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Egli però è conscio dei limiti dell’antropologo nativo e li evidenziò dicendo che nessun antropologo
per quanto appartenente ad una cultura può pensare di rappresentare davvero in modo globale
quella cultura. Inoltre, sottolineò come la definizione “antropologo-nativo”, usata spesso nei suoi
testi, fosse un effettivo residuo del linguaggio imperialista, dato che la parola nativo può essere
usata come sinonimo di altro. Infatti determinate identità etniche sono costruite ed inventate dal
potere imperialista. Dunque, se l’Occidente ha creato il prototipo chicano, deve analizzare se la
sua analisi su questo “altro” uomo sia valida o no. Infatti, lo chicano non è un oggetto passivo
pronto a farsi costruire e decostruire a piacimento dall’Occidente.
7. Chi può rappresentare chi?
L’etnicità a cui si riferisce Rosaldo riguarda tutti, ovvero soggetti etnici con particolari caratteristiche
che si differenziano tra loro. L’identità chicana è un identità ibrida, risultato del mescolamento di più
culture e non è esaustiva dell’individuo che sente di appartenervici, poiché egli è anche
identificabile in una classe, in un genere, in una sessualità.
Se in un primo momento la battaglia per l’autorappresentazione è stata determinante, la lotta oggi
si è spostata verso il diritto di rappresentazione di un sé multiplo, differenziato anche all’interno di
un medesimo gruppo. Per Hall non esiste più un’unica categoria, ma la consapevolezza che anche
queste categorie sono frutto di una costruzione e generalizzazione. Negli anni Sessanta apparire
un etnia compatta era necessario per darsi una maggiore forza politica, ma attualmente il
Movimento Chicano si pluralizza con le sue contestazioni interne, come ad esempio quelle delle
chicanas, o quelle delle classi sociali che non si riconoscono nella classe rappresentata dal
movimento. Oggi non è sufficiente essere chicano per avere il diritto di rappresentare tutti i
chicanos: nulla pare più fissabile in una identità che non sia rappresentativa delle sue differenze
interne.
La lotta del Movimento contro il razzismo ha cercato di neutralizzare la categorizzazione messa in
atto dagli angloamericani, cercando di costruire accanto al modello di bianco, un modello di altro, il
chicano, con una propria storia, una propria cultura.
Quello che negli anni Sessanta era il discorso della riscoperta delle radici messicane, nel 2000 si
trasforma nel discorso del meticciato: i chicanos scoprono che la loro cultura è nata da diverse
radici, tant’è che un chicano si sente orgoglioso di sfoggiare la sua messicanità nei confronti degli
angloamericani, ma al tempo stesso si sente in difficoltà nei confronti dei messicani “puri”.
Capitolo quarto: Queer Aztlan: il genere
La critica della rappresentazione portata avanti dal seminario di Writing Culture è stata pienamente
raccolta da molti interventi di donne messicane-americane. Le chicanas non sentono più di doversi
assimilare all’identità bianca per seguitare a esistere nel mondo statunitense, non sentono più di
dover appiattire la propria identità di genere su quella dei maschi del proprio gruppo etnico, non
sentono neanche di riconoscersi nel solo discorso femminista, rifiutando inoltre di venire inserite in
una “natura” eterosessuale.
1. La problematica del genere nel Movimento Chicano
L’identità chicana da parte dei principali componenti del Movimento Chicano iniziò a venire
sottoposta a critica proprio dall’interno di quello stesso movimento.
Se già le differenze di classe tra i chicanos avevano portato a problematizzare la presunta
compattezza del movimento, le differenze di genere distrussero in modo definitivo l’illusione di una
unità indifferenziata da opporre all’identità bianca. Tra gli anni Sessanta e Ottanta, quella parte di
donne chicanas per lo più di origine contadine ma urbanizzate, di livello d’istruzione medio, si
organizzò e si confrontò in una serie di seminari e di riunioni, come quella tenutasi a Houston nel
1971. In essa, le donne appartenenti al movimento reclamarono il riconoscimento della loro
specifica soggettività a partire dall’uso della categoria di genere con la quale decostruiscono il
sessismo chicano. E allora l’orgoglio per il nome etnico chicano si trasformò nell’orgoglio del nome
chicana. Tra le donne più impegnate nel movimento, ricordiamo la Cotera, la Flores e la Gomez.
Il dibattito sul sesso e sul genere nacque nell’ambito angloamericano. Le chicanas, facendo
proprio il dibattito del femminismo angloamericano, si unirono alla convinzione che è un
determinato ambiente culturale a produrre la differenza di genere. Esse misero in discussione il
ruolo passivo e riproduttivo della donna, indirizzando quindi la critica nei confronti degli uomini
chicanos. Le chicanas affermarono di non riconoscersi più in una identità etnica costruita sulla
base di un modello teorico che fa dell’uomo un soggetto rappresentativo dell’intero universo
chicano.
Quindi, se negli anni Sessanta la lotta era solo verso i bianchi, col passare del tempo le chicanas
iniziarono a manifestare la loro intolleranza rispetto ai loro maschi, ribadendo la loro volontà di
unione con gli uomini del movimento nella lotta per certi diritti, ma affermando di non voler più
rinunciare a diritti più specifici del sesso femminile, come la possibilità di decidere quanti figli
avere, di lavorare fuori casa, di non venire maltrattate, ecc.
Effettivamente, il Movimento Chicano non aveva mai messo in discussione la propria diffusa
patriarcalità, che incoraggiava le donne a non realizzarsi, facendo si che le problematiche delle
messicane-americane restarono non ascoltate.
Le chicanas rifiutarono di continuare a occupare solo posti secondari poiché volevano arrivare
anche a occupare posti di leadership e di responsabilità. Esse lottarono contro l’ideale culturale
che le fa apparire solo come madri e mogli, additando la chiesa come complice dell’oppressione
femminile dato che la venerazione della Vergine Maria ha spinto a credere che le donne debbano
essere inferiori perché questa è la loro natura. Le chicanas furono stanche di essere ritenute delle
baby-producers e volevano vedere riconosciuto il loro autonomo apporto come lavoratrici nei
campi o nelle fabbriche.
La loro attività di denuncia però causarono una reazione di chiusura all’interno del movimento, non
solo da parte di uomini ma anche di alcune donne. I maschi del movimento cercarono di impedire i
conflitti interni asserendo che il femminismo non fosse altro che un escamotage bianco per
dividere i chicanos dalle chicanas. In risposta a ciò, le femministe chicane risposero che avere la
possibilità di autorappresentarsi in modo differenziato dal maschi non significava voler dividere il
movimento ma rompere con un discorso autoritario e maschilista. Il punto di vista maschile
continuò ad essere rappresentato dal libro Chicano Manifesto del 1971, nel quale l’autore distinse
due categorie di persone nel movimento: quelle che si riconoscevano nel machismo e quelle che si
riconoscevano nel malinchismo: le prime sarebbero quelle in lotta per un’equità più vera, le
seconde sarebbero delle traditrici, contrarie alla collettività chicana, alla nazione ed alla famiglia.
Inoltrela “bibbia” della storia chicana, realizzata da Acuna non accennò alla specificità del genere,
dato che il punto di vista maschile corrisponde con il punto di vista chicano in generale.
Le femministe chicanas sono state a lungo viste come devianti da parte della normativa dettata dai
maschi chiacanos, ma anche dalle donne che quella normativa perpetrarono. Queste ultime, che
presero il nome di Loyalist, accusarono le loro compagne non solo di tradire il movimento ma di
miniare la base della famiglia chicana. Esse hanno cercato di isolare le loro compagne più radicali
sostenendo il pericolo portato da queste traditrici della razza, alleate delle bianche. Per loro
bisognava scegliere tra l’individualismo bianco e la comunità chicana alla quale si appartiene,
ovvero scegliere tra l’acculturazione ai valori bianchi protestanti o il tradimento dei propri.
2. La problematica dell’etnicità e della classe nel movimento femminista
Mentre il Movimento Chicano affermava la sua unità e omogeneità di intenti ed esigenze, il
movimento femminista affermava con altrettanta decisione la sua unità e la sua omogeneità
interna.
Sia il primo che il secondo cedettero di fronte all’evidenza di una erosione interna portata dalla
forte critica di una parte delle donne appartenenti alle così dette minoranze etniche.
La più importante autrice chicana Ana Castillo nel suo libro affermò bene come molte donne si
siano trovate intrappolate in un’antitesi impossibile da conciliare: la scelta della propria radice
etnica o quella della propria appartenenza di genere. Scegliere di accettare il ruolo normale di una
donna messicana-americana significherebbe perdere la propria autonomia, ma d’altronde
associarsi in modo incondizionato alla lotta del femminismo significherebbe affrontare le proprie
problematiche in via molto parziale.
Il problema delle femministe chicanas fu quello, da una parte, di tentare di uscire dal nostalgico
passato idealizzato nell’idea di una cultura chicana autentica e intatta e dall’altra di non entrare in
un futuro egemonizzato da femministe angloamericane che darebbe possibilità di realizzazione
solo al costo di un annullamento della propria matrice etnica. Il femminismo chicano nasce dalla
necessità di rappresentare la propria identità, affermando come sia impossibile parlare di
omogeneità tra donne e uomini.
Al tempo stesso, le donne chicanas non si riconobbero non solo nell’ideologia maschilista chicana,
ma nemmeno in quella femminista angloamericana, dato che per loro quest’ultimo movimento fu
bianco, eterosessuale e della classe media occidentale e quindi in opposizione con il femminismo
chicano. Le chicanas, come anche le blacks, sostennero che non si poteva credere alla favola del
comune sentire femminile, di un’identità che sarebbe identica e uguale per tutte le donne. Per le
chicanas le donne non potevano essere identificabili tra loro poiché ognuna avrebbe percepito la
sua identità di genere.
Le donne messicane-americane spiegarono la loro esperienza che fu ben diversa da quella delle
bianche: queste non hanno vissuto l’umiliazione di una guerra di conquista nella quale le donne
erano oggetti di soprusi se appartenevano alla classe bassa e di interessi eco