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DIFFUSIONE DELLA TEORIA DELLA FORMA:
La teoria della forma suscitò fin dalle sue prime formulazioni concettuali e dai suoi primi risultati sperimentali
reazioni o eccessivamente entusiastiche o estremamente critiche.
Si criticava la pretesa di aver rivoluzionato lo scenario della psicologia dell’epoca, con l’introduzione di un
concetto, una chiave universale per disvelare tutti i problemi della psicologia: il concetto di Gestalt.
La teoria gestaltista penetrò comunque nella psicologia contemporanea europea ed americana,
orientandone le ricerche in una direzione che risentiva delle notevoli innovazioni introdotte da tali teorie.
La prospettiva gestaltista fu assimilata dagli psicologi americani senza continuare ad essere una corrente
teorica autonoma; divenne un riferimento teorico essenziale che minò alcuni presupposti fondamentali del
comportamentismo, fino al punto di favorirne la crisi nei primi anni ’60.
Con lo sviluppo del cognitivismo il ruolo giocato dalla teoria della forma in questo processo divenne sempre
più evidente.
Dalla fine degli anni ’70 si è assistito ad una rinascita di studi sulla teoria della forma sia dal punto di vista
storico che da quello dell’impiego dei suoi principi nel campo delle ricerche di psicologia cognitiva.
Certamente il punto di maggiore attrito fu nell’incontro fra la teoria della forma e il comportamentismo.
ATTUALITÀ DELLA TEORIA DELLA FORMA:
Oggi molti concetti che gli psicologi della Gestalt proposero ai primi di questo secolo appaiono integrati nelle
moderne concezioni della percezione, dell’apprendimento e del pensiero. Attualmente, molte ricerche
continuano ad essere dedicate ai fenomeni psichici trattati dai gestaltisti.
Alcune linee-guida che conservano rilevanza per la ricerca contemporanea sono: il metodo fenomenologico,
l’antiatomismo, l’antiassociazionismo e l’antiempirismo, il concetto di pregnanza, i concetti di isomorfismo e
campo.
CAPITOLO 3: LA PROSPETTIVA PSICODINAMICA E LA PSICOANALISI:
3.1) INTRODUZIONE:
Alla fine dell’800 si diffuse l’uso dell’aggettivo “ dinamico ” in psichiatria per qualificare fenomeni non
riconducibili a malattie organiche del sistema nervoso, ma considerati disturbi nervosi funzionali e
momentanei o disturbi propriamente psichici.
Questa fu la premessa storica della prospettiva psicodinamica in psicologia.
La stessa psicoanalisi fu un tentativo di fondazione di una teoria psicologica che ponesse l’accento più sugli
aspetti dinamici che su quelli strutturali.
Ciò che caratterizzò la psicoanalisi rispetto alle altre teorie psicodinamiche fu da una parte il forte risalto dato
alle forze inconsce nella dinamica psichica, dall’altra l’imprescindibilità del rapporto interpersonale analista –
paziente per la fondazione e lo sviluppo della teoria stessa.
La prospettiva psicodinamica ha proposto una concezione dei processi psichici per la quale essi sono
causati e regolati da sistemi che la psicologia può soltanto indagare, non essendo riducibili a meccanismi
biologici e processi fisiologici. Fondamentale è la profonda evoluzione teorica che in psicoanalisi si attuò col
passaggio dal concetto biologico di istinto a quello psicologico di pulsione.
Altrettanto significativa fu la centralità che assunse il concetto di personalità come unità di analisi che ingloba
e trascende i processi cognitivi e dinamici di per sé: la personalità si pone come un sistema integrato non
riducibile.
La prima teoria sistematica della psicopatologia in una prospettiva psicodinamica fu quella di Pierre Janet ,
che sintetizzò i tentativi analoghi di altri neurologi e psichiatri della seconda metà dell’Ottocento.
Con Janet fu realizzata una psicopatologia autonoma.
La psicoanalisi, fondata da Freud, si presentò come una nuova teoria psicologica e una nuova tecnica terapeutica.
E’ stata definita dal suo stesso fondatore “una psicologia del profondo”.
La psicoanalisi si articolò presto in un movimento psicoanalitico ortodosso e in una serie di secessioni, tra cui
acquisirono la maggior rilevanza teorica e clinica la “psicologia analitica” di Jung e la “psicologia individuale” di Adler .
Una originale formulazione psicodinamica dei processi psichici umani normali e patologici (la psicologia fenomenologica)
fu quella di Jaspers e Binswanger.
Infine, nella varie teorie psicodinamiche della personalità elaborate nel primo Novecento ci fu il tentativo di sviluppare
una concezione dinamica del comportamento, non riconducibile a psicoanalisi o comportamentismo. §
La prima teoria che ha tenuto conto degli aspetti del comportamento sottovalutati da entrambi fu quella di Stern , nota
come “personalismo”.
3.2) DALLA CONCEZIONE ORGANICISTICA ALLA CONCEZIONE PSICODINAMICA DELLA MALATTIA
MENTALE:
Nella psichiatria tra ‘700 e ‘800 si era posto il problema della specificità della malattia mentale, tentando di
classificare i vari tipi di malattie mentali e di ricercare le cause per ciascuna di esse.
La prima “ psichiatria dinamica ” aveva concettualizzato la nozione di genesi psichica di una vasta gamma di
fenomeni psichici normali e patologici.
Nella seconda metà del secolo in Germania si sviluppò una nuova psichiatria, la “ psichiatria ufficiale ”
, che
divenne il riferimento teorico di tutta la letteratura e la pratica clinica dell’epoca in relazione alle malattie
mentali su due punti essenziali:
1) la riduzione della malattia mentale a malattia organica;
2) la classificazione sistematica delle malattie mentali.
Il principale esponente della psichiatria organicistica fu Griesinger, autore della frase “le malattie mentali
sono malattie cerebrali”.
Kraepelin riteneva che la malattia mentale fosse un fenomeno naturale da descrivere, classificare e
ricondurre alle sue origini organiche. Kraepelin aveva assimilato una psicologia interessata ai processi
sensoriali, ed escludeva l’indagine delle componenti affettive della vita psichica.
Ma la rigida concezione deterministica del sintomo psicologico non reggeva di fronte all’evidenza clinica di
sintomatologie simili ma con cause differenti e viceversa.
Alla fine dell’Ottocento vari psichiatri misero in risalto alcuni aspetti: non è possibile risalire dal disturbo
mentale alla causa; molti disturbi mentali sono connessi a cause puramente psicologiche; infine vi era la
costante attenzione per il paziente nella sua concretezza di essere umano.
Le due scuole più importanti di questa impostazione psicodinamica negli ultimi due decenni del secolo
furono la scuola di Nancy (Bernheim) e quella di Salpetrière a Parigi, fondata da Charcot.
Entrambe le scuole influenzarono Freud. Tuttavia, se in Charcot permaneva l’idea di una base fisiologica
dell’ipnosi, Bernheim aveva una concezione psicodinamica dei fenomeni ipnotici all’interno della categoria
della suggestione. Quindi, si profilava una prospettiva psicodinamica basata sulla nozione di genesi
psicologica di malattia mentale e sull’intervento psicoterapeutico.
La malattia mentale trovava la propria strada terapeutica in una relazione interpersonale perché proprio un
rapporto interpersonale “patogeno” era stato la causa della malattia stessa.
La prospettiva dinamica si legava alla psicoterapia, termine diffusosi in questo periodo per indicare un
insieme di procedure terapeutiche basate sul rapporto medico-paziente.
3.3) LA TEORIA DI JANET:
Janet aveva proposto una teoria dei disturbi mentali che superava l’impostazione organicistica classica,
distinguendosi però dall’emergente impostazione psicoanalitica, trovandosi così tra due fuochi.
Alla fortuna dell’opera di Janet non giovarono né l’isolamento intellettuale voluto da lui stesso, né in parte la
confusione dei suoi volumi.
Egli cercò di delineare una teoria generale dei processi mentali, normali e patologici, basata sulle ricerche
sia della psicologia sperimentale che della psicopatologia (tentativo non perseguito dalla psicoanalisi
freudiana).
Questa problematica fu comune a molti psicologi dell’epoca, come Vygotskij.
Quindi, l’opera di Janet va considerata nell’ambito del contesto più ampio della psicologia dei primi decenni
del Novecento e non va appiattita nello sterile confronto con le teorie di Freud.
Janet, in una prima fase della sua indagine (fase dell’”analisi”) studiava i vari sintomi che insorgevano a
causa di “idee fisse subconsce” , a loro volta prodotte da eventi traumatici.
Successivamente ( fase della “sintesi” ), Janet studiava la dinamica e lo sviluppo della malattia .
Il momento dell’analisi metteva in evidenza la presenza di una scissione, cioè la mancanza di sintesi, tra le
funzioni psichiche nel paziente.
L’ipnosi permetteva sia di individuare le idee fisse, sia di risolverle.
Janet denominò “analisi psicologica” questo insieme di procedure di indagine e di interventi terapeutici e
sostenne che da essa Freud aveva derivato la sua “psicoanalisi”.
Janet arrivò ad una teoria generale dell’isteria e della nevrosi. Per Freud, la teoria di Janet riduceva l’isteria
ad una debolezza costituzionale che sfaldava la sintesi tra le funzioni psichiche, mentre per la psicoanalisi
era lo scontro intrapsichico la fonte della malattia.
In sostanza Janet avrebbe descritto la psiche come un mosaico (sintesi) composto di tanti pezzetti tra di loro
scindibili (analisi), ma non avrebbe efficacemente indicato le cause e i processi della coesione e della
dissociazione.
Successivamente (1930-1932) elaborò ulteriormente l’aspetto dinamico della propria teoria, approfondendo i
concetti di “forza psicologica” e “tensione psicologica”.
Si tratta di due concetti ortogonali : poiché la forza indica la quantità di energia psichica impiegata nelle
attività psicologiche e la tensione il livello di complessità di tali attività, si hanno tutte le possibili combinazioni
(grande forza per scarsa tensione, scarsa forza per grande tensione, equilibrio tra energia e tensione), le
quali danno luogo a manifestazioni psichiche normali o patologiche.
Anche se la concezione energetica dell’attività psichica fu alla base della teoria sulla condotta, gli aspetti
energetici divennero sempre più secondari rispetto a quelli sociogenetici.
Il termine “condotta” aveva per Janet un significato più ampio di quello di comportamento.
La condotta è data dalla dinamica delle tendenze, intese come disposizioni della psiche a compiere
determinate azioni secondo una complessità differenziata.
Janet distinse tre livelli di tendenze (inferiore, medio e superiore) all’interno dei quali erano individuabili nove<