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Frontalità e profilo come forme simboliche

Nelle raffigurazione spesso forma e significato sono strettamente legate. Certe forme non sono solo

scelte estetiche ma attributi dell'oggetto raffigurato. La frontalità, la simmetria, la centralità di Mosè

nelle raffigurazione viste sono esempi che appartengono alla vita non meno che all'arte: sono tratti

del rituale e nel rituale ogni particolare è segno. Così l'artista per mostrare la gerarchia ecclesiastica

in questo caso usa alcuni espedienti come quelli sopra elencati. Le differenze di rango sono espresse

attraverso la collocazione, l'altezza, le dimensioni, la posa e lo sguardo. A partire dalla tarda

antichità e fino al Medioevo una forma standard era costituita dal volta a tre quarti: esso combinava

aspetti della piena frontalità e del profilo. Il volto di profilo è distaccato dall'osservatore (come una

terza persona) e appartiene a un altro spazio condiviso con altri profili. Mentre il viso frontale parla

in prima persona ed è adatto ad una figura simbolica o che comunque porta un messaggio. Inoltre

gli occhi che ci fronteggiano trattengono il nostro sguardo e sembrano seguirci mentre ci spostiamo.

(Nelle figure prive di pupille, come alcune statue, c'è una perdita della soggettività).

Torniamo all'episodio di Mosè, dapprime rappresentato frontalmente, per sottolineare il contnuto

simbolico, poi di profilo come gli altri ”attori”. Nelle due miniature di Bodleian il contrasto

frontalità/profilo distingue un evento passato da una funzione liturgica ricorrente. Nella Bibbia

Moralizzata queste due tendenze rispondo rispettivamente a tendenze più antiche e più nuove.

Il profilo, generalmente, si accorda con il concreto, con l'azione; nell'arte più antica la frontalità è

veicolo del sacro e del trascendente, riguarda quello che abbiamo chiamato tema statico nell'arte

medievale, applicato non solo alle teofanie ma anche alle personalità regali.

Un altro esempio può essere il cambiamento nell'interpretazione dell'episodio di Daniele nella fossa

dei leoni solitamente raffigurato attraverso la frontalità dell'uomo in preghiera accanto a due leoni

(uno schema simmetrico). Lo stesso soggetto illustrato da un pittore naturalista nel XI secolo non

ritrova lo schema solito: mostra Daniele di profilo con le braccia levate per ricevere il cibo da

Abacuc sopra di lui. Il gesto di preghiera è ambiguo: Daniele è di lato entro uno spazio murato con

sette leoni di profilo tutti uguali. La nuova raffigurazione è legato a una nuova e più letterale lettura

dell'episodio biblico. Quindi c'è una nuova comprensione del testo ma anche nuove norme di

raffigurazione.

In generale profilo e frontalità sono associati a opposte qualità di dimensione, atteggiamento,

costume, collocazione e fisionomia: il dualismo tra frontalità e profilo può significare la distinzione

tra bene e male, sacro e profano, celeste e mondano, nobile e plebeo o personaggio vero e

immaginario.

Negli antichi rilievi e dipinti egiziani, la testa di profilo costituisce la norma, mentre la piena

frontalità che non è testa ma volto, è attribuita a danzatori, musicisti e ai morti.

In Grecia il feticcio di un dio è rappresentato frontalmente proprio perchè feticcio; infatti il più delle

volte il personaggio presentato frontalmente è passivo, soggetto a condizionamenti, uno che si ritira

dall'azione; la frontalità è anche attributo del demoniaco, delle Gorgoni.

In certi manoscritti arabi medievali, il profilo è riservato alla figura più nobile, mentre l'altra era

vista di tre quarti. Nell'arte medievale europea nell'Ultima Cena il profilo è riservato a Giuda,

mentre Cristo e gli apostoli appaiono di fronte. Anche Satana può comparire in stretta frontalità in

quanto capo dei suoi sudditi. In uno stesso stile possono esistere quindi due sensi di una stessa

veduta. Dal punto di vista estetico forse è il profilo, incompleto, spezzato a impersonare meglio il

demoniaco, l'inferiore.

SI potrebbe ottenere un'espressione potente di significati polarizzati anche contrapponendo l'un

l'altro due profili dai tratti opposti. Così Giotto, raffigurando il Tradimento di Giuda, ha usato un

intenso confronto tra due profili diversi che interagiscono con grande forza. Nel dipinto tutte le

figure si volgono verso il centro e rafforzano gli sguardi dei due personaggi, mentre Pietro e Malco

ripropongono l'opposizione tra Cristo e Giuda, tra i quali compare un volto di fronte, un segmento

che crea una successione di tratti umani, come una testa che ruota passando dal profilo rozzo di

Giuda a quello nobile di Cristo. L'immagine è carica di interiorità, convivo l'io e il tu negli sguardi

dei due che guardandosi negli occhi rivelano le proprie anime

Capitolo quarto

Scritte in pittura: la semiotica del linguaggio visivo

L’arte medievale è arte del libro perché tutti suoi soggetti si fondano su testi sacri e perché il

manoscritto sacro, con la sua importanza suprema nel culto e nel pensiero religioso è diventato

oggetto e campo artistico. Illustrare un libro implica un problema di fondo: come integrare lo

scritto, i segni visivi sulla superficie più libera dello spazio quadro.

L’immagine, oltre all’etichetta che spiega il soggetto, può da sempre includere scritte. A volte il

parlato viene raffigurato in maniera ingenua come parole che escono dalla bocca di una persona

oppure, come accade in certe illustrazione ma anche sculture medievali, le figure reggono dei rotoli

sui quali sono scritte le parole (il dialogo viene reso come una lotta virtuale di rotoli). Quando in

un’immagine si introduce la parola, questa può causare anomalie per la percezione del fruitore. Per

il gusto classico, sin nel Rinascimento e nella tarda antichità quell’inserzione della parola scritta nei

dipinti era avvertita come bizzarra. Per il Rinascimento più tardo scrittura e pittura non possono

coesistere in quanto sequenza di segni arbitrari l’uno e di segni mimetici l’altra.

La necessità di rendere lo scritto parte dello spazio tridimensionale del quadro è evidente nella

firma. Courbet ne Il mare sovrappone la sua firma alla sabbia e alle acqua circostanti, ma le lettere

si collocano sulla superficie della tela piuttosto che nella proiezione tridimensionale dello spazio

naturale. I tocchi scuri del nome dell’artista entrano in rapporto con lo scuro della barca a destra

sulla linea dell’orizzonte: indipendentemente dal grado di integrazione, accettiamo la firma

nell’oceano come convenzione nonostante violi la coerenza del quadro. Homer in Volpe a caccia,

inserisce il proprio nome in un solco diagonale dipinto nella neve: il nome è progettato per

accordarsi con un altro elemento dello spazio, la lunga coda della lettera R somiglia a quella della

volpe. Ne Il pifferaio, Manet ha firmato in diagonale: con il suo asse inclinato essa rafforza la

scarpa, la sua ombra e la striscia scura del pantalone. In un’altra opera Il ritratto di Emile Zola

Manet ha usato l’espediente di collocare il nome dell’artista su un oggetto distinto, in questo caso il

libero scritto da Zola proprio in difesa del pittore, il cui nome è in parte coperto da una penna d’oca:

qui il nome può prendere parte senza ambiguità alla scena ordinata dello spazio pittorico.

Nell’arte paleocristiana l’artista aveva spesso il compito di ritrarre i quattro evangelisti nei Vangeli

o nelle pareti delle chiese accompagnati dal simbolo che li era proprio o dal proprio libro sul quale

poteva leggersi il suo nome o i suoi versi. Nel mosaico di San Marco a San Vitale di Ravenna nel

libro si leggono le parole SECUNDUM MARCUM: le lettere sono così grandi da riempire le

pagine esibite verso lo spettatore. Nel libro di Matteo la scrittura è illeggibile e più piccola di quello

di Marco; inoltre le pagine sono volte verso l’autore-scrivano. Anche nell’immagine di Giovanni le

parole sono scritte così grandi da coprire le pagine intere e il punto di vista è quello interno, allo

spettatore le parole appaiono capovolte. La scrittura capovolta, non classica, era già nota all’arte

pagana (Virgilio seduto tra due muse). Nell’arte classica, il capovolgimenti risponde al

“naturalismo”, all’oggettività della resa: il punto di vista è interno, è di chi legge o scrive.

Questo diverso modo di rappresentare l’autore con il suo testo riappare in un Vangelo greco del X

secolo proveniente da Monte Athos: San Luca ha davanti a sé un modello-rotolo da cui copia il

testo. Nel modello la scrittura è segno corsivo illeggibile (magari rappresenta le antiche scritture

consultate da San Luca e allora l’aspetto distante e illeggibile corrisponde a distanza cronologica)

mentre il testo copiato in grembo al santo si compone di grandi unciali volti verso l’autore-scrivano

e troppo grandi per la pagina (è una raffigurazione delle prime parole del suo Vangelo in cui dici di

voler narrare le cose apprese dagli antichi testi). Ma le forme illeggibili possono anche rimandare

alla scrittura ebraica. I modi di rendere la scrittura coesistono nonostante la tendenza di ogni scuola

verso un modello. San Giovanni, in un manoscritto della Morgan Library, tiene un rotolo in cui le

parole sono perpendicolare al margine corto: le parole diventano macchie che compaiono sulla

pergamena, ma che rimandano alla scrittura come finestre rese come macchie su un lontano edificio

di un quadro impressionista. In un manoscritto dei Vangeli alla Biblioteca di Stoccolma,

l’evangelista Matteo tiene un cartiglio con le parole scritte distintamente ma capovolte: le si legge

da sinistra a destra all’ingiù seguendo la curvatura; è chiaro che si adattano al punto di vista di

Matteo. All’estremo opposto troviamo la prassi medievale di esporre i due fogli del libro aperti, di

fronte all’osservatore: l’evangelista ci scrive a grandi lettere le parole del suo Vangelo. Gli assi di

scrittura sono qui determinati dal punto di vista di chi legge. Le lineette nere in questo caso

somigliano ad altre piccole unità del quadro: la scala della scrittura è come quella

dell’ornamentazione e delle pieghe delle vesti e perfino dei tratti facciali disegnati sullo stesso

foglio. La domanda di chiarezza in quest’arte arcaica sembra però mettere in risalto lo scritto come

pregiato di per sé, veicolo di un messaggio che si può leggere isolato da tutto il resto anche se in

questo caso sembra essere integrato.

Altro tratto caratteristico dell’arte medievale è che nessuna parola è incompleta: nonostante la mano

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
9 pagine
14 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/04 Museologia e critica artistica e del restauro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gtafuro di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Semiotica delle arti e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Corrain Lucia.