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Si creano catene di commesse e sub-commesse reticolari che possono comportare l’intervento di
numerose imprese, ciascuna delle quali è sottoposta al rischio di non vedersi rinnovare a breve
termine una determinata commessa o fornitura e per questo sviluppa un interesse a utilizzare la
maggior quota possibile di lavoratori discontinui.
È questa struttura reticolare, di rischi globali distribuiti, dove ciascuna impresa, piccola o grande
che sia, è sottoposta a pressioni incessanti da parte d’una cascata di altre imprese operanti in ogni
parte del mondo, ciò che motiva le imprese, siano esse piccole, medie o grandi, a richiedere una
maggior quantità di lavori flessibili tanto in termini di occupazione quanto in termini di prestazione.
I lavori flessibili sono visti con favore anche perché contribuiscono alla frammentazione delle classi
lavoratrici e delle loro forme associative. Quando esiste un turnover dei lavoratori è meno probabile
che essi possano creare un gruppo sociale coeso. Dalla situazione opposta nacquero i sindacati.
Nel primo comma della Dichiarazione di Filadelfia del 1944 era condensato il principio per cui il
lavoro non può essere considerato una merce, in quanto è un elemento integrale e integrante del
soggetto che lo presta, dell’identità della persona, dell’immagine di sé, del senso di autostima, della
posizione nella comunità, della sua vita familiare e futura.
A partire dalla metà degli anni Settanta ci fu una marcata inversione di tendenza. In quegli anni
tornò a prevalere il principio per cui, dopo tutto, il lavoro non è altro che una merce.
Tra la concezione del lavoro come merce, e quella che ad essa si oppone, le differenze sono
sostanziali:
• Ove si aderisca al principio per cui il lavoro non è una merce, si è portati a credere che
qualunque provvedimento modifichi le condizioni generali e particolari alle quali il lavoro
viene prestato, a cominciare da quelle contrattuali, incide direttamente e indirettamente su
tutti gli altri caratteri della persona.
• Nell’idea di lavoro come merce va annoverata precisamente la separabilità del lavoro dalla
persona. Se il lavoro è una merce, viene naturale pensare alla separazione del lavoro stesso
dalla persona del lavoratore e parlare d’un mercato dove la merce stessa viene scambiata e
venduta allo stesso titolo di ogni altra merce.
Il termine “precarietà” non connota la natura del singolo contratto atipico, bensì la condizione
sociale e umana.
La precarietà presenta vari aspetti:
• Il primo va visto nella limitata o nulla possibilità di formulare previsioni o progetti a lungo o
breve termine;
• Il secondo, legato al precedente, deriva dall’eccessiva esposizione a lavori flessibili;
• Un terzo aspetto va visto nel fatto che la maggior parte dei lavori flessibili non consente di
accumulare alcuna significativa esperienza professionale, trasferibile con successo da un
datore di lavoro all’altro.
Nel 1999 si svolse a Ginevra l’assemblea annuale dell’Organizzazione, in cui venivano delineate
sette forme base di sicurezza che definiscono un lavoro decente o dignitoso:
• Sicurezza dell’occupazione;
• Sicurezza professionale;