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I GRUPPI SOCIALI E I PROCESSI DI GRUPPO
Sebbene non vi siano definizioni universali, in generale si accetta che i gruppi sociali siano detti come un
insieme di 2 o più persone, che interagiscono reciprocamente ed in maniera interdipendente spinti dai
proprio obiettivi e bisogni ad affidarsi l’uno all’altro e a influenzarsi reciprocamente.
I gruppi rappresentano veri e propri raggruppamenti cognitivi di individui, sono categorie sociali.
Le ragioni per le quali ci si riunisce in gruppo sono diverse. 3 sono però le prospettive principali:
La prospettiva sociobiologica motiva l’esistenza dei gruppi con il fatto che nell’uomo appare innato
il bisogno di vivere assieme agli altri. In ogni cultura e ad ogni latitudine, l’uomo ha infatti sempre
coltivato questo genere di relazione, oltre che per scopi affettivi ed emozionali, anche per la sua
stessa sopravvivenza e per ragioni di cura reciproca, utilizzando l’appartenenza in gruppo anche
come metro per comprendere la sua accettazione presso gli altri e per fini di autoregolazione;
La prospettiva cognitiva vede il gruppo come elemento per comprendere chi siamo, nei processi di
formazione e mantenimento dell’identità e di categorizzazione.
Questi processi implicano l’inserimento dell’uomo in “caselle” spesso non modificabili (quali ad es.
famiglia di provenienza, nazionalità, etc.), che spingono i soggetti alla lealtà verso il loro gruppo, e
pongono differenze anche con gli altri, i membri di gruppi non propri, degli outgroup, verso i quali
spesso è presente un’ostilità funzionale alla differenziazione e alla individualizzazione di sé.
A proposito di ciò, il paradigma del gruppo minimo è molto esplicativo in questo, e prova proprio
l’esistenza di un trattamento di favore verso gli altri membri dell’ingroup (ingroup bias) e di
avversione verso quelli dell’outgroup, sebbene si parli di persone che non si conoscono tra loro.
Relativamente a questa prospettiva, sono state inoltre formulate diverse teorie che spiegano
l’appartenenza ad un gruppo. Tra queste, la teoria della riduzione dell’incertezza di Hogg, che pone
maggiore attenzione sulla riduzione delle incertezze come causa dell’identificazione in gruppo,
definendo la realtà condivisa come rassicurante, e quella dell’autocategorizzazione di Turner, che
sostiene che i livelli di inclusività (da individuali a sociali) in un gruppo dipendono dai contesti, e in
particolare dall’accessibilità (attivazione) e dall’adeguatezza della categorizzazione richiamata.
Ultima ma non per importanza, in tema, la teoria della distintività ottimale di Brewer, per la quale il
gruppo risponde a due bisogni dell’uomo: distinguersi dagli altri e, appunto, appartenere ad una
realtà collettiva in cui esprimersi e di cui fruire.
La prospettiva utilitaristica, aldilà dell’alta accademia, spinge a considerare il gruppo utile per lo
scambio di beni, siano essi materiali, che immateriali. Fin quando i benefici superano i costi, le
relazioni portano profitto, e per questo esse saranno continuamente scelte.
STRUTTRA E PROCESSI INTRAGRUPPO
L’adesione ad un gruppo è un processo tutt’altro che banale. Gli studi dimostrano che le persone
difficilmente sono disposte ad includere uno sconosciuto in un gruppo (effetto sovraesclusione gruppo), e
che l’ingresso in un gruppo è reso più difficile se il gruppo in questione è già densamente popolato.
Il membro prototipico, quello più facilmente accettato da un gruppo, è senz’altro il candidato che dimostra
di essere sia molto simile agli altri membri del gruppo cui si candida, sia molto diverso dai membri degli altri
gruppi “concorrenti”. Alla sua figura si contrappone invece il deviante, ossia il membro del gruppo che si
discosta dalla norma, e minaccia l’ordine precostituito; il deviante è spesso valutato peggio dei membri
dell’outgroup (effetto pecora nera), e costituisce il centro dell’attenzione per gli altri membri che, prima di
escluderlo, di norma provano a convertirlo nuovamente alle posizioni di massa all’interno della categoria.
Secondo Moreland e Levine 5 sono le fasi che costituiscono il percorso di appartenenza ad un gruppo:
L’esame accurato, contraddistinto da un reciproco esaminarsi a vicenda con eventuali primi passi;
La socializzazione, ossia l’apprendimento delle nuove norme, dei ruoli e delle informazioni del
gruppo in cui si è appena entrati, che è comunque suscettibile al cambiamento promosso dai nuovi;
Il mantenimento, ossia il passaggio allo stato di “membro effettivo”, per il quale si dà il meglio di sé;
La risocializzazione, cioè il tentativo di persuasione e di riconversione rivolto al membro marginale;
Il ricordo, consistente nella rivalutazione vicendevole di gruppo-ex membro in chiave retrospettiva;
Ciò detto, all’interno del gruppo è bene anche scorgere la presenza di ruoli per ciascun membro: essi
mettono ordine e prevedibilità nella categoria sociale, e dividono i compiti per efficientare le prestazioni,
costituendo il primo passo per la creazione di un gruppo ideale, il quale gode delle proprietà di omogeneità
e diversificazione contemporaneamente: omogeneità come comune appartenenza, senza però dover
significare appiattimento ed eccessiva omologazione (della quale spesso è tacciata l’outgroup, dal punto di
vista negativizzante dell’ingroup) e diversificazione come processo che rende complementari i membri del
gruppo, così resi a completarsi e coordinarsi tra loro.
LE PRESTAZIONI DI GRUPPO
Le prestazioni dei singoli sono notevolmente influenzate dal di loro raggruppamento in categoria sociale,
come ben trattato a proposito dell’influenza sociale e dei fenomeni di facilitazione ed inibizione.
Ciò detto, è importante sottolineare che 2 sono i requisiti per assicurare buone prestazioni di gruppo:
- Congruenza tra definizione di sé e contesto con le richieste specifiche della situazione
- Congruenza tra competenze acquisite, quelle altrui e quelle richieste dal compito
Bisogna, insomma, essere le persone giuste per la situazione giusta, sia come singoli che come gruppo.
Oltretutto, le performance sono da valutare con attenzione, distinguendo quelle effettive dalle potenziali.
Richiamando un principio Gestaltico, “l’intero non è la somma delle sue parti”, e dunque la prestazione
effettiva non può essere calcolata come la somma delle prestazioni dei singoli.
Tra esse, passano infatti perdite e guadagni di processo anche importanti, dovute a efficiente o inefficiente
coordinazione, alla motivazione in gioco, all’ampliamento o restringimento delle capacità individuali.
Per stimare le prestazioni effettive, è bene distinguere il tipo di prestazione operata. Esse possono essere di
tipo additivo (es. tiro alla fune), disgiunto (es. problem solving, calcolo matematico), ossia risolvibili
mediante una scelta tra i vari modi possibili, e congiunto (es. staffetta, scalata), cioè richiedenti la
condizione per la quale tutti devono portare a termine il compito, con il peggiore a dare il “passo”.
I PROCESSI DECISIONALI
Non tutti i processi implicano il dover portare a termine un compito, ma possono anche consistere
semplicemente in alcune scelte da fare.
Per questo genere di compiti, spesso i gruppi sono peggiori dei singoli, poiché soggetti a diverse motivazioni
che così Janis ha fruttuosamente indicato e catalogato. Esse sono:
Eccessiva coesione Poco tempo a disposizione
Influenze esterne inascoltate Eccessive aspettative
Omogeneità ideologica Pressioni dall’esterno
Eccessiva ricerca del consenso integruppo
Sono cause di errori antecedenti al processo di groupthink fenomeni come l’alta coesione, l’isolamento del
gruppo, la presenza di un leader troppo influente, l’altro stress e le procedure scelte insufficienti.
Sono cause di errori sintomatiche del processo di groupthink l’illusione di invulnerabilità, l’illusione di
unanimità, la visione stereotipica dell’outgroup, l’autocensura, la pressione diretta sui dissidenti perché si
conformino alla maggioranza.
Sono conseguenze del groupthink, ancora, la rassegna incompleta delle alternative in ballo, la sottostima
dei rischi, l’insufficiente ricerca di informazioni esterne, il mancato sviluppo di piani contingenti.
Appare ovvio che per questi numerosi motivi le scelte di gruppo siano da svolgersi in maniera molto cauta.
LA POLARIZZAZIONE
Nei gruppi, non è difficile osservare - come ci insegnano Moscovici e Zavalloni - che i soggetti talvolta
tendono ad accentuare i loro atteggiamenti. Questo fenomeno prende il nome di polarizzazione.
La polarizzazione è spesso, più che altro, un processo di normalizzazione, ossia di adeguamento alle norme
e dinamiche di gruppo, rafforzato proprio dallo stare in gruppo, e ha diverse prospettive di spiegazione:
- Argomentazioni persuasive: le opinioni prevalenti persuadono;
- Confronto sociale: nell’argomentare, ognuno vuole aderire quanto più possibile alle norme sociali,
“calcando” la sua posizione;
- Categorizzazione: tendenza a minimizzare le differenze nell’ingroup, e a massimizzare quelle
dell’outgroup;
- Integrazione: ritenere valido sia il meccanismo di argomentazioni persuasive (specie se c’è un
compito da eseguire), sia quello di confronto sociale (se vi sono, ad esempio, norme chiare);
LE RELAZIONI INTEGRUPPI
Le relazioni intergruppo sono quelle relazioni che prendono vita dal confronto tra un ingroup e un
outgroup, e che ci coinvolgono quindi quando la salienza per la nostra categoria sociale diventa per noi alta.
I gruppi non sono tutti uguali, e possiedono delle gerarchie di cui le relazioni risentono fortemente.
I gruppi dominanti sono costituiti da membri che si comportano come liberi, autodeterminati, in grado di
scegliersi il proprio destino; quelli subordinati sono invece costituiti da persone appartenenti a specifiche
categorie, con appartenenza al gruppo saliente, tendenza all’omologazione e poche differenze.
Secondo Jost, per la teoria di giustificazione del sistema, i gruppi subordinati non favoriscono gli ingroup,
ma gli outgroup perché sentono la loro subordinazione e, per mantenere l’ordine precostituito,
preferiscono lasciare le gerarchie per come sono, ed agire secondo esse.
Ciò influenza molto le relazioni, e rappresenta una grande eccezione ai meccanismi ingroup-outgroup.
IL PREGIUDIZIO
Il pregiudizio è un processo che porta ad attribuire ad una persona tratti e caratteristiche ritenute tipiche
del suo gruppo di appartenenza, non tenendo conto delle sue caratteristiche individuali.
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