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Nella società della conoscenza il sapere diventa dinamico e in costante evoluzione.

Si distingue il formare per conoscenze (approccio che porta a richiedere prestazioni semplici

basate sull’espressione di abilità nozionistiche) al formare per competenze (approccio in cui si

lavora su prestazioni complesse, basate sulla produzione di soluzioni a problemi tratti dal mondo

reale.

È fondamentale promuovere un cambiamento dei metodi di insegnamento e valutazione

proponendo una didattica che permette di lavorare u casi concreti e di ragionare a un livello alto

mettendo in moto processi di problem solving e problem posing; di condividere le proprie idee e

soluzioni con il gruppo di apprendimento.

Il memorandum europeo sull’istruzione e la formazione permanente distingue tre diverse categorie

di apprendimento finalizzato:

• Formale: consiste in un processo che si sviluppa all’interno di un contesto educativo

organizzato e strutturato (un diploma). Esso presuppone l’esistenza da un lato di una

struttura deputata all’insegnamento, dall’altro di un’utenza che deve imparare;

• Non formale: si concretizza al di fuori delle strutture tradizionalmente deputate

all’istruzione e alla formazione e talvolta può portare a un riconoscimento o a una

certificazione ufficiale. Questo tipo di apprendimento viene fruito attraverso la

partecipazione ad attività promosse da strutture o gruppi della società civile, avviene

intenzionalmente sulla base di una scelta dei soggetti e i riferisce ad attività specifiche svolte

negli ambiti più diversi;

• Informale: è rappresentato da ciò che l’individuo apprende in modo naturale nella vita

quotidiana e in tutti i contesti di relazione. Contrariamente all’apprendimento formale e non

formale, nella maggior parte dei casi esso non è intenzionale, avviene in maniera non

programmata e spesso non cosciente;

In questo panorama odierno la tecnologia rappresenta una risorsa strategica. I nuovi media e

internet, dal punto di vita dei processi di apprendimento, possono essere considerate vere e proprie

tecnologie cognitive, ovvero dispositivi di auto-alfabetizzazzanti in grado di coinvolgere i processi

interni della mente.

Non si dimentichi che la società della conoscenza ha una connessione molto forte con la Network

Society: essa rappresenta il terreno su cui la società della conoscenza si sta sviluppando. I percorsi

formativi non possono più essere gestiti solo con i metodi e gli strumenti tradizionali, ma diventa

necessario il supporto delle tecnologie ICT.

Inoltre i cambiamenti tecnologici in corso, evidenziano l’importante funzione di mediazione delle

tecnologie ma anche il ruolo attivo che assume l’utente nel partecipare al dibattito pubblico. La rete

si afferma cioè come un vero e proprio ambiente di apprendimento all’interno del quale si

verificano attività ed esperienze che sottendono dinamiche di apprendimento, non solo di tipo

formale (e-learning) ma anche e soprattutto di tipo informale.

La forte esposizione informativa a cui siamo sottoposti cambia significativamente il nostro modo di

conoscere, secondo modalità inimmaginabili dai teorici dell’apprendimento.

Il futuro della formazione si giocherà quindi sull’innovazione della progettazione didattica e sulla

necessaria integrazione tra la dimensione formale e informale dell’apprendimento.

L’era attuale è caratterizzata dalla diversificazione, da aziende estremamente duttili che rispondono

alla mutevolezza e alla globalizzazione dei mercati attraverso una produzione snella.

Con il passaggio alla società postindustriale, il tempo, o meglio, il tempo di vita e il tempo di

lavoro, separati dall’industrialismo, subiscono una profonda metamorfosi: vengono destrutturati, de

sincronizzati, confusi. I processi che hanno inciso sul generarsi di questo quadro globale sono molti,

ad esempio:

• Il predominio del lavoro intellettuale su quello manuale ha “liberato” i lavoratori dalla

schiavitù cronometrica della catena di montaggio;

• L’impiegato, il cui strumento principale è la propria testa, grazie anche all’introduzione delle

tecnologie elettroniche, può portare ovunque il proprio lavoro, a casa e all’interno del tempo

libero che ha a disposizione.

Nel mercato globale la competizione è sempre più giocata nella dimensione temporale.

Le esigenze organizzative della produzione condizionano la configurazione del tempo di lavoro e , a

cascata, dei tempi sociali: gli orari di lavoro richiesti da un sistema di produzione flessibile tendono

a colonizzare tempi prima destinati al riposo (ore notturne o i giorni di festa) e sono sempre più

differenziati, anche all’interno di una stessa impresa e si adattano a esigenze di competitività sul

mercato.

Un altro fattore di cambiamento che rafforza la centralità del tempo nella società postindustriale è la

crescente rilevanza dei servizi, come settore di impiego e come modalità di consumo, poiché nei

servizi il tempo di lavoro degli uni rappresenta il tempo di consumo degli altri.

Al mutamento della dimensione del tempo si affianca quella dello spazio, che fa fisico diventa

virtuale.

Le grandi e storiche aziende nazionali, che mantenevano uno stretto rapporto con il territorio, con

l’arrivo della globalizzazione si riducono di dimensione, si snelliscono a livello locale per

espandersi a rete nello spazio transnazionale. I fatturati non sono più creatori di occupazione locale

e portatori di ricchezza nel paese di origine, come succedeva in passato.

Le organizzazioni seguono nuovi modelli organizzativi contraddistinti da nuove priorità:

l’importanza del capitale umano, l’orario flessibile, una particolare cura per l’ambiente e il clima

lavorativo, il ruolo fondamentale giocato dalla motivazione dei lavoratori.

L’attenuarsi delle differenze culturali tra capi e dipendenti mostrano come l’organizzazione

piramidale perda forza rispetto a metafore organizzative come quella della rete.

Quello che è stato il modello del lavoro “tipico” sul quale si basava il sistema di relazioni industriali

e del diritto del lavoro, è andato a poco a poco perdendo rilievo rispetto alle forme di lavoro

conosciute come atipiche.

Gli osservatori concordano sul fatto che il lavoro atipico ha inevitabilmente prodotto un effetto

negativo in termini di precarizzazione della condizione professionale e d’indebolimento del potere

contrattuale dei lavoratori.

Gallino scrive che la richiesta di flessibilità del lavoro persegue come scopo principale quello di

ridurre il costo diretto e indiretto del lavoro, adeguandolo il più strettamente possibile

all’andamento della produzione o delle vendite.

Sul mercato attuale si è assistito alla crescita di forme di occupazione flessibili. Si tratta di forme di

impiego in cui mancano una o più caratteristiche tipiche di un modello di occupazione tradizionale

(subordinazione a un solo imprenditore, contratto a tempo indeterminato, etc…).

Hanno perduto importanza le risorse operative rispetto alle risorse tecnico-specialistiche, gestionali

e sociali.

Le attivit divengono più complesse e sono, di conseguenza, necessari maggiori livelli di

qualificazione e di istruzione. Poiché la risorsa umana assume un’importanza centrale per la

competitività e lo sviluppo aziendale, viene valorizzato in modo più profondo il lavoro delle

persone. Assumono un ruolo rilevante rispetto alle competenze settoriali, le competenze trasversali

dei lavoratori che si fondano su due componenti fondamentali:

• Quella “motivazionale-cognitiva” utile per diagnosticare i problemi e trovare una soluzione;

• Quella “sociale-relazionale”

Di pari passo sono mutati anche i contesti nei quali il lavoro viene svolto: l’uso massiccio delle ICT

ha soppiantato i vecchi modelli organizzativi aprendo la strada alla costruzione di strutture aziendali

innovative, più snelle, ove divengono più importanti i processi socio-organizzativi: comunicazioni,

leadership, cooperazione.

In tal senso Federico Butera ha parlato di un passaggio da un modello di organizzazione

“meccanico” a un modello “organico”.

Fulcro dell’attività diviene il lavoro creativo e ideativo, sempre più caratterizzato da compiti di

controllo e regolazione di eventi, da processi informativi e decisionali, che si fondano sull’elevata

conoscenza dei processi e sulla responsabilità.

Reich definisce symbolic-analytic workers quei lavoratori che svolgono attività di concetto, ossia

di individuazione e risoluzione di problemi, nonché di intermediazione strategica e che possiedono

perciò conoscenze tecniche, di mercato e intuito tattico e finanziario.

Drucker è stato uno dei primi autori a introdurre l’espressione knowledge worker. Si tratta di quei

lavoratori che fanno della creazione, dello sviluppo e della diffusione della conoscenza il proprio

punto di forza.

Secondo Butera ci sono due cause a cui può ascriversi la nascita di queste figure sopra citate:

• La prima riguarda il cambiamento relativo ai contenuti del lavoro, sempre più di tipo

intellettuale e legato all’evoluzione tecnologica;

• La seconda attiene allo sviluppo dell’economia dei servizi che impone la presenza di figure

polifunzionali, dalle abilità tecniche e dalle capacità di creare soluzioni nuove;

Lo scenario attuale fa intravedere due possibili soluzioni relative al futuro dei lavoratori della

conoscenza:

• Da una parte acquisiranno privilegi e potere e sostituiranno il ruolo del capitale;

• Dall’altra saranno indotti a una professionalizzazione e qualificazione crescente che

diventerà basilare per la nuova economia globale;

Secondo Sennett la figura che più prontamente potrà rispondere alle sfide dei mercati e

dell’economia attuali è incarnata dall’uomo artigiano. Un soggetto capace di restituire valore al

lavoro fatto con le mani o con la testa ma pur sempre con perizia artigianale.

Sennett teorizza il ritorno a una forma di lavoro in cui ideazione, progettazione ed esecuzione si

ricompongono nel profilo di un unico lavoratore. In altre parole l’homo artifex è alla ricerca del

lavoro fatto con arte, intelligenza, sapienza manuale e conoscenza.

Nell’immagine tradizionale del lavoro si compie una distinzione tra

• L’animal laborans: indica la persona che fatica, condannata alla routine;

• L’homo faber: indica l’uomo in quanto artefice/creatore;

Le due figure rappresentano le due dimensioni del lavoro umano: in una fabbrichiamo cose e siamo

talmente immersi nel compito da diventare amorali; nella seconda, oltre a

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
15 pagine
12 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/09 Sociologia dei processi economici e del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Dariozzolo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sistemi socio-economici e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Fontana Renato.