo occupavano il mondo italiano. È sintomatico che qui abbia trovato il
maggior apprezzamento, nonostante qualche meschina ostilità. La sua fatica teoretica è unica; nei paesi all'infuori dell'Italia,
eccettuato il Viator, è senza predecessori e, fino a Mengs senza successori. Il suo pensiero non è meno originale di quello di Leonardo
ma, per il diverso humus, meno elaborato; eppure non nomina mai il suo grande contemporaneo, a cui fu affine, nonostante i tanti
influssi che egli subì da lui.
Scrisse: Unterweisung der Messung/Trattato di geometria (1525); Festungsbaukunst/sulle fortificazioni (1527); la Proportionslehre
(postuma, 1528); il grande trattato teorico la Speis der Malerknaben rimase frammentario e uno schema mostra che constava di 6
parti: proporzioni umane, equine, gesti, prospettiva lineare, teoria delle ombre e dei colori.
È il primo artista nordico in cui l’arte italiana e l’antichità (tramite disegni conobbe i ritrovamenti archeologici es l’Apollo del
Belvedere) siano diventate forme viventi della visione. Fu attratto dalle novità italiane, dirette a una raffigurazione obiettiva della
realtà, così estranee al mondo gotico, con la sua maniera deduttiva e la sua gioia delle cose spirituali. Due viaggi in 'Italia
settentrionale (1495-96; 1505-07) appagarono in parte le sue aspirazioni; ma gli si opponeva la nascita artistica: rivivere questo
mondo interiormente, non attraverso un'imitazione esteriore fu difficile, D. avvertì questo abisso e non riusci interamente a superarlo.
Il suo maestro veneziano Jacopo Barbari opererà su di lui come una rivelazione ma anche come un penoso enigma: il pittore italiano
aveva occultato al giovane ingenuo e curioso la base teorica delle figure proporzionali, considerandole un segreto professionale,
sebbene fossero da tempo di proprietà comune nella sua patria. Così D. non ebbe altro aiuto che se stesso: studiò il Fitrufium (di cui fa
una valida correzione, ed è stupefacente che Leonardo giunse alle stesse correzioni) ed Euclide; quest'ultimo non lo condusse oltre la
perspectiva communis, oltre le basi puramente matematiche, mentre lui ambiva alla perspectiva arficialis, l’applicazione delle dottrine
in campo figurativo (che intanto Viator cercava di introdurre in veste semplificata nel Nord). Scrive ad un amico di Norimberga che
“voleva andare a Bologna per imparare la