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• DUCATI DI PARMA E MODENA
: si estendeva sulla Toscana.
• GRAN DUCATO DI TOSCANA
: si estendeva sulla parte centrale della penisola, comprendeva Lazio, Umbria, Marche e
• STATO PONTIFICIO
una parte dell’Emilia fino a Bologna.
Dall’arbitrio del principe e dei giuristi al ‘principe illuminato’.
Nella storia dei vari ordinamenti si possono trovare varie linee costanti. Esse segnano la via di problematiche
giuridiche centrali, come quelle della titolarità e dell’esercizio del potere legislativo.
Vi è ancora la pratica secondo la quale ogni principe deve legiferare entro il proprio ordinamento. Vige al contempo il
vecchio ius commune. 49
Nel ‘700 affiora e si consolida una fiducia nuova nella capacità del principe di dare ordine alla società affidata al suo
illuminato potere. Si afferma l’idea che il principe deve legiferare secondo ragione, osservate le condizioni della società
affidata al suo governo.
Il sovrano è ed appare “illuminato”, perché è e si presenta come colui che, solo e unico, può dare ordine razionale ai
rapporti sociali e norma certa all’azione dei singoli. La visione complessiva segue una prospettiva che, assegnando al
sovrano un tale compito, implica un ridimensionamento del ruolo dei grandi giuristi attivi ancora soprattutto
nell’ambito degli apparati giudiziari, e implica correlativamente un ‘esaltazione dell’accentramento autoritario del
sovrano.
Ludovico Antonio Muratori, nel 1742 pubblica il libro “Dei difetti della Giurisprudenza” rivolgendosi al principe.
Muratori invoca come necessaria una decisione del principe che valga a risolvere i concreti problemi che appartengono
solo alla società degli uomini e per niente al mondo dell’aldilà. Auspica che il principe tagli i nodi problematici più
imbrogliati, divenuti inestricabili per la rissosa attitudine alla contesa dei giuristi. Così, alla fine dell’opera, azzarda
un elenco delle più difficili questioni e delle più dubitabili soluzioni, e chiede al principe una legge certa: di fronte alla
quale i giuristi, per obbedienza che debbono agli ordini del sovrano, costretti a tacere.
Nella prospettiva di Muratori l’aspirazione verso una legge certa, una per ciascuno dei problemi elencati, non significa
ancora elaborazione di un ‘codice’, perché all’insieme delle leggi richieste mancheranno i caratteri della completezza e
omogeneità e la capacità di auto completarsi: mancheranno, cioè, i caratteri che saranno tipici dei codici ottocenteschi.
Per tutto il ‘700 manca sempre uno dei trattati fisionomici di ogni codice moderno: l’unità di un soggetto giuridico cui
il codice è destinato. Inoltre è ancora la figura del sovrano a campeggiare al centro che assicura l’equilibrio
dell’ordinamento. E’ il sovrano che deve intervenire di volta in volta con specifici provvedimenti legislativi. L’ordine è
sì ‘razionale’ e si ‘naturale’, ma nella misura in cui non si metta in discussione né articolazione della società, né
l’autorità del principi che regge e governa lo stato.
Le prime codificazioni sono espressione dell’assolutismo, si possono ricordare alcune delle più significative iniziative
legislative:
Nel Regno di Sardegna: Vittorio Amedeo 2° promulga ‘Costituzioni’ nel 1723 e nel 1729; Carlo Emanuele
3° nel 1770 promulga ‘Leggi e Costituzioni’.
Nella Repubblica Veneta , il Senato promulga nel 1780 un ‘Codice feudale’, nel 1786 promulga un altro
corpo di norme: il ‘Codice per la veneta marina mercantile’.
Per la Toscana vanno almeno ricordati 2 tentativi:
il tentativo per il codice civile, è chiuso in una vecchia prospettiva e fallisce;
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il secondo tentativo, nel 1786 dà esito favorevole: è un codice penale presentato con il titolo “Riforma
della legislazione criminale toscana“ ed è comunemente noto come ‘codice leopoldino’, perché voluto e
promulgato da Pietro Leopoldo.
In Austria dopo il fallimento del “Codex Theresianus”, pronto nel 1766 e mai entrato in vigore; Giuseppe 2°
promulga:
nel 1782 un “Regolamento giudiziario civile“
nel 1787 un “codice penale”
nel 1788 un “codice di procedura penale”
In Prussia i tentativi compiuti nel ‘700 sono sostenuti da giuristi di colta formazione illuministica. L’esito
vincente si ha nel 1794, quando Federico Guglielmo 2° promulga un “Codice generale per gli Stati Prussiani”,
comunemente noto come ‘Landrecht’ e resterà in vigore fino al 1900. Nel Landrecht la società si divide in tre
ceti: nobiltà
borghesia
contadini
Illuministi in Italia.
Vi sono in Italia 2 città entro le quali circolano le idee illuministe. Le città sono Milano e Napoli. Nel loro interno
maturano le esperienze di due intellettuali che possono essere considerati fra i principali protagonisti dell’illuminismo
giuridici italiano.
I due personaggi sono Cesare Beccaria a Milano e Gaetano Filangieri a Napoli.
Il primo è il celebrato autore de libro “dei delitti e delle pene” . Accoglie i punti centrali della visione di Jean
Jacques Rousseau. Accoglie soprattutto l’idea che la società civile debba essere formata da individui, e per connessione
che la società debba liberarsi da tutte le comunità intermedie che en intralciano e ne corrompono l’equilibrio. Vi è il
progetto di società da costruire in modo geometrico e semplice.
In questo quadro anche le ‘grandi famiglie’ di stampo medievale debbono dissolversi. Al loro posto debbono restare le
famiglie nucleari. Ma dal progetto di una società privata di ogni comunità intermedia e costituita solo da individui
non si passa a una legislazione capace di realizzare integralmente l’utopico progetto. Si affermano 2 fondamentali
principi: 51
l’unificazione del soggetto giuridico
• il principio per cui la legge è uguale per tutti, senza distinzioni di ceto, di sesso, di razza, senza distinzione fra
• chi molto ha e chi nulla possiede, fra di sta in un’associazione e chi sta fuori, fra chi comanda e chi non ha
potere.
Gaetano Filangieri, nell’opera “la scienza della legislazione ”, pone a fondamento della sua visione della società
l’idea che agli individui debbano essere riconosciuti ruoli confacenti con l’ordine e il benessere della società. Per
Filangieri, come per Beccaria, la famiglia deve essere considerata soprattutto come un a comunità di affetti fra coloro
che la compongono. Ma a differenza di Beccaria, Filangieri ha ferma e decisa certezza che la società debba essere
formata da famiglie, e non da individui.
Contro il “ius commune”: dalla metastoria alla storia.
Gli illuministi fanno appello alla ragione umana. Nel loro pensiero solo ciò che è razionale ha diritto di esistere. La
ragione appartiene alla natura, e perciò l’uomo deve governarsi e governare secondo la ragione naturale. Ciò comporta
che nel ‘700 possano essere ancora vive e vitali le risalenti correnti del giusnaturalismo seicentesco. Vi sono diritti
innati, che l’uomo deve difendere e conoscere nelle tempestose vicende della storia e la legislazione deve rispettare e
tradurre in diritti muniti di azione processuale.
Da un lato si pensa e si crede i ‘diritti innati’, e perciò immodificabili, e dall’altro si concentra l’attenzione sulla storia
dell’uomo nella società, storia variabile per la pluralità e l’accidentalità degli avvenimenti.
Il 700 sta vivendo, con i suoi trionfi, anche le sue crisi.
Comincia a spezzarsi il rapporto tra la fisica e metafisica, fra il mondo di quanti vivono la loro breve stagione terrena e
il mondo dell’aldilà reso inconoscibile all’uomo a causa del peccato originale. I giuristi si allontanano da quei libri
legales che secondo la comune convinzione durata per circa 7 secoli si ritenevano i migliori depositari di verità assolute
inconoscibili pienamente perché poste al di fuori della storia umana. I giuristi, diventati philosophes, si volgono a
costruire, con visioni e con leggi nuove, la società del loro futuro: che sarebbe quella del nostro presente.
Dall’aristocrazia alla borghesia.
L’interpretazione delle esigenze ‘razionali’ e dei bisogni ‘naturali’ non è affatto uniforme, e gli esiti si collocano spesso
su rive opposte.
Vi è la riva di chi ritiene ‘razionale’ e ‘naturale’ e vuole consolidare la condizione di una società divisa in ‘ordini’, o
‘stati’, o ‘ceti’, dando a ciascuno di essi una stabilità e una garanzia di esistenza e di tutela a fronte dell’obbedienza
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a una sola e unica legge (‘codice’), voluta ed imposta da un’ autorità sovrana riconosciuta come incontestabile: tale è il
caso del Landrecht prussiano del 1794.
Vi è la riva opposta, di chi vuole rinnovare tutto per costruire razionalmente una società nuova, basata sul principio
dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. La società non può più tollerare una divisione per ceti.
Gli equilibri partecipano rovinosamente quanto i tumulti parigini del 14 luglio 1789 segnano in Francia e per l’Europa
l’inizio della grande Rivoluzione. La successiva decapitazione di un re è la decapitazione di un’immagine del potere, e
trascina con sé per esclusione imposta o per autoesclusione voluta l’intero ‘ordine’, o ‘ceto’, della nobiltà. Nell’ambito
dei fenomeni legislativi alla pluralità dei soggetti giuridici rispettata dai codici settecenteschi si sostituisce l’unità del
soggetto giuridico: ora si può, si deve legiferare non più per il ‘nobile’ e per il ‘borghese’ e per il ‘villano’, separatamente,
ma soltanto e unitariamente per il cittadino. Ora legge è uguale a tutti.
Nel 1804 Napoleone Bonaparte promulga un codice destinato a straordinarie fortune: è il “Code Civil“, che diventerà il
modello di tanti codici successivi.
Gli sconvolgimenti delle Rivoluzione fanno emergere la classe borghese.
La borghesia occupa gli spazi dell’esercito, abbandonati gradualmente dalla nobiltà, per costrizione o per scelta. La
borghesia popola gli uffici degli apparati burocraticoamministrativi e giudiziari, cresciuti negli ultimi secoli per
dimensioni, funzioni, professionalità. Appartengono alla borghesia gli uom