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In questo clima di sconvolgimenti avvenimenti c'è l'opportunità di spostare il centro dell'impero d'Occidente da
Roma a Ravenna, città più difendibile e posta sulla costa orientale della penisola: questo permette un più rapido
collegamento con Bisanzio e con la corte imperiale.
L'Italia tra il V e il VI secolo – La crisi mortale del potere imperiale – Il
“regnum” di Odoacre e di Teodorico.
Nel 476 a Ravenna il magister militum Odoacre che comanda l'esercito romano, depone l'imperatore romano
d'occidente, Romolo Augustolo, e invia all'imperatore d'Oriente Zenone le insegne imperiali.
Odoacre compie un atto di prudenza: chiede di essere considerato magistrato supremo per l'Italia, come delegato
dell'imperatore d'Oriente. L'imperatore rifiuta a Odoacre per oltre dieci anni, il riconoscimento della qualità di
magistrato; la richiesta di Odoacre impedisce di pensare che si sta chiudendo come invece sta accadendo ogni via a
una legittima successione imperiale alla continuazione dell'Impero d'Occidente.
Odoacre modella il suo anomalo regnum, riunendo l'esercito dei barbari, in armi in una grande assemblea da cui si
fa proclamare re del suo popolo, assumendo dignità e funzione che sono piene e senza limiti nei confronti dei
barbari. Questo assicura il successo di Odoacre.
Gli uomini in armi e le loro famiglie si isolano e si distinguono dai romani, restando accampati al margine o al di
fuori delle grandi città, mentre solo i dignitari più vicini a Odoacre si accostano alle nuove esperienze del potere
cittadino e degli affari civili.
A sostenere il successo del tentativo di Odoacre è soprattutto il regno del suo nemico e successore, Teodorico il
Grande, che esalta e sfrutta le possibilità politiche implicite nell'azione di governo di Odoacre: segue le orme
dell'avversario e trova l'appoggio dei ceti cittadini del vecchio impero disfatto.
Egli da al popolo e ai ceti produttivi e mercantili un periodo di pace interna e la speranza di una giustizia
amministrata in tempi brevi e in modo imparziale. Teodorico ottiene il sostegno del Senato e delle famiglie
senatorie, l'appoggio dei grandi patriziati cittadini e di quello ravennate. Inoltre egli lascia intatte le magistrature
e gli uffici imperiali e si procura il consenso dei ceti colti dell'impero: ricompensa gli intellettuali con liberalità,
perchè ne riconosce il ruolo determinante per la teorizzazione del suo potere e per la conservazione della memoria
del suo regno.
E' da ricordare la figura di Cassiodoro, uomo dotato di cultura raffinata.
Istituzioni e leggi del regno gotico.
A Roma il Senato continua a svolgere la propria attività mentre a Ravenna si concentrano i supremi poteri dello
stato. C'è un'efficiente cancelleria retta dal questore del Sacro palazzo che cura i collegamenti tra le magistrature
del regno e tiene la corrispondenza, redige gli editti del re e ne conserva e rende pubblici i testi; ha inoltre un ufficio
esecutivo che registra e conserva i documenti riguardanti gli affari del regno.
C'è inoltre un conte delle sacre elargizioni, e un conte delle private elargizioni che hanno compiti rispettivamente
di: nel campo delle finanza dello stato
* nel campo del demanio e del patrimonio privato dello stato
*
A livello provinciale ci sono le antiche magistrature romane:
prefetto al pretorio a Ravenna per la regione orientale, esclusa la Sicilia
• prefetto al pretorio ad Arles per le regioni occidentali
•
Alla morte di Teodorico II il regno entra in crisi; le incertezze della politica di Totila, alienano il favore dei
patriziati e degli stessi ambienti ecclesiastici; egli cerca inutilmente il sostegno dei rustici, dei ceti residenti nella
campagna, liberandoli dalla schiavitù.
Per gli anni compresi tra la deposizione di Romolo Augustolo nel 476 e la fine della guerra grecogotica nel 553, si
dispone di pochi elementi certi, che sono testimoniati dalle Varie di Cassiodoro, che riporta numerosi editti su
materie isolate. Il più famoso degli editti è noto come “Edictum Theodorici regis Italiae ” ed'è concorde
l'opinione che questo non sia di Teodorico, ma che l'autore è incerto.
L'editto ha fonti accertate tra cui:
codex teodosiano
* sententiae di Paolo
* epitome Gai
*
Esso è indirizzato a romani e barbari, ed'è di formazione italiana. Inoltre è composto da un giurista che ha la
cultura tipica del V secolo, e poiché non si è riprodotto nelle Variae di Cassiodoro e non è ricordato da Giustiniano,
deve essere attribuito ad un privato o a un magistrato: comunque non è un re che lo ha concepito.
L'autore ha una decisa linea politica intesa a difendere le condizioni dei potenti ceti agrari e delle magistrature
integrate con essi: parla chiaro il divieto al fisco di colpire i contribuenti con imposizioni tributarie arbitrarie
diverse da quelle previste dalle leggi e il divieto di privilegi.
Il diritto dei nuovi regni occidentali: dall'attività dei privati alle
codificazioni regie.
Nel quadro della scomparsa dell'Impero anche fuori dalla penisola italiana si sperimentano processi normativi che
rivelano un continuo intrecciarsi tra l'opera di privati che compilano antologie, dette epitomi, e l'opera di sovrani
che rivestono con l'autorità della corona alcuni di queste antologie.
Negli ultimi secoli dell'Impero romano d'Occidente si era persa l'originaria distinzione, propria del mondo romano,
tra dottrina (iura) e legislazione (leges), per gli sviluppi della “legge delle citazioni”.
Dunque si riduce la ricca eredità della giurisprudenza romana dell'età classica a cinque auctoritates: Papiniano,
Paolo, Ulpiano, Gaio e Modestino.
Nel 438 fu fatto il tentativo di Teodosio e Valentiniano di ridurre ad unità le situazioni locali, e il tentativo
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aveva preso corpo nella compilazione legislativa nota come “codice di Teodosio”.
Però del testo originario solo stralci rimangono, e il testo oggi è principalmente conoscibile solo ricomponendo
quanto ne è sopravvissuto nelle varie legislazioni volute da re barbari come Alarico II, re dei Visigoti.
Le scuole di diritto nella parte occidentale sono in piena crisi, attente a tramandare regole acquisite da tempo,
senza intenderne appieno i vari significati; queste scuole sono impegnate a compiere un lavoro di riduzione e a
trasformare in modo rigido le opinioni degli antichi giuristi in norme giuridiche, per cui si chiede o si attende che
l'autorità di un principe dia garanzia definitiva di validità.
Le antologie del diritto romano, che cominciano a diffondersi nelle regioni dell'impero d'Occidente, presentano una
natura ambigua: sono opere anonime di iurisperiti scarsamente innovative; sono adoperate come strumenti di
governo sociale, come norma della convivenza umana e alcune sono incorporate in alcune delle legislazioni ufficiali
che i re barbari danno ai loro regna. L'esempio per eccellenza è rappresentato dalla Lex Romana Visigothorum,
promulgata nel 506 da Alarico II re dei Visigoti.
La cultura giuridica dell'Occidente: scuola, opere e motivi.
Nell'Europa Occidentale nel V secolo sono attivi pochi centri di formazione scolastica e di addestramento
professionale (medicina, diritto). Ci sono monasteri con annesse scuole di teologia e di filosofia; pochi centri sono
retti da laici, più frequentemente dipendono da ecclesiastici e si identificano con le scuole vescovili o monastiche.
In queste scuole si tramandano e si studiano i testi della letteratura, della filosofia e del diritto della Roma
classica.
Scuola laiche esistono a Roma e forse a Ravenna. Per Roma poche prove risalgono al VI secolo:
in un editto del 533 Atalarico ricorda e ordina al Senato Romano di pagare gli stipendi reclamati dai
* professori romani che sono tre: di retorica, di grammatica e di diritto;
un'altra testimonianza e nella constitutio di Giustiniano in cui l'imperatore attribuisce alle sole città di
* Roma, Costantinopoli e Berito il monopolio e il privilegio dell'insegnamento specializzato del diritto;
Le opere superstiti attestano solo che esistono giuristi dotati di qualche capacità di rielaborazione teorica, nel
contesto di un ceto prevalentemente impegnato nelle attività pratiche.
Dalla Spagna si leva la voce più autorevole di Sant'Isidoro, autore di una summa che raccoglie le conoscenza del
tempo: questa opera si chiama Etymologiae; essa circola per tutta Europa e diventa il testo fondamentale di ogni
apprendimento basilare. In essa il diritto si confonde e si riassorbe nelle arti del trivio:
grammatica come arte dell'espressione
→
* dialettica come arte del ragionamento
→
* retorica come arte dell'esposizione
→
*
Isidoro assegna alla scientia dei giuristi una collocazione nel campo della retorica: intende e interpreta il diritto
come norma etica, misura di fede e ordine terreno della giustizia divina. Dunque la giurisprudenza è legata alla
retorica; la dialettica invece serve poco al giurista perchè essa addestra alle discussioni scolastiche e non ai casi
della vita: la dialettica infatti rende più acuta la discussione e più penetrante la comprensione.
La cultura giuridica d'Oriente e la compilazione legislativa di Giustiniano.
Mentre in Occidente la tradizione giuridica di Roma si impoverisce, scuole importanti sono attive nel V secolo ad
Alessandria d'Egitto, ad Atene, ad Antiochia e a Cesarea, presso cui esistono importanti biblioteche.
Le due più celebri scuole sono quelle di Costantinopoli (Bisanzio) e Berito (Beirut):
quella di Costantinopoli è sostenuta dalla vicinanza degli organi centrali dell'impero e dalla presenza dello stesso
imperatore nella città, mentre quella di Berito appare come la città tipicamente specializzata per gli studi del
diritto.
Nei primi decenni del VI secolo l'attività di tutte le scuole è fiorente.
Giustiniano, imperatore dal 527 nel 529 comincia a realizzare un grandioso programma: vuole restaurare
l'autorità dell'impero sulle terre perdute dell'occidente e arricchire il prestigio della sua corona, recuperando la
penisola italiana e il ricchissimo patrimonio giuridico dell'età romana.
Affidandosi a uomini esperti ed efficienti e soprattutto a Triboniano, Giustiniano raggiunge l'obiettivo di dare
all'impero una legislazione imponente, restauratrice del passato.
Il lavoro di Giustiniano non è una novità perchè tentativi analoghi furono compiuti in Occidente, sulla base del
Codice di Teodosio. Giustiniano sostituisce il Codice teodosiano con un nuovo Codice: provvede già nel 529 con la
prima redazione del Codex, in cui le leges dei predecessori ve