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IL CICLO DEL CAPITALE SOCIALE
Il circuito della produzione e riproduzione della ricchezza si incontra con il circuito della produzione e riproduzione
della vita in cui punti ed attraverso due atti di compra-vendita:
• il primo incontro, quello analizzato e studiato nei dettagli ne Il Capitale avviene all’inizio del processo di
produzione della ricchezza. Il lavoratore vende la sua forza e tempo di lavoro che, impiegati dentro il processo
produttivo, creeranno ricchezza che gli permetterà di comprare di che vivere;
• ma la produzione di ricchezza diventa ricchezza effettiva, solo se la merce prodotta grazie al lavoro viene
venduta. Nel nuovo atto di scambio che si pone alla fine, a compimento del ciclo, le parti si invertono: il
capitalista che a monte era un compratore, a valle diventa un venditore.
I due circuiti hanno due andamenti contrari:
1. il primo è riassumibile nella formula D-M-D’, perché consiste nell’impiego di una somma di denaro per
comperare quei fattori della produzione che permetteranno di produrre la merce che verrà venduta in cambio di
più denaro di quello speso in partenza.
2. L’altro è riassumibile nella formula M-D-M dove il lavoratore vende come merce il proprio lavoro per poter
avere il denaro che gli serve per comperare la merce che gli permetterà di riprodursi come lavoratore;
Vista la nuova conformazione della produzione e riproduzione della ricchezza, tutti sono diventati consumatori.
Questa prospettiva che fa confluire in un unico grande circuito omnicomprensivo la produzione ed il consumo
costituisce ciò che Marx denomina il “ciclo del capitale sociale”. Il ciclo dei capitali individuali visti nel loro complesso
come capitale sociale, cioè il ciclo considerato nella sua totalità, comprende dunque non soltanto la circolazione del
capitale, ma anche la circolazione generale delle merci.
Questa ultima non può consistere inizialmente che di due sole parti costitutive:
1. Il ciclo vero e proprio del capitale e
2. Il ciclo delle merci che entrano nel consumo individuale, cioè delle merci in cui l’operaio spende il suo salario
ed il capitalista il suo plusvalore.
Nel ciclo del capitale individuale ci sono due momenti di scambio, uno all’inizio con la compra-vendita del lavoro
salariato ed uno alla fine con la compra-vendita dei prodotti. È noto che Marx riteneva che ci fosse una disparità
contrattuale all’inizio del ciclo a favore del capitalista ed a sfavore del lavoratore. Ma si può ipotizzare che alla fine del
ciclo la situazione si rovesci.
Sviluppando i passaggi del ciclo del capitale sociale troviamo che la produzione della ricchezza capitalistica si realizza
solo grazie al ciclo della riproduzione della vita.
Partendo dalle due esigenze diverse, quella del “risparmio” sui beni di consumo, espressione del capitale individuale e
quella tesa ad ampliare i consumi tipica del capitale sociale, si riesce a spiegare la coesistenza di due diverse morali,
quella parsimoniosa e quella edonistica. Entrambe funzionali alla produzione e lo spirito romantico dei consumi.
IL CAPITALISTA FRUGALE ED I CONSUMI DI LUSSO
Weber sostiene che il capitalismo è caratterizzato, oltre che da elementi materiali quali la merce, il lavoro salariato ed
un capitale accumulato, da una particolare cultura. Solo grazie a questa cultura sarebbe stata possibile la combinazione e
la messa in opera dei tre elementi materiali citati, e quindi la nascita stessa del capitalismo. Il protestantesimo avrebbe
rappresentato lo spirito del capitalismo grazie al fatto che incorporava in sé la tradizione monacale ascetica, ossia la
capacità di controllo su di sé e sul proprio ambiente. La capacità di organizzare razionalmente le proprie azioni ed il
proprio ambiente per raggiungere l’obiettivo prefissato. Per Weber, c’è quindi, una convergenza tra l’autocontrollo e la
produzione capitalistica di merci, solo che restringe e post-data l’auto-controllo che indubbiamente rappresenta lo stile
della crescente autoreferenzialità dell’umanità del circuito contrapposta alla più spontanea umanità del flusso.
La variante puritana, dell’autocontrollo, invece, ha anche una componente di repressione del piacere.
La traduzione del protestantesimo in spirito del capitalismo che a livello valoriale è il trionfo della razionalità
strumentale, in pratica riguarda da un lato l’organizzazione della produzione e dall’altro il reinvestimento produttivo dei
profitti.
Weber sintetizza l’atteggiamento morale ostile verso i consumi improduttivi ed uno spiccato consenso verso una vita
parsimoniosa che aveva accompagnato una parte del percorso dell’industrializzazione e della differenziazione del
borghese versus il nobile. Su questa falsariga erano sorte delle teorizzazioni che presentavano l’investimento produttivo
nell’azienda come un sacrificio, una rinuncia al godimento dei piaceri del consumo improduttivo di lusso.
La negazione del piacere sia per l’operaio che per il capitalista anche se ha motivazioni diverse è il risultato di una
cultura utilitarista, razionalista ed ascetica.
Non c’è molta differenza tra la teorizzazione di Weber, che si muove dall’osservatorio tedesco, e le osservazioni di
Marx, relative all’Inghilterra, per quanto riguarda l’atteggiamento culturale di riprovazione dei consumi. C0è però
differenza nei comportamenti di consumo rilevati.
Weber fa riferimento ad un atteggiamento strutturale di parsimonia, tipico del capitalismo, Marx invece rileva una
trasformazione nelle abitudini di consumo degli imprenditori che evolvono nella direzione opposta.
Perché l’imprenditore si conceda consumi di lusso bisogna arrivare alla fine del Settecento.
Quando, nell’Ottocento, i consumi di lusso e l’agiatezza del capitalista produttivo diventano uno stile di vita, vengono
inizialmente presentati come un dovere, una sorta di spesa di rappresentanza resa necessaria dalla posizione occupata,
per mantenere visibilità, acquistare credito, dare messaggi di solvibilità e solidarietà.
La questione dei consumi lussuosi capitalistici è il punto di incrocio di percorsi che appartengono a dimensioni diverse
dalla socialità.
In primo luogo va evidenziato che l’evoluzione dalla parsimonia ai consumi lussuosi entro la classe imprenditoriale
rilevata da Marx può ben essere messa in parallelo con un andamento simile che ha caratterizzato il capitalismo ante
litteram della società mercantile italiana rinascimentale e di quella olandese seicentesca. Dopo un’iniziale frugalità dei
consumi, nel periodo di decollo della classe mercantile, segue una grande passione per i consumi lussuosi.
La critica volta a coloro che cercano di apparire quello che non sono attraverso consumi inadeguati alla propria
posizione di classe, rivela comportamenti sociali diffusi. Ma nessuna di queste due posizioni va confusa con la critica ai
consumi lussuosi che pure c’è in entrambi i periodi, ma ha due obiettivi diversi:
• Nel primo caso si tratta del tentativo di frenare i consumi individualistici e la dissoluzione delle comunità che i
mercanti stessi rappresentano;
• A ciò concorrono sia le leggi suntuarie, sia la concomitante stagione delle prediche contro i beni terreni quale
espressione demonica, in particolare alcuni dei beni esotici che provengono dall’oltre oceano, come la
cioccolata, e che entrano a far parte delle abitudini dell’aristocrazia.
L’atteggiamento contro i consumi di lusso del borghese-capitalista è diversa dalla polemica contro i consumi di lusso
del borghese-mercante.
• nel primo caso si tratta di impedire un processo dissolutivo complessivo di cui i borghesi-mercanti sono i
portatori;
• nel secondo caso, innanzitutto, si nega l’evidenza e poi si giustifica il lusso in termini di credibilità sociale a
sostegno degli affari. Inoltre viene criticata non la dissoluzione dei costumi pre-esistenti, ma la loro adozione
da parte dei capitalisti, in quanto tentativo di inserimento nella, ed imitazione della, aristocrazia del tempo ed
imitazione del suo stile di vita, salvo poi sostenere che grazie a tale inserimento gli affari prosperano.
Il nuovo modo di fare ricchezza rompe con il passato, mentre i consumi lussuosi ne sono la continuazione nel doppio
senso:
1. di un modo di percepire la ricchezza
2. di un inserimento sociale che avviene anche attraverso i consumi, posta la loro sostanza di medium della
comunicazione sociale. La contraddizione è insuperabile, perché i beni di lusso vengono agiti come
investimento relazionale intersoggettivo entro l’élite, posto il processo dissolutivo della comunità.
Se guardiamo al capitalista consumatore dal punto di vista della chiusura del circuito del capitale emerge che la doppia
veste di capitalista e di consumatore comporta che quello che è l’attore dell’azione nella produzione, l’homo faber,
diventa un semplice mezzo nel consumo.
L’homo faber capitalistico è il risultato di un lungo processo che non è solo di svincolamento dalla natura, ma di
dominio su di sé ed insieme sull’ambiente.
L’homo faber rappresenta solo la parte attiva del lavoro, separata dalla parte passiva, di pena e fatica, relegata all’homo
laborans (lavoratore dipendente).
Il capitalista, proprio perché riveste questa doppia veste, sia attiva che passiva, sembra essere non il protagonista, ma
l’ingranaggio di un sistema che ha messo in moto, ma di cui come il famoso apprendista stregone, è rimasto vittima.
IL LAVORATORE-DIPENDENTE E IL LAVORATORE-CONSUMATORE
La ricchezza capitalistica si realizza in due modi, attraverso l’uso della forza-lavoro e attraverso la vendita del prodotto
del lavoro. I due percorsi non sono alternativi, ma tappe egualmente indispensabili di un processo.
Il lavoratore-dipendente, quello che lavora per il capitalista, è il possessore della forza-lavoro dalla quale il capitalista
trae la valorizzazione del suo capitale. Però il lavoratore è anche un consumatore di merci.
Se ad esso si guarda come lavoratore dipendente, allora i suoi consumi personali vengono distinti in:
• consumi produttivi: quelli che servono alla sopravvivenza ed alla riproduzione della persona in quanto
lavoratore e quindi si tradurranno in futura produttività di valore nel circuito della produzione capitalistica. Si
tratta di consumi “utili” quale che sia la loro consistenza materiale o immateriale, la cui variazione è
direttamente proporzionale all’utilità.
• consumi improduttivi: tutti gli altri consumi. Il che mette assieme:
o tutto ciò che la storia e la civiltà ha fatto entrare nei bisogni e nelle abitudini dei consumi della classe
dei liberi lavoratori qualora non risponda alle esigenze della produz