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La creatività humboldtiana o di "langage". Humboldt parla di "creazione linguistica", si tratta del
3. legame creativo che esiste per ogni lingua con la nazione e la particolare epoca storica con cui si
distingue e articola la storia umana. Le lingue hanno ciascuna una fisionomia individuale e la mente
degli esseri umani è in grado di dominarle tutte. La capacità di dominio di lingue diverse è la "creatività"
nel senso humboldtiano
La creatività degli psicopedagogisti. La creatività come capacità di risolvere un problema modificandone
4. i termini o modificando le abituali regole usate per risolvere analoghi problemi. La creatività come
capacità di porsi fuori dalle regole stabilite, di cambiare i dati del problema per risolverlo.
La creatività dei logici. Un logico ha introdotto il criterio di non-creatività. Perché tutte le proposizioni
5. previste da un calcolo siano definibili e calcolabili, in esse non devono figurare termini nuovi, imprevisti.
Soltanto a condizione di essere non-creativo un sistema, un codice, è un calcolo in senso rigoroso. Se
esso invece è creativo allora esso non è un calcolo.
Queste 5 definizioni si possono ridurre a una nozione fondamentale unica di creatività, intesa come
disponibilità alla variazione delle forme di un sistema o di un codice semiologico, insita negli utenti del
sistema o codice e riconoscibile come proprietà del sistema o codice stesso.
7. L'albero di Porfirio e la tipologia semantica dei codici semiologici
La classificazione dei codici sotto il profilo semantico assume, in forza dei quattro criteri, la forma logica
nota come "albero di Porfirio".
L'albero di Porfirio è uno schema o modello di definizione dei rapporti tra classi di vario ordine fatta per
dicotomie. CAP 3 - LA SEMANTICA DEI LINGUAGGI NON VERBALI
Spie, cifre, alfabeti: linguaggi a sensi globali, non articolati
1.
Nella scala di complessità semantica e sintattica delle famiglie di codici, i codici semiologici del tutto privi
di segni articolati sono i più semplici.
Molto spesso la realizzazione di un significante consiste in uno stato di quiete: non si accende una luce, non
squilla il campanello. Ciò induce l'osservatore a credere che si sia in presenza di codici a un solo segno. Non
è così, ad esempio le spie hanno due stati, due significanti e significati: luce spenta, luce accesa.
I codici a due segni hanno tutti la stessa caratteristica di semplicità semantico-sintattica. Appartengono alla
stessa famiglia molti altri codici che prevedono anche più di due segni: tre come i semafori stradali a tre luci,
quattro come i semi nei giochi di carte.
Una sezione particolare è rappresentata dai codici semiologici seriali. Un esempio tipico è quello dei dodici
segni dello zodiaco: ciascun significante identifica una classe di giorni dell'anno e di nati in quei giorni. I
segni si susseguono in un ordine preciso. Le classi sono ordinate in una successione e ciascun senso non è
solo collocato nell'insieme di cui è parte, ma, attraverso l'insieme, è collocato in rapporto alla serie completa.
Anche le lettere dell'alfabeto sono ordinate in una certa successione fissa.
Ogni segno può avere più di un significato, più di una "accezione".
Per esempio nella cifrazione in base dieci, le cifre ordinate possono considerarsi dei segni ordinati in serie:
"2" ha un significato che è rappresentabile come "quantità due" e "entità al secondo posto di una serie".
Una prima conseguenza è che il valore semantico di un segno non dipende solamente dal segno stesso ma
dalla posizione che questo occupa nell'insieme di segni in cui è inserito. Saussure parla di "rapporti
associativi" (in seguito detti "paradigmatici").
Le caratteristiche di questo tipo più semplice di codici:
- i segni sono inarticolati. Nel significante /rosso/ dei semafori non c'è niente che permetta di riconoscere
che esso è correlato al significato "alt, stop". Dobbiamo saperlo prima, comprendiamo il significato di un
segno se lo conosciamo già. I significanti non si distinguono in parti ciascuna portatrice di una parte del
significato complessivo ma l'intero significante è portatore dell'intero significato.
- i segni sono di numero finito. Due, per lo meno, oppure, come si è visto, tre, quattro, dieci ecc. Possono
arrivare anche a essere migliaia, si tratta comunque di numeri finiti.
- il rapporto tra sensi e significati è esclusivo. Non è ammesso che un senso possa essere veicolato da più
segni. Non c'è sinonimia.
- i significati una volta dati per un certo codice non mutano.
Una lingua è abbastanza evidentemente lontana da questo tipo di codici. Le sue frasi sono articolate e
articolati sono i suoi vocaboli stessi e vi è la sinonimia. In complesso, una lingua non offre quelle garanzie di
uso certo, automatico, caratteristiche di questo tipo di codici.
2. Cataloghi, carte da gioco, simbologie: linguaggi a sensi articolati e significati finiti
I semafori stradali a cinque luci sono esempi di codici semiologici a segni che possono essere articolati. Ai
tre segnalatori centrali a disco di luce rossa, gialla, verde, si aggiungono i segnalatori laterali. I significati
sono articolati in "alt per tutti tranne per chi svolta a destra" ecc
I segni non sono articolati in parti ma il significante è composito.
Uno stesso senso può essere decomposto in aspetti distinti per ciascuno dei quali esso entra a far parte d'un
sottoinsieme speciale di sensi. Il fante di cuori appartiene alla serie dei fanti e in quanto tale alla serie delle
figure; e appartiene alla serie dei cuori e in quanto tale dei semi di colore rosso.
Il senso, in tali codici, se appartiene a una classe non appartiene a nessun'altra. Ogni sinonimia è esclusa.
3. Cifrazioni e scritture alfabetiche: linguaggi a significati articolati e infiniti
I raggruppamenti di lettere del nostro alfabeto, i raggruppamenti di parole in frasi, le cifrazioni, sono esempi
di insiemi potenzialmente infiniti.
I monemi nei quali si articola il segno non hanno valori semantici stabili indipendentemente dal contesto. Vi
opera il principio della "posizionalità": il significato di un segnale non dipende solo ed esclusivamente dal
segnale stesso ma lo si deve ricavare dal contesto in sui quello è inserito. Si devono, quindi, svolgere una
serie di operazioni sul segno con il fine di estrapolare il suo significato. A questa sequenza di operazioni che
portano dal segno all'assegnazione di significato si da il nome di "struttura profonda". La diversità di
struttura profonda può portare a una diversa lettura della stessa struttura superficiale. Ad esempio un segno
come "1101", nella cifrazioni araba in base dieci lo leggiamo "millecentouno" ma nella struttura profonda
della cifrazione in base due avremo "tredici".
4. I calcoli e i linguaggi formali: linguaggi a infiniti segni sinonimi calcolabili
Sono tali i linguaggi che prevedono segni articolati di numero infinito. In essi può accadere che un senso sia
veicolato da più di un segno, c'è sinonimia.
Un esempio sono i calcoli: "sette" si può rappresentare come "6+1" o "5+2".
Chiamiamo calcoli quei codici semiologici in cui il passaggio da un sinonimo a un altro non è regolato da
una convezione ma è regolato da un numero definito di regole.
Affinché un calcolo possa essere considerato tale sono necessari due condizioni o postulati. Un primo
postulato è quello della "non-creatività" dell'insieme di regole e di unità minime con cui opera il calcolo. Un
secondo postulato è quello della "connessità sintattica": un segno deve essere costruito in modo da
denunziare formalmente la sua compiutezza, la sua buona connessione con gli altri segni e le loro
articolazioni. Possiamo riformulare i due postulati dicendo che in un calcolo non devono darsi oscillazioni né
nei paradigmi né nei sintagmi.
Si è cercato di assimilare la lingua ad un calcolo.
4. LA SEMANTICA DEL LINGUAGGIO VERBALE
Calcolo e linguaggio verbale
1.
Dobbiamo a Chomsky e a studiosi che a lui si ispirano lo sviluppo del paragone tra linguaggio e aritmetica.
La lingua ha non pochi caratteri in comune con quei codici definiti calcoli:
- i segni linguistici, le frasi, risultano articolati in monemi
- il valore della presenza di un monema può risultare dalla collocazione del monema nella serie
paradigmatica cui appartiene, rapportata, secondo il posto che ha, alla struttura profonda del segno
- dato un insieme di unità di base è possibile generare un numero infinito di frasi applicando un numero
chiuso di regole di formazione
- come nei calcoli, tra frasi diverse possono stabilirsi rapporti di sinonimia
Questi caratteri sono tali da giustificare la spinta secolare a considerare le lingue come calcoli. Perché una
lingua sia un calcolo, però, dobbiamo riscontrare in essa le condizioni necessarie al costituirsi di un calcolo:
la non-creatività, la connessità sintattica e l'effettività dei procedimenti di formazione delle proposizioni o
operazioni.
Vi sono parecchi aspetti di ogni lingua, veri e propri "universali linguistici" che impediscono di attribuire alle
lingue i tre requisiti e dunque di considerare le lingue dei calcoli:
- Oscillazione individuale e collettiva del vocabolario. Le conoscenze lessicali degli utenti di una lingua
oscillano tra le poche migliaia di lessemi e le molte decine di migliaia. L'obsolescenza, la progressiva
uscita dall'uso e dalla memoria d'un vocabolo e il neologismo contraddicono alla non-creatività del
vocabolario.
- Coesistenza di espressioni agglutinate e sintagmi omonimi deaglutinati. Le lingue sono ricche di esempi
di sequenze monematiche omonime, per es. rifiutare o vedere rosso, interpretabili sia come sintagmi il cui
valore risulta dalla disposizione dei monemi sia come agglutinazioni che globalmente assumono un
significato unitario
- Contraddittorietà interna alla stessa proposizione e tra proposizioni diverse. Una lingua ammette più tipi
di enunziati contraddittori. Possono essere antonimi i predicati di uno stesso soggetto (odi et amo) e tale
tipo di contraddittorietà è una figura retorica detta antanaclasi. O una proposizione è tale da risultare
contraddittoria: io mento; la presente asserzione è falsa. O perché ogni possibile frase è realizzabile o
interpretabile in senso ironico.
- Autonimia e riflessività. I segni linguistici possono sempre nominarsi, descriversi, analizzarsi sotto
l'aspetto del