CAP. 5 LAVORARE CON GLI OFFENDERS
Gli psicologi forensi sono spesso impiegati nel lavorare con gli offenders condannati e il compito dello psicologo è
quindi quello di tentare di cambiare l’offenders o riabilitarlo (all’interno delle prigioni).
Persone condannate dai tribunali possono sia andare in prigione, ma anche essere sottoposti a libertà vigilata, a
comunità terapeutiche e a varie forme di ospedali mentali o unità di sicurezza.
In tutte queste decisioni gli psicologi sono coinvolti in 3 ampi compiti che riguardano passato, presente e futuro
dell’offender:
- Aiutare l’offender ad affrontare problemi preesistenti che potrebbero essere stati causa diretta delle loro
inaccettabili azioni, così come l’incapacità di gestire l’aggressività o fattori che contribuiscono alla loro
criminalità come dipendenza da alcool, droghe come problemi a lungo termine come malattie mentali o
disturbi della personalità. 11
- Far fronte alle attuali circostanze dell’offender: es. rischio suicidio
- Valutazione dei rischi che l’individuo pone a se stesso e agli altri e quali siano i metodi migliori per gestire i
rischi.
Valutazione.
Ogni tentativo di lavorare con gli offenders inizierà attraverso qualche forma di valutazione. questa permette di
determinare quale sia la più appropriata forma di trattamento. I comportamenti di un offender sono compresi solo alla
luce di tutti gli aspetti della sua vita, come anche l’ambiente in cui è cresciuto.
Lavorare con sex offenders violenti.
Esistono programmi che aiutano gli offenders a sviluppare uno stile di vita socialmente più accettabile: sono incontri
di gruppo in cui vengono esplorati i vari aspetti che solitamente danno vita alla violenza. Lo scopo è quello di aiutare i
partecipanti nello sviluppo dell’empatia nei confronti delle vittime, una maggiore comprensione delle loro attitudini e
sono avvisati delle condizioni che danno origine alle loro aggressioni, così da poterle esaminare ed evitare.
Vi sono difficoltà a portare avanti tali programmi in prigione in quanto l’ambiente è anormale: è raro trovare entrambi
e sessi, l’alcool è vietato, i soggetti sono rinchiusi nelle loro celle ecc.
Vi sono poi aspetti della vita in prigione che trascinano ancor di più gli offenders nella spirale del crimine (vi è infatti
una forte influenza sociale e che sia più facile reperire narcotici illegali in prigione).
Un altro ostacolo è costituito dall’autogiustificazione di ciò che gli offenders hanno fatto, tanto che alcuni negheranno
che esso sia avvenuto nel modo in cui è stato presentato. Gli psicologi possono frenare le autogiustificazioni, ma se
l’offender si rifiuterà di accettare un’interpretazione alternativa delle sue azioni, allora sarà necessario un trattamento
differente che si baserà sullo sviluppo delle capacità positive e sul diventare meno attratto dalle situazioni illegali.
Ulteriore rischio è quello in cui l’offender si senta costretto a partecipare. Ci sono stati casi in cui lo psicologo ha
scoperto solo successivamente che il progresso fatto è stato frutto della furbizia dell’offender che aveva imparato cosa
dire per “completare” il programma, senza cambiare mai il proprio pensiero e le proprie abitudini. Alcuni studi
mostrano come quegli psicopatici che erano stati valutati idonei e che avevano affrontato positivamente la terapia,
erano coloro che avevano più probabilità di offendere in futuro.
Un tentativo per raggirare alcuni di questi problemi è quello di creare le “comunità terapeutiche”: è necessario che gli
offenders accusati aderiscano e si uniscano a queste comunità dimostrando il desiderio di voler cambiare. Tale
programma va alla scoperta dell’interiorità della persona e non c’è quindi possibilità di nascondersi. Tali interventi si
sono dimostrati efficaci anche con serial offenders.
Dipendenti da alcolici e atre sostanze .
Maggiori sono stati i successi degli interventi per il trattamento per la dipendenza da sostanze; questo tipo di
trattamento si concentra sui comportamenti che devono essere modificati. Tali programmi si rifanno all’iniziativa degli
alcolisti anonimi che si basa su supporti di gruppo e accettazione delle sfide dei membri di questo.
L’enfasi posta sulle conseguenze delle proprie azioni permette di sviluppare convinzioni e attitudini che l’offender si
porterà anche fuori dalla prigione.
Maggiori abilità di pensiero.
È ampiamente accettato dalla psicologia che il modo per cambiare i comportamenti parte dal modo in cui una persona
pensa riguardo agli eventi e mette così in pratica azioni che sono derivate da questi tipi di pensieri positivi (terapia
cognitivo-comportamentale).
Questo è alla base di molti programmi di intervento per il lavoro con i sex offenders e i dipendenti, ma è anche
rilevante per la risoluzione di problemi più ampi come quello della gestione della rabbia.
Si cerca così di ridurre i pensieri automatici e di sviluppare pensieri positivi ed ottimistici riguardo agli eventi (per
esempio se una visitatrice fa tardi per l’incontro nella prigione, l’offender imparerà a pensare che è il traffico e che se
non la vedrà e parlerà un altro giorno).
Il programma più usato consiste in 22 ore si sessione (che include compiti fuori sessione); il lavoro si svolge in gruppo
e consiste in un mix di spiegazione dell’idea alla base della terapia cognitivo-comportamentale, nella scoperta delle
esperienze dei vari membri del gruppo, nello sviluppo di attività sociali come il saper ascoltare e nel dare aiuto ed
esercizi che aiutano a sperimentare ciò che viene affrontato nella seduta. 12
Interventi di valutazione.
Vi sono difficoltà nella valutazione di tali programmi: per esempio se il programma tratta la gestione della rabbia o
dell’abuso di droga, questo deve essere valutato prima e dopo e può non essere facile quando si incappa in setting
differenti o illegali.
Tuttavia i programmi per la dipendenza da sostanza mostrano la riduzione di 1/3 e più nei partecipanti.
I corsi riguardano le migliorate capacità di pensiero che si riversano poi sul comportamento, mostrando una riduzione
della recidiva del 20%.
Disturbo di personalità.
Vi sono alcuni tipi di problemi sui quali tali trattamenti avrebbero pochi effetti: sono i disturbi di personalità. Le
persone che ne soffrono non hanno deliri o allucinazioni, potrebbero far uso di sostanze, probabilmente avere
difficoltà nelle relazioni durevoli, essere impulsivi o altro. Tra questi il “disturbo di personalità antisociale” comporta
incapacità di conformarsi alle norme sociali come dimostrato dalle condotte suscettibili di arresto, impulsività,
aggressività, esordio prima dei 15 anni, irresponsabilità, mancanza di rimorso, mentire, usare falsi nomi, truffare gli
altri, e l’inosservanza della sicurezza propria e altrui. Per queste persone è utile dirgli che soffrono di un disturbo,
piuttosto che dirgli che sono persone comuni.
Vi sono comunità terapeutiche operative nelle prigioni che si basano sull’idea di poter cambiare le conseguenze del
disturbo.
Fare i conti con la prigione.
Anche se le prigioni possono essere viste solamente come punitive e come “correzionali” cioè mirate a migliorare i
comportamenti dei carcerati, è opinione diffusa che le carceri dovrebbero rendere le persone meno cattive e
pericolose. Gli psicologi, oltre a lavorare per raggiungere tale obiettivo, si occupano anche di studiare gli effetti
negativi che la prigione ha sui carcerati e sullo staff.
I carcerati possono diventare dipendenti dallo staff e da chiunque prenda decisioni per loro, sospettosi nei confronti
degli altri, possono sviluppare una maschera per nascondere i propri sentimenti, ridimensionare l’autostima e riattivare
traumi infantili.
In tutto ciò, è rilevante il rischio di suicidio e autolesionismo (il prigioniero è 5 volte più propenso al suicidio rispetto
a un omo libero) tanto che c’è la media di un suicidio a settimana nelle carceri americane. Per questo sono state
sviluppate scale che misurano il rischio di suicidio e di autolesionismo basandosi sul background del soggetto e sulle
sue esperienze.
Valutazione e gestione del rischio.
La previsione di varie forme di rischio di ferire se stesso o altri, di future offese sessuali o altre attività criminali, è
diventata la sfida principale degli psicologi forensi. Sono stati così sviluppati molti strumenti per la valutazione del
rischio come: static99 e HCR-20. La HCR-20 valuta i fattori statici e quelli dinamici, ma anche questioni supporto
sociale e il modo in cui è stato trattato durante la terapia (per valutare tutti i fattori scatenanti). Anche se i test si sono
dimostrati ampiamente prognostici, essi non sono infallibili. Infatti, se è relativamente semplice valutare un individuo,
è difficile valutare e prevedere le situazioni nelle quali si troverà.
Vittimologia.
Gli studi vogliono anche esplorare ciò che rende alcune persone particolarmente vulnerabili ad essere vittime (ad es
l’essere giovani, vecchi o malati). Questi studi hanno implicazioni su come debbano essere protetti i soggetti
vulnerabili.
Conclusioni: il problema della prigione.
Gli psicologi esplorano l’impatto della prigione e l’avviamento di interventi contro gli offenders dentro e fuori la
prigione come tentativo di cambiarli. Maturazione psicologica e fisica, come trovare un partner stabile e avere figli e
opportunità di carriera, sono i più importanti cambiamenti in grado di aiutare l’offender ad uscire dalla spirale della
criminalità.
La psicologia fornisce supporto allo staff, così come permette il monitoraggio dell’ambiente. Gli psicologi lavorano
con i carcerati attraverso programmi di trattamento e altre forme di educazione ea allenamento. Vari programmi e corsi
trovano riscontro come metodi di aiuto e supporto ai prigionieri per diventare cittadini modello. I più efficaci si basano
sulla terapia cognitivo comportamentale: questi chiedono all’offender di cambiare il loro modo di pensare e quindi di
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agire. Vengono anche aiutati a gestire l’ambiente in cui si trovano per evitare una grave depressione che potrebbe
portare al suicidio.
Gli offender con malattie mentali sono collocati in ospedali di sicurezza e sottoposti a trattamento. Un aspetto
importante di questi tentativi di riabilitazione è il riconoscimento che l’offender sia anch’egli una vittima e che abbia
bisogno di aiuto per affrontare le sue esperienze traumatiche.
Infine, per concedere libertà vigilata o l’i
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