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I Biyobè utilizzano elementi di ordine storico ed elementi di ordine mitico per raccontare quella che
è la loro storia vera. Per Evans-Pritchard, una storia può essere vera anche se dotata di
caratteristiche mitiche, mentre un’altra storia può essere falsa anche se il suo impianto segue un
modello storico.
8.4.2. La consapevolezza storica nell’immutabilità mitica
Il fatto che il rito della circoncisione perpetui il mito dell’origine biyobè non esclude il fatto che il
mito e il rito varino con il passare del tempo. Mentre il significato del mito-rito rimane immutato, le
modalità per esprimerlo si trasformano. Di questo processo di trasformazione sono ben
consapevoli tutti coloro che partecipano direttamente al rito di circoncisione, pubblico o iniziati che
siano.
Lawa e Bassari distinguono nello svolgimento del rito di circoncisione un ieri e oggi. Quest’ultimo
racconta come un tempo gli iniziati dell’area tangba dovessero ad un certo punto recarsi a Sola per
farsi intrecciare i capelli sulla nuca. Oggi questa fase del rito si svolge in un luogo diverso. E
ancora, un tempo i circoncisori dovevano giungere da Sola, mentre oggi non solo ogni villaggio,
ma ogni quartiere tangba ha i suoi circoncisori. Inoltre, se prima le danze iniziavano verso le h
17.00, oggi non cominciano prima delle h 21.00. L’abbigliamento utilizzato nelle varie danze ha
conosciuto notevoli cambiamenti. Oggi gli iniziati danzano portando scarpe da tennis, fischietti da
arbitro e occhiali da sole, cose che un tempo non esistevano. La stessa danza si è modificata: un
tempo lo gnamì era la ripetizione continua di un solo movimento, oggi è un insieme eclettico di
passi attinti da varie cerimonie tangba.
8.5. Conclusione
Appare evidente come la presenza della dimensione mitica rafforzi la dimensione storica,
favorendo una sua più lucida definizione.
Spesso Lawa ringraziava l’etnografo perché diceva che il suo lavoro di informatore era per lui
un’occasione per conoscere particolari della sua cultura che non gli erano noti o per rivisitare
luoghi e persone dopo molto tempo. È altrettanto spesso ripeteva che questa ricerca era preziosa
per tutti i Biyobè poiché metteva per iscritto una storia che era sempre stata tramandata oralmente.
La disponibilità dei locali dipende dall’effettiva apertura dell’antropologo. È evidente che questi
conduce la sua ricerca influenzato dall’ideologia e dalle problematiche che animano la comunità
scientifica in un dato momento storico, senza contrare i condizionamenti che gli vengono dati dalla
sua cultura e che agiscono sulle informazioni che vengono offerte dai locali. Il testo di rivolge ad un
pubblico occidentale e dunque prevede l’organizzazione del materiale etnografico secondo modelli
che risulterebbero di difficile lettura per i locali.
Se l’antropologo esercita la sua autorità soprattutto nella fase di rielaborazione dei dati,
l’informatore la esercitano all’inizio, al momento della raccolta delle informazioni. Essi sono infatti i
primi censori della loro cultura e vagliano con abilità il materiale etnografico, distinguendo ciò che
si può dire da ciò che è meglio tacere. Il rischio maggiore dell’antropologo è quello di recarsi sul
campo con l’intenzione di cercare ciò che vuole trovare. In questo modo finisce col constatare
realtà che non esistono o di cui non riesce a catturare sfumature rilevanti. Inoltre, molti informatori
conoscono ormai ciò che un antropologo solitamente vuole sapere e cercano di accontentarlo
inventando situazioni o fatti.
Non solo quindi è necessario liberarsi il più possibile dei propri schemi, ma aprirsi all’alterità
implica anche una massiccia dose di prudenza e discrezione. Credo che l’atteggiamento ottimale
con cui un ricercatore si debba recare sul campo sia quello di chi, con la curiosità del bambino e
l’accortezza dell’adulto, voglia prima di tutto imparare qualcosa di nuovo.
Capitolo nono: Rappresentazioni indigene e rappresentazioni occidentali. A proposito di una forma
di manipolazione della discendenza tra gli Haya della Tanzania
9.1. Il destino dell’informatore
I primi informatori nella storia dell’antropologia furono missionari, amministratori coloniali e
viaggiatori: insomma bianchi che attraversavano le terre lontane abitate dai primitivi e ne
annotavano gli strani costumi. Delle documentazioni che essi riportavano in patri si servivano gli
antropologi.
Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo gli etnografi presero il posto dei corrispondenti,
recandosi direttamente sul campo e facendo di se stessi i testimoni diretti dell’alterità culturale. Il
contesto coloniale facilitava l’accesso ai dignitari locali, i quali detenevano un sapere privilegiato
rispetto alle cognizioni e ai livelli della maggioranza della popolazione.
Al termine di quest’epoca sono ulteriormente mutate le condizioni della ricerca sul terreno:
l’emergenza di nuovi classi politiche e le repentine trasformazioni socio-culturali hanno reso
sempre più raro l’incontro tra antropologo e locali. Oggi la ricerca impone per lo più il ricorso ad
una pluralità di voci sul campo. Gli informatori vengono oggi considerati testimoni culturali anonimi,
individui che della propria tradizione propongono una versione che dipende dal ruolo che svolgono
nella vita sociale, dai lori valori culturali, dalle pressioni a cui sono soggetti e dalla loro personalità.
9.2. Specie di bianchi: coloni, missionari e dottori
Padre Samson descrive l’arrivo dei primi europei in Buhaya, un piccolo regno africano nella
regione dei Grandi Laghi. Lo scritto descrive le prime impressioni e i timori suscitati dai nuovi
venuti, individuando una tipologia delle diverse specie di bianchi impiegati nella regione, ovvero
bianchi impiegati alle dipendenze del regime coloniale, missionari e dottori.
Il testo di Samson raccoglie la memoria del re Karutasigwa. Grazie all’aiuto fornito da Bwana che
diventò il mediatore tra gli europei e il re, quest’ultimo affermò come dopo l’arrivo dei primi
visitatori, altri bianchi giunsero nella regione portando con sé svariate terribili calamità: in primo
luogo la peste bovina; quindi un’epidemia che causò follia e grida lancinanti. I Baziba impararono
presto a convivere con diverse specie di europei. La loro seppur saltuaria venuta generava gravi
inquietudini essendo spesso accompagnata da spari di arma da fuoco e richieste difficilmente
esaudibili nel breve arco di tempo concesso.
Nel frattempo degli altri europei si erano stabiliti nella regione: missionari francesi. Fu fatto venire
un missionario ma, dal momento che in cambio del suo aiuto questi pretendeva un appezzamento
di terreno per costruire una scuola, fu rimandato indietro. Oltre a militari e missionari, durante la
peste comparve un dottore, ma anche la sua volontà di costruire un ospedale venne rifiutata dal re.
Così i Baziba dovettero abituarsi alla presenza di militari, missionari e dottori. I Bianchi entrarono
consistentemente a far parte del locale paesaggio sociale.
9.3. Informatori dal presente e dal passato
È importante ricordare come è l’informatore a decidere quale tipo di discorso si intende avere con il
ricercatore, a scegliere quale configurazione della cultura locale si vuole far conoscere.
Nell’età contemporanea la ricerca antropologica è sempre più attenta alla dimensione storica delle
società che attraversa, consapevole del fatto che una ricostruzione degli avvenimenti e dei modi di
pensare del passato è la condizione indispensabile per la comprensione della realtà sociale
contemporanea. La cultura locale si presenta come una singolare commissione di elementi
tradizionali ed elementi di più recente adozione.
Per accedere alla vita quotidiana di questo popolo è proficuo ricorrere, oltre che alle fonti orali,
anche a quelle scritte lasciateci da impiegati coloniali, missionari e dottori. In questa prospettiva la
documentazione d’archivio non serve solo come punto di partenza di una ricerca sul terreno o per
misurare i cambiamenti che lo scorrere del tempo ha portato con sé. Essa viene impiegata per far
emergere una pluralità di rappresentazioni che possono essere fatte interagire con quelle
presentate oralmente dalle diverse persone che incontriamo sul campo. Il quadro che ne risulta
non sempre sarà però omogeno e perfettamente coerente.
9.4. I regni haya e l’importanza della discendenza.
La regione del Buhaya, sino all’indipendenza nazionale, era suddivisa in otto piccoli regni
centralizzati basati su un’economia mista che associava pastorizia e agricoltura. Ciascuno di
questi regni era retto da un mukama che, oltre ad essere signore della terra e capo della giustizia,
veniva trattato alla stregua di un Dio. Le monarchie haya poggiavano su un organizzazione
clanica, che contrapponeva i clan nobili hima a quelli comuni iru. La distinzione tra le due
categorie, differenziate sul piano occupazionale (pastori i primi, agricoltori i secondi) veniva fatta
risalire ad una differente origine.
La popolazione del Buhaya è tuttora suddivisa in clan, ciascuno identificato da un totem e da un
tabu. La rilevanza dell’appartenenza clanica continua tuttavia ad essere decisiva per l’eredità della
terra, i matrimoni e la discendenza.
I membri di uno stesso clan si riconoscono come fratelli e come tali non possono unirsi in
matrimonio. Sposandosi le donne non entrano a far parte del clan dei mariti, restando parte del
proprio clan di origine. I figli nati dall’unione matrimoniale appartengono invece al clan dello sposo;
anche in caso di divorzio essi dovranno prima o poi ritornare al clan paterno. Il padre sociale del
nascituro è colui che ha con la sua partoriente il primo rapporto sia o non sia egli il suo legittimo
compagno.
I bambini nati fuori dal legame matrimoniale vengono detti bambini bisisi; alla stessa categoria
appartengono anche i frutti dei rapporti prematrimoniali nonché i primogeniti nati dai matrimoni
successivi al primo. Il bisisi costituisce un rilevante mezzo di manipolazione: gli uomini che non
hanno figli possono così acquisirne uno.
Il bisisi è stato descritto da Hans Cory, da alcuni Padri Bianchi e da un dottore. Queste descrizioni
sono state elaborate a partire dalle testimonianze che gli stessi autori hanno raccolto e interpretato
ed hanno avuto un profondo impatto sulla realtà locale
9.5. Hans Cory, il bisisi come norma consuetudinaria
Una prima descrizione del costume del bisisi è fornita da Hans Cory, che afferma che il diritto
tradizionale dei regni haya prevede l’esistenza, oltre che di figli legittimi e illegittimi, di figli con uno
status del tutto part