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CAP. 2 LA RICERCA TRA GLOBALE E LOCALE
Le metodologie utilizzate nella ricerca interculturale: QUALITATIVA, QUANTITATIVA, MISTA,
SPERIMENTALE.
RICERCA QUALITATIVA: molto sviluppata nelle ricerche etnografiche. L’ETNOGRAFIA come pratica di lavoro
sul campo e filosofia della ricerca rappresenta un punto di contatto importante tra discipline diverse. È la
descrizione del modo di vita di un aggregato umano che x essere descritto deve essere osservato. Nasce
dall’interesse x l’alterità e dalla ricerca dei termini e del linguaggio + appropriato x descrivere l’Altro.
RICERCA QUANTITATIVA classicamente x studi demografici e statistici sulle migrazioni, importanza sempre +
rilevante nel contesto della globalizzazione poiché consente di misurare flussi transnazionali cruciali
(commerciali, finanziari). I dati numerici arricchiscono di significato osservazioni sul campo. Nascono così le
METODOLOGIE MISTE o INTEGRATE che, x rappresentare i fenomeni indagati nel modo + completo e
approfondito si avvalgono sia dell’approccio qualitativo sia quantitativo.
METODI QUALITATIVI
Etnografia e alterità
Lo sguardo occidentale sull’Altro si è trasformato dagli anni ’70: si sono sviluppati movimenti culturali che
hanno accusato le scritture etnografiche di etnocentrismo e imperialismo culturale, iniziando a sperimentare
nuovi modi x rappresentare le culture diverse. Le tecniche + rappresentative del post-modernismo anni ‘80/90
sono l’AUTOETHNOGRAPHY e la PERFORMANCE ETHNOGRAPHY. Il contributo forse + rilevante di quel
periodo di ricerca è la TECNICA AUTORIFLESSIVA che moltiplica i punti di vista presenti nel testo etnografico.
Le etnografie della globalizzazione rifiutano l’entusiasmo etnocentrico x l’aumento di connessioni e mobilità e,
spostando il focus dalla rappresentazione dell’Altro all’orizzonte di ricerca, studiano le criticità e gli effetti
perversi della globalizzazione sulle culture emarginate.
Descrivere lo straniero
Simmel sulla condizione dello straniero: l’identico rassicura, il diverso genera terrore. La comunità vive lo
straniero come minaccia, intorno ad esso la comunità costruisce immagini, ideologie, narrazioni, con
definizioni che lo etichettano come pericoloso, non gli riconosce il ruolo positivo che di fatto ha: rende coeso il
corpo sociale che si compatta contro la diversità, imprime movimento e mutamento sociale, ricopre suoli
rifiutati dalla comunità. La paura dell’Altro ha radici profonde nella psiche collettiva, ma nelle società
complesse si lega a un nuovo senso di smarrimento che deriva dalla liquidità sia della valutazione realistica
dei pericoli sia della disponibilità dei rimedi. Questo stato di costante incertezza crea dispositivi inconsapevoli
di rabbia e aggressività che una volta emersi vengono razionalizzati tramite retoriche ideologiche e socio-
politiche. I nazionalismi, i secessionismi, pulizie etniche si appellano sempre a fantasiose mitologie
archetipiche. La TEORIA DELL’ETICHETTAMENTO ha effetti anche a livello inconscio, modifica
l’autoimmagine dei soggetti colpiti, condiziona le definizioni delle situazioni che essi vivono. Etichettare l’Altro
è come raccontare una storia che lo vede perdente, ma attraverso l’individuo è la sua cultura che viene
giudicata e penalizzata. Le società rappresentano le culture straniere secondo modelli storicamente e
sociologicamente determinati. Quindi, il ruolo del linguaggio nelle scienze sociali è cruciale.
La scoperta dell’Altro
Foucault con l’analisi dei regimi di verità e Derrida col decostruzionismo hanno svelato i termini convenzionali
e le metafore non innocenti che possono inquinare la scrittura scientifica, diventando una modalità linguistica
di esercitare il POTERE. Con l’antropologia interpretativa di Geertz emerge la CRISI DELLA
RAPPRESENTAZIONE che mette in discussione anche ciò che avviene a monte della scrittura (fieldnotes),
nella relazione tra ETNOGRAFO e INFORMATORE. Geertz cerca di testualizzare il significato che scaturisce
dall’interazione con i nativi in una scrittura densa (thick description), articolata e dettagliata, il cui scopo è la
reciprocità nell’interpretazione. X Geertz la descrizione etnografica nasconde/rivela i rapporti di potere ed è
anche uno strumento x offrire al lettore una rappresentazione di sé e dell’Altro il + possibile aderente, non
tanto alla realtà oggettiva, quanto alla realtà vissuta dai 2 poli della relazione osservativa. Le parole x
descrivere l’Altro emergono dall’interazione sul campo.
Anni ’80: si diffonde la sensibilità post-moderna e il movimento di WRITING CULTURE promosso da Marcus e
Clifford mette al centro della critica la questione del potere. Persino Geertz che tra i primi lo aveva denunciato
viene visto come un manipolatore non diverso dagli etnografi tradizionali. Il metodo interpretativo da lui
proposto lascia invariato il potere e il controllo dell’autore etnografo sulla traduzione e sul linguaggio che
definisce l’Altro, perché di fatto è gestito dall’autore e il punto d’osservazione rimane etnocentrico.
Vocabolari della diversità: l’etnografia post-moderna
La nuova etnografia cerca nel post-modernismo lessico e strumenti x produrre testi in cui i soggetti sociali
esprimano la pluralità dei punti di vista presenti sul campo. Attenzione alla soggettività del ricercatore, dialogo
con i soggetti sociali, creatività nella comunicazione dei risultati della ricerca.
Soggettività e dialogo sono le componenti principali della RIFLESSIVITA’ che consiste nella capacità del
ricercatore di autosservarsi nella negoziazione con gli intervistati mettendo a fuoco le relazioni e gli scambi
emozionali, oltre che culturali, e senza tacere gli errori e gli incidenti di percorso personali o metodologici.
L’etnografo accetta di mostrarsi con la propria vulnerabilità e rinuncia alla posizione pretenziosa dell’autore
onnisciente, ponendosi sullo stesso piano degli altri attori sociali. La terza persona della prosa oggettiva viene
sostituita dall’IO NARRANTE che racconta se stesso in relazione con l’Altro.
L’AUTOETNOGRAFIA, precedente al post-modernismo ma da esso valorizzata, ha una grande varietà di
tecniche e definizioni che esprimono il bisogno della scoperta di sé, in un contesto in cui l’Altro fa da specchio.
Tentativo di immedesimarsi con l’Altro e autosservazione delle proprie reazioni. Ciò accade perché
l’autoetnografia in senso stretto riguarda un etnografo che non è andato su un campo x lui straniero ma che
conosce nei dettagli, è x lui + che familiare. Però è un contesto considerato eccezionale rispetto alla normalità
sociale. Es. autoetnografia etnica: un nativo divenuto etnografo descrive dall’interno la sua cultura d’origine. Il
discorso su se stesso e su l’Altro tendono a coincidere e la sua abilità principale è quella di praticare il
distacco da ciò che vive x poterla interpretare come fatto sociale. Ma le parole che sceglierà saranno le +
aderenti e condivise dagli altri.
Molti etnografi hanno incluso fisicamente intervistati e informatori nei loro resoconti praticando l’etnografia
performativa (PERFORMANCE ETHNOGRAPHY) che si serve dell’arte teatrale e figurativa, comunicando i
risultati delle ricerche in forma di spettacoli con installazioni multimediali e narrazioni visuali. Es. “Cercando
Osun” della Jones sulla cultura nigeriana. La performance scaturisce da una collaborazione tra etnografo e
comunità studiata in una forma che lascia emergere anche la soggettività dell’etnografo e invita il pubblico a
esprimere le sue opinioni.
Limiti dell’etnografia post-moderna
Ha suscitato dibattiti accesi e numerose critiche. Mette in discussione finalità, metodo e forma del discorso
scientifico, rivendicando un pluralismo metodologico che tende all’anarchismo e inventando forme inedite di
comunicazione. Coltiva l’illusione di poter andare oltre le convenzioni letterarie, le politiche dell’identità e i
generi. Lo spirito è fintamente includente: la negoziazione è condotta dall’etnografo, che gestisce la
trasposizione narrativa dei dialoghi realmente avvenuti sul campo. Sebbene applichi la riflessività e inserisca
se stesso nel testo, è facile che sia condizionato dalla propria esperienza personale creando una relazione
osservativa falsata. Tutte le forme di comunicazione individuate dagli etnografi post-moderni sono finzioni
retoriche:
• modello dialogico, imperniato sulla relazione duale con l’informatore privilegiato
• polifonico, con l’ambizione di cogliere la pluralità delle voci in una comunità
in entrambi l’autore può non essere nel testo, ma sarà nel paratesto, nella gestione editoriale e di marketing.
La critica all’EGEMONIA dell’AUTORITA’ ANTROPOLOGICA è apparente: l’etnografo che si eclissa x far posto
all’Altro e consegnargli l’autorità della parola è un falso. Se non si eclissa ma si racconta allora è dominato
dalla propria leggenda personale: una storia immaginaria di se stesso. X Gergen perfino nei nostri monologhi
+ solitari la verità appare irraggiungibile.
Es. lettura critica di un testo famoso “Tuhami: Portrait of a Maroccan” (1980) di Vincent Crapanzano ad opera
di Toshiko Sakamoto, una studiosa giapponese che accusa l’autore di non aver raggiunto gli obiettivi scientifici
che si era dato. “Tuhami” è la tipica etnografia cui fanno riferimento i post-moderni quando vogliono portare un
esempio di auto-riflessività dell’autore, dialogo e polivocalità, interazione sul campo, corretta politica
dell’identità e scrittura priva dei meccanismi della retorica etnografica classica. Tuhami sostiene di essere
marito di una demone che lo possiede e gli impedisce di vivere la sua vita. L’etnografo pratica l’osservazione
partecipante rappresentando se stesso con i suoi ragionamenti razionali. La Sakamoto discute il metodo:
ambiguità e forzature nella rappresentazione dell’intervistato. Relazione: psicanalista e paziente (rapporto di
potere), il racconto di magia diventa “metafora”, tempo del campo distante dalla scrittura a tavolino, assenza
del traduttore che ha avuto un ruolo decisivo.
La voce dell’Altro in un mondo globalizzato
Si è passati dal focus sulla rappresentazione dell’Altro al focus sulle dimensioni dell’oggetto della ricerca. Si
tenta di individuare connessioni tra la situazione locale (disagio, esclusione dell’Altro) e le scelte del
capitalismo globale. La portata sociologica del termine globalizzazione &egrav