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LA RIABILITAZIONE DELLA FILOSOFIA PRATICA
Il ritorno alla filosofia pratica si avvia in Germania agli inizi degli anni Sessanta per il
rinnovato interesse filosofico per le tematiche della morale, del diritto e della politica. La
razionalità tecnico-scientifica ha allontanato la filosofia pratica, intesa come riflessione sugli
ambiti e gli scopi dell'azione, dalla sfera della ragione ed ha diviso il campo tecnico-
scientifico delle teorie da quello individualistico e prescientifico delle scelte e dei valori. I
rappresentanti della Riabilitazione hanno ricercato un modello di razionalità alternativo a
quello tecnico-scientifico, contrapponendo al modello unitario di ragione, su cui si basa il
pensiero moderno, l'idea di una pluralità e contestualità di diversi tipi di razionalità da
esercitarsi in ambiti diversi del sapere. Il nucleo originario di questo dibattito è caratterizzato
dalla rinascita dell'interesse per il pensiero etico-politico di Aristotele. Il riferimento
ovviamente è già contenuto nella definizione stessa di filosofia pratica, che richiama la
differenzazione aristotelica tra il sapere morale della phronesis e il sapere teorico
dell'episteme : « Stando alla distinzione tra il sapere etico della Phronesis e la conoscenza
scientifica dell'Episteme, dove la scienza è rappresentata dall'ideale delle matematiche, che
tutti sono in grado di apprendere, è evidente che le scienze umane devono quindi essere
considerate come «scienze morali». Il loro oggetto è l'uomo e ciò che egli sa di se stesso e
questo sapere ce l'uomo ha di se stesso lo riguarda direttamente, in quanto essere agente:» .
Aristotele si presenta dunque come colui che per primo ha teorizzato la differenza tra il
sapere morale (phronesis) e il sapere teoretico (episteme) . Il sapere che guida l'azione morale
è indeterminato e problematico, come sostiene Gadamer «ciò che è giusto è totalmente
relativo alla situazione etica in cui ci troviamo». Il sapere pratico non conosce in anticipo le
proprie regole. Nel dibattito sulla filosofia pratica possiamo distinguere due momenti
fondamentali: il primo, nel corso degli anni Sessanta in seguito alla pubblicazione di opere
come Vita Activa (1958) di Hannah Arendt, Verità e metodo (1960) di Gadamer o Metafisica
e politica (1969) di Ritter; Il secondo invece, nel corso degli anni Settanta, in concomitanza
con il IX Congresso tedesco di filosofia (1969), da cui è derivata una discussione in merito
all'attualità dei problemi della razionalità praica, nella quale hanno preso la parola più o
meno tutte le principali scuole filosofiche tedesche, come la vecchia Scuola di Francoforte, il
razionalismo critico di Hans ALbert, l'ermeneutica filosofica di Gadamer, il costruttivismo di
Erlagen e la nuova scuola di Francodorte dell'ultimo Habermas. Tra queste due posizioni
sono emerse più autorevoli delle altre, l'ermeneutica filosofica di adamer e l'etica del
discorso di Habermas e Apel. SI tratta di due approcci al sapere pratico totalmente diversi tra
loro in quanto si rifanno l'uno al neoaristotelismo e l'altro al postkantismo.
Neoaristotelismo
In Verità e metodo, la phroness diventa il modello dell'esperienza ermeneutica, che si riferisce
a un sapere che si forma nelle situazioni concrete delle vita e che risulta determinante per le
altre circostanze che si dovranno affrontare. Il sapere ermeneutico è quindi un sapere pratico,
poichè sempre coinvolto nell'esistenza reale dell'interprete, che ha in sè presupposizioni e
punti di vista derivanti dalle sue precedenti esperienze. L'ermeneutica gadameriana dunque
opponendosi alla moderna concezione di una ragione meramente descrittiva, sostiene
l'esigenza di ricollegare ragione e decisione e in questo modo evidenzia la convinzione
secondo cui non vi può mai essere progettualità conoscitiva senza un orizzonte di
precomprensioni da cui prendere l'avvio: « la ragione umana non si presenta mai allo stato
puro, ma è sempre incarnata nelle impurità di un linguaggio particolare» quindi la
compenetrazione tra ragione e linguaggio è un elemento imprescindibile per accedere alla
comprensione.
Anche Hannah Arendt nella Vita activa riabilità con forza la funzione dell'azione e si oppone
a quella tradizione che aveva sempre ritenuto che l'azione fosse un aspetto decadente del
pensiero. La delusione nei confronti del pensiero astratto nasce nella concreta esperienza
storica dell'ascesa del nazismo in Germania, senza che gli intellettuali tedeschi abbiamo
saputo comprendere la gravità di quanto stava accadendo, dando un'eccessiva importanza
all'aspetto contemplativo del pensiero, rispetto a quello pratico-politico. Essa ha cercato di
riportare al centro dell'attenzione quella condizione umana che la filosofia aveva emarginato,
perchè troppo complessa: l'azione intesa nel suo significato di agire politico. Il suo scopo è di
aprire la strada alla comprensione specifica della originarietà dell'agire come modo di essere
proprio del vivere umano, distinto dalle dimensioni necessarie della pura sopravvivenza.
L'agire umano si articola in tre categorie : lavoro, opera e azione, ognuna delle quali
corrisponde ad una delle condizioni di base in cui la vita sulla terra è stata data all'uomo:
« L'attività lavorativa corrisponde allo sviluppo biologico del corpo umano, il cui
accrescimento spontaneo, metabolismo e decadimento finale sono legati alle necessità
prodotte e alimentate nel processo vitale dalla stessa attività lavorativa. La condizione umana
di quest'ultima è la vita stessa. L'operare è l'attività che corrisponde alla dimensione non
naturale dell'esistenza umana, che non è assorbita nel ciclo vitale sempre ricorrente e che, se
si dissolve, non è compensata da esso. Il frutto dell'operare è un ,ondo artificiale, distinto
dall'ambiente naturale. Entro questo mondo è compresa ogni vita individuale. La condizione
umana dell'operare è l'essere nel mondo. L'azione, la sola attività che metta in rapporto
diretto gli uomini senza la mediazione di cose materiali, corrisponde alla condizione umana
della pluralità, al fatto che gli uomini e non l'Uomo, vivono sulla terra e abitano il mondo.
Questa pluralità è specificamente la condizione di ogni vita politica.»
Dunque l'azione è per la Arendt l'attività con la quale gli uomini entrano in rapporto diretto
tra loro senza la mediazione delle cose naturali e materiali, e corrisponde alla condizione
strutturale della pluralità, al fatto che sulla terra ci siano uomini e non l'Uomo. La vita, intesa
come periodo di tempo che intercorre tra la nascita e la morte, si manifesta nell'azione e nel
discorso. Tutto ciò equivale ad una seconda nascita, in quanto, dopo essere entrati nel
semplice mondo della vita, ci inseriamo nel mondo umano:
« Il fatto che l'uomo sia capace d'azione significa che da lui ci si può attendere l'inatteso. E
ciò è possibile solo perchè ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo
qualcosa di nuovo nella sua unicità.»
L'azione nel suo manifestarsi ha bisogno della pluralità, dell'essere con gli altri e di stabilire
relazioni in particolare attraverso il linguaggio. Sono dunque le azioni politiche, prive di
interesse personale ed egoistico, ma dettate da un impulso altruistico a conferire alla vita
umama quel tratto di eterno.
Il periodo sorico in cui l'agire ha avuto modo di manifestarsi è quello della polis greca, come
esempio insuperato di conciliazione tra pensiero ed azione e rappresenta una delle esperienze
che la Arendt giudica « attimi felici» . Nella nostra epoca si sono rovesciate le competenze e
le caratteristiche del privato e del pubblico; Infatti diversamente dalla polis greca, dove il
lavoro era considerato una funzione servile, ora la dimensione lavorativa si estende
dall'ambito esclusivamente privato alla totalità della vita. Si è raggiunta così una supremazia
dell'animal laborans a cui si lega un'incontrollata espansione della dimensione consumistica
a cui a sua volta corrisponde la decadenza della sfera pubblica.
È quindi perfettamente concepibile che l'età moderna, cominciata con un promettente
rigoglio di attività umana, termini nella più sterile passività che la storia abbia mai
conosciuto. Se il totalitarismo giustifica la sua esistenza in base alla formula del «tutto è
possibile» , un mondo libero deve fondarsi sulla capacità dell'uomo di agire razionalmente,
partendo dall'ipotesi dell'esistenza di un essere umano capace di creare e costruire uno spazio
per l'azione politica.
Ultimo difensore dell'aristotelismo pratico è Bubner, secondo il quale la phronesis aristotelica
rappresenta il modello di una razionalità che si colloca tra l'astrattezza delle regole universali
e la contingenza dell'accadere storico : «Phronesis è la ragione che si convalida nel pratico.
Nell'agire la phronesis è già da sempre all'opera e il compito della filosofia pratica è di
rintracciare e diffondere nella vita vissuta questa base di razionalità».
Dunque si ricava l'idea di una razionalità della prassi, i cui criteri scaturiscono dalla prassi
stessa. La prassi dunque non dipende da criteri esterni di razionalità, ma da un ordine che le
è intrinseco. In altri termini le norme etiche non ci derivano da qualche mondo ideale, ma
scaturiscono dall'esperienza vissuta : «Ora è verosimile che ogni societò esistente, prima di
qualsiasi intervento della filosofia, abbia già elaborato norme e sia vissuta con norme.
Storicamente cioè la ragione arriva sempre troppo tardi, poichè c'è sempre una
rappresentazione prefilosofica del bene. Di conseguenza la ragione può solo conoscere e
penetrare criticamente modelli di comportamento e orientamenti ideologici generale formatisi
storicamente e socialmente condizionati. Di conseguenze norme valide sono norme tali che la
ragione possa riprendere dal patrimonio preesistente e autenticate.» Infatti l'insieme delle
regole che costituisce l'eticità concreta rappresenta un fatto sociale e storico anteriore ad ogni
riflessione filosofica. Quindi non dobbiamo far derivare utte le norme dall'etica filosofica, ma
partendo dalla prassi ci si deve ricollegare all'ethos che la precede.
Il postkantismo
Il risultato più importante della rinascita del cr