Lo straniero come promotore del mutamento
Cent'anni di solitudine, il romanzo di Gabriel Garcia Márquez, si apre con Buendia di fronte al plotone di esecuzione, ricordando il giorno in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. La vita a Macondo, un piccolo villaggio isolato nel mezzo delle paludi, era monotona. Tuttavia, ogni primavera, una famiglia di zingari cenciosi si accampava nei pressi del villaggio, facendo conoscere le nuove invenzioni. Fu così che arrivarono a Macondo le prime invenzioni, ma soprattutto l'idea che “nel mondo stanno accadendo cose incredibili e che è a portata di mano c'è ogni sorta di apparecchiatura magica e noi continuiamo a vivere come gli asini.”
Una parte rilevante della riflessione occidentale sulla genesi del passaggio da comunità a società si è soffermata sul ruolo dello straniero, interrogandosi su come sia stato possibile il passaggio da società contadine a feudali. L'argomentazione generale è che una società isolata, chiusa in sé stessa e legata ai vincoli della tradizione, non è in grado di pensare il cambiamento e superare la costrizione del pensare come il solito. Perché possa immaginarsi il cambiamento è necessario uno sguardo esterno, una posizione marginale che consenta di estraniarsi dai legami forti della comunità.
Henri Pirenne, nel suo studio Le città del Medioevo, individua una massa di vagabondi avventurieri, i cosiddetti mercanti, che porteranno a una serie di trasformazioni. Per vivere, gli individui di questa massa errante praticavano l'elemosina, prestavano saltuariamente la loro opera nei lavori stagionali di mietitura e si offrivano come mercenari. Esercitavano la rapina e il saccheggio. Questi mercanti ben presto colgono le occasioni favorevoli quando si presentavano e divennero presto il commercio. La loro vita errante li portava a frequentare i porti e i mercati, e in una società statica legata alla terra erano in grado di far circolare merci e mettere in connessione nuove domande di beni con nuove offerte.
D'inverno, le strade venivano spesso impraticabili e i nuovi mercanti iniziarono a insediarsi, costruendo i loro depositi nei pressi dei castelli e monasteri, formando il nucleo per le nuove città. Quindi i mercanti erano visti come degli stranieri e faticavano a trovare posto nella gerarchia sociale feudale, all'interno di un'organizzazione sociale senza altra alternativa che possedere il suolo o lavorarlo ed essere servo.
Il commercio fece del mercante un uomo la cui condizione normale fu la libertà, e questa posizione di uomo libero e la stranezza della sua condotta di vita mettevano a soqquadro l'intera struttura sociale feudale. I mercanti rivendicavano la libertà personale, la possibilità di spostarsi e di risiedere dove si desidera, e di avere tribunali speciali per sfuggire alle molteplicità delle giurisdizioni feudali. La città divenne luogo speciale autogestito e la libertà delle città divenne la libertà dei suoi cittadini. È nella città che le idee di autonomia e individualismo si diffusero, creando la base dell'ethos Borghese.
Gli stranieri nella figura degli erranti e degli sradicati dalla terra giocarono un ruolo fondamentale: quello di introdurre nuovi modi di fare e di pensare in comunità isolate. Un'interpretazione molto simile è focalizzata sulla nascita del capitalismo da Sombart. Perché lo straniero è colui che consente l'innovazione e innesta all'interno delle comunità chiuse nuove idee. In particolare, l'origine dello spirito capitalistico risiede in un atteggiamento psicologico. Il capitalismo è caratterizzato da un'etica economica nuova rispetto al sistema feudale precedente perché i soggetti si impegnano nella produzione di capitale. Questa etica del lavoro è in contrasto con lo spirito feudale basato sulla produzione del necessario. Per Sombart, gli ebrei, gli eretici e i migranti sono i soggetti che occupano una posizione marginale che permette loro un agire spregiudicato verso la ricerca del guadagno illimitato.
Oltre al processo di selezione delle personalità più intraprendenti della migrazione, anche le condizioni che il migrante trova nel nuovo posto di residenza contribuiscono allo sviluppo del capitalismo. La migrazione sradica da quel tessuto di relazioni che caratterizzano la vita comunitaria e il rapporto con il nuovo ambiente è di puro sfruttamento pratico: il principale interesse è il guadagno. La condizione di solitudine e isolamento favorisce l'impegno nel lavoro e, non avendo legami, il migrante non è neppure sottoposto ai vincoli della vita comunitaria. I rapporti che lo straniero intrattiene con altri sono definiti su base razionale, inoltre tutte le persone con cui interagisce e ha rapporti sono per lui degli estranei. Non essendo legato alla tradizione, lo straniero può permettersi le condotte devianti e spingere fino alle ultime conseguenze il razionalismo tecnico economico. Proprio per questo gli emigranti sono i promotori del progresso commerciale e industriale in Europa.
Sia Pirenne che Sombart evidenziano come i marginali e i migranti, grazie alla loro differenza, siano in grado di introdurre il cambiamento in società statiche. Le comunità chiuse in sé stesse sono destinate a soccombere, e solo grazie alle innovazioni possono sfuggire alla decadenza. La comunità solidale al proprio interno ma isolata, priva di un confronto, è destinata a diventare anacronistica. Nel dibattito contemporaneo, l'idea che lo straniero sia indispensabile per contrastare l'invecchiamento trova argomentazione sul piano demografico ed economico. Per alcuni studiosi, la società occidentale sta attraversando una crisi demografica perché il basso tasso di fecondità non assicura un ricambio generazionale. Considerato che gli immigrati sono generalmente giovani, nel primo periodo successivo alla emigrazione ci furono tassi di fecondità superiori a quelli degli autoctoni. Sul piano economico, invece, costituiscono una componente strutturale del funzionamento delle economie avanzate. Senza gli stranieri, l’economia sarebbe inconciliabile e non sarebbe in grado di sostenere il passo della domanda, consentendo di superare le mancanze interne.
Per gli occidentali aperti al cambiamento e all'innovazione, gli stranieri sono un potenziale stimolo di esperienze e sensazioni. Come afferma Bauman, dal punto di vista dei soggetti privilegiati della società post-moderna contemporanea, “Abbiamo bisogno degli stranieri perché in quanto esseri culturalmente plasmati perderemmo preziose opportunità di emancipazione.” Questo non ci permetterebbe mai di affrancarci del tutto dalle concezioni in cui le nostre vite si sono formate e sono state vissute. Inoltre, lo straniero con la sua ricchezza è indispensabile per mantenere viva la comunità. In un contesto di crescente globalizzazione, diviene necessario per l’élite con maggiore capitale economico sentirsi vivi e mantenersi giovani per alimentare quel flusso di sensazioni indispensabili alle personalità cosmopolite in costante mutamento.
Lo straniero come icona dell'individuo moderno
Lo straniero è spesso visto come capace di evidenziare i fondamentali aspetti dell'esistenza umana e di costruire il modello dell'individuo moderno. Lo spunto di questa riflessione proviene da un excursus di George Simmel. Egli analizza un tipo particolare di straniero: colui che oggi viene e che domani rimane, colui che arriva a insediarsi in una nuova società occupando una posizione sociale specifica. Inoltre, egli occupa la posizione specifica di chi è vicino perché è prossimo ed è presente nelle interazioni, però è anche lontano perché è considerato diverso e conserva tratti di alterità che lo fanno sentire dissimile. Questo straniero è nella comunità ma non è della comunità. Infatti, questo rende evidente che la logica della contrapposizione 'noi-loro' di un'identità che si costruisce nella completa distinzione da altre identità non corrisponde alla realtà delle relazioni umane.
Inoltre, lo straniero di cui parla Simmel è un elemento della comunità, è conosciuto ma non riconosciuto come membro del gruppo. Infatti, questa posizione consente di cogliere nello straniero in modo nitido alcune caratteristiche che sono la base di ogni relazione umana. La lontananza dello straniero fa sì che sia percepito come una categoria piuttosto che come individualità. Lo straniero c'è vicino in quanto sentiamo tra lui e noi un'eguaglianza di carattere nazionale e sociale, e ci è lontano in quanto questa eguaglianza va al di là di lui e di noi. Sull'asse della polarità tra vicinanza e lontananza, il rapporto con lo straniero è vicino al secondo polo in quanto un rapporto che tende a generalizzare l'altro.
Infatti, questo è simile alle relazioni erotiche che si pongono prossime al polo della vicinanza. Le relazioni erotiche respingono decisamente, nello stadio della prima passione, quei principi di generalizzazione. Infatti, si ritiene che un amore non sia mai esistito e che nulla sia paragonabile con la persona amata. Ogni rapporto è caratterizzato da una miscela di vicinanza e lontananza, così come l'idea di unicità si mescola con quella di incomprensione, pur non annullando l'armonia e la vicinanza. Così come il rapporto con lo straniero e la progressiva familiarità che l'altro acquista, lasciando spazio per il riconoscimento dell'individualità dell'altro.
Lo straniero come rapporto amoroso rende evidente la polarità che caratterizza il rapporto umano; il fatto di essere nel gruppo ma non del gruppo fa dello straniero una persona oggettiva e distaccata. Non essendo radicato nelle singole parti o nelle tendenze laterali del gruppo, si contrappone a tutte queste con l'atteggiamento dell'oggettivo. Questo lo rende idoneo per ruoli super partes come amministratore dei beni pubblici, il giudice, il sacerdote, il confidente. Lo straniero assicura il distacco dalle trame relazionali e di potere che caratterizzano le comunità e può svolgere in modo obiettivo i ruoli per le valutazioni e decisioni ponderate.
Inoltre, a differenza di Simmel, Robert Park porta l'attenzione sulle peculiarità psicologiche dell'immigrato di colui che è nella comunità ma non ne è parte. Lo sviluppo delle civiltà umane non è un processo lineare e graduale ma avviene in modo discontinuo. Infatti, le comunità isolate e prive di conflitti interni non evolvono, ma sono le guerre che garantiscono quel fermento. A differenza delle guerre e delle rivoluzioni, la migrazione ha implicazioni importanti anche a livello sociale e culturale.
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