Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
I PRINCIPI GUIDA DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITA’
La psicologia di comunità più che costituire una precisa opzione teorica, rappresenta una prospettiva, un modo di
osservare i fenomeni. Non per questo si deve pensare a una disciplina ateorica. Corrisponde ad un ambito di studio che
utilizza modelli e conoscenze scientifiche prodotte da diverse discipline per analizzare specifici contesti e situazioni.
_LA METAFORA ECOLOGICA_
La metafora ecologica è stata introdotta da James Kelly per superare il paradigma riduzionistico dominante nella
psicologia tradizionale, che scompone l’individuo in processi di base (cognizione, percezione, emozione), sostenendo
che la metafora di un ecosistema sia più adeguata a comprendere l’interazione individuo-ambiente, attraverso lo studio
delle relazioni con i diversi contesti che caratterizzano la sua vita. Le comunità sono sistemi composti da vari livelli
interconnessi tra loro, e il comportamento delle persone può essere meglio compreso quando viene studiato in relazione
a molteplici livelli di analisi. Problemi considerati come il risultato dell’interazione nel tempo tra individui, setting e
sistemi affrontati attuando cambiamenti nei contesti di vita e promuovendo le capacità delle persone di utilizzarne le
risorse.
Questi aspetti si ripercuotono sui luoghi in cui vengono attuati gli interventi.
_PREVENZIONE E PROMOZIONE_
La promozione del benessere e la prevenzione del disagio sono stati mutati dall’ambito della salute pubblica, che ha
evidenziato i vantaggi derivanti dall’affrontare i problemi di salute prima che questi insorgano.
La promozione del benessere e la prevenzione del disagio possono essere realizzate nei diversi livelli ecologici.
I primi interventi svolti nell’ambito della psicologia di comunità erano centrati sulla promozione di competenze
individuali, la prevenzione può essere applicata anche alla modificazione della comunità per promuovere il benessere
attraverso cambiamenti nelle politiche pubbliche.
_”EMPOWERMENT”_
Rappaport con l’introduzione del concetto di “empowerment”, propone un approccio al lavoro di comunità centrato
sul rafforzamento del senso di controllo che le persone hanno sugli eventi della loro vita, in cui lo psicologo lavora con
le persone svantaggiate per promuoverne la capacità di autodeterminazione. Anche il principio dell’empowerment è
applicabile ai diversi livelli di analisi.
• A livello individuale: per le persone essenziale poter esercitare un certo grado di influenza sulla propria vita.
Centrale il ruolo della partecipazione alla vita della comunità.
• A livello collettivo: una prospettiva ancorata al principio del potere mette in evidenza come gran parte dei
problemi psicosociali derivino da situazioni di ineguaglianza, sia da un punto di vista strettamente economico,
sia rispetto alla possibilità di avere voce nei meccanismi decisionali attraverso la partecipazione. Il principio
dell’empowerment mette in rilievo la necessità di considerare le dinamiche di potere che caratterizzano la
relazione tra i professionisti e gli utenti di un servizio o i soggetti di una ricerca. Per favorire la capacità degli
individui di esercitare un maggiore controllo sulla loro vita i professionisti dovrebbero essere in grado di
lavorare con i membri della comunità, istituendo con loro un rapporto di collaborazione e ponendosi come
“attivatori” delle risorse che possiedono. Una forte rilevanza i contributi non professionali, come quelli che
derivano dall’attività delle associazioni di volontariato.
_INCLUSIONE_
Il valore del rispetto della diversità guida l’azione degli psicologi di comunità attraverso il principio dell’inclusione,
che sostiene il diritto di ogni persona a essere unica e a non venire giudicata sulla base di un unico standard
convenzionalmente accettato.
Mentre a un livello individuale gli interventi mirano a creare consapevolezza circa le dinamiche sociali, è nel contesto
relazionale che l’inclusione si realizza.
Il principio dell’inclusione è strettamente connesso al concetto di empowerment, e a una visione dell’individuo che vada
oltre i deficit e i problemi che questo si trova ad affrontare, soffermandosi sulle sue competenze, sulle sue abilità, sulle
risorse della comunità nella quale è inserito.
L’approccio della psicologia di comunità risulta particolarmente adeguato al superamento della tendenza a etichettare
gli utenti sulla base dei loro deficit, in quanto fornisce a ogni persona la possibilità di accrescere il senso di controllo
sulla propria vita e di definire i propri bisogni coerentemente all’idea di benessere che si intende perseguire.
La psicologia di comunità è dunque una disciplina accademica e contemporaneamente un modo di agire professionale.
Come disciplina è orientata allo studio delle persone inserite nei loro contesti di vita, con l’obiettivo di comprendere
come fattori situati a diversi livelli possano interagire tra loro e avere un’influenza sul benessere degli individui.
Allo stesso tempo, si configura come professione di aiuto, che si propone di trasmettere le conoscenze acquisite con la
ricerca affinché le persone divengano consapevoli del ruolo che le condizioni in cui vivono hanno nel determinare la
loro salute e il loro benessere.
Aiutare coloro che si trovano in una condizione di scarso potere ad avere maggior controllo sugli ambienti con i quali
quotidianamente entrano in contatto significa alimentare il potere che le persone hanno sulla loro vita, sul
raggiungimento dei loro obiettivi, sul loro benessere.
La psicologia di comunità è critica nei confronti dello status quo, e mira a un cambiamento sociale che vada nella
direzione di una più equa distribuzione delle risorse materiali e psicologiche tra i membri della comunità. Finalità
ultima il perseguimento della giustizia sociale e la riduzione delle ineguaglianze di potere e di risorse, la disciplina è
stata anche definita “coscienza sociale della psicologia”.
I “MARKER” PROFESSIONALI DELLO PSICOLOGO DI COMUNITA’
_I RUOLI E LE COMPETENZE DELLO PSICOLOGO DI COMUNITA’_
Una delle fonti alle quali si può attingere per comprendere le competenze dello psicologo di comunità è costituita dal
tariffario dell’ordine degli psicologi, nel quale già da qualche anno sono previste alcune prestazioni tipiche della
psicologia di comunità, piuttosto difficili da monetizzare.
• Elaborazione e costruzione di progetti di comunità;
• Organizzazione e conduzione di focus groups;
• Analisi/stesura di profili di comunità;
• Analisi organizzativa di istituzioni, gruppi associazioni e comunità.
La situazione attuale è ancora lontana dal disporre di linee guida specifiche condivise dalla comunità scientifica e
professionale.
Al livello di base troviamo competenze di tipo esecutivo, che includono, la raccolta e l’interpretazione di dati,
la gestione di piccoli e grandi gruppi ecc.
Il secondo livello comprende le abilità sottostanti la pianificazione degli interventi, e implica un grado
maggiore di autonomia e responsabilità. Conduzione di assessment di comunità e la successiva progettazione
di interventi in grado di soddisfare i bisogni individuati all’interno della comunità mobilitando le risorse
esistenti. Fondamentale essere in grado di valutare le varie fasi del programma e verificare il raggiungimento
degli obiettivi.
Nel terzo livello rientrano quelle competenze che potremmo definire di networking, che comprendono: la
ricerca di finanziamenti, la gestione dei contatti con politici e amministratore, la creazione di partnership su
progetti e la collaborazione con istituzioni universitarie e di ricerca.
Le tre categorie presentate rappresentano solo uno dei tanti modi in cui le competenze implicate nel lavoro di comunità
possono essere classificate.
Dopo una prima fase di definizione degli obiettivi il compito principale del professionista è costituito
dall’individuazione di strumenti e metodi adeguati allo studio delle caratteristiche della comunità.
Conoscere la comunità nella quale si opera è un obiettivo che può essere realizzato in modi diversi in funzione del
grado di collaborazione che si vuole instaurare con i membri che ne fanno parte.
Se la partecipazione dei cittadini viene assunta come valore guida, il compito del professionista è fare in modo che il
processo di conoscenza della comunità avvenga attraverso il coinvolgimento del cittadino, rendendo possibile la
pianificazione di interventi con la comunità.
Lo psicologo di comunità dovrebbe porsi come “attivatore” di tali risorse, aiutando le comunità a definire i propri
obiettivi.
Per favorire la presa di decisione da parte dei cittadini, una prima fase spesso coincide con la trasmissione delle
informazioni ai leader della comunità, che successivamente si occupano dell’ulteriore diffusione delle informazioni ai
cittadini.
La prestazione dell’”esperto” non si traduce in un intervento implementato sulle persone, ma nasce dalla fusione tra
saperi di diversa natura; da una parte, i modelli teorici della psicologia che identificano fattori di rischio e di protezione
guidano la progettazione degli interventi, ne valutano gli effetti; dall’altra, conoscenze della propria comunità, delle
risorse in essa presenti e spesso non visibili, dei problemi che i cittadini giorno per giorno devono affrontare e che a
volte sfuggono a un punto di vista esterno.
Se da un lato una delle competenze fondamentali dello psicologo di comunità fa riferimento a quello che Nelson e
Prilleltensky definiscono “depowerment”, e coincide con la capacità di tenere in considerazione il sapere non
professionale e di integrarlo con le conoscenze scientifiche, dall’altro è necessario possedere una serie di competenze
specifiche per la gestione di questi processi. Sono necessarie competenze di tipo metodologico.
2. LE ORIGINI DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITA’
LE RADICI
Durante e dopo la Seconda guerra mondiale nel mondo universitario nordamericano avvengono due importanti
cambiamenti: l’apertura della psicologia accademica verso l’intervento sociale e verso la psicologia clinica.
La psicologia accademica inizia dunque a interessarsi a questioni sociali rilevanti, come lo studio dei processi
individuali di dominio e sottomissione che hanno condotto alla tragedia della guerra. Nello stesso periodo Lewin in
contrapposizione al tradizionale approccio scientifico di laboratorio che riduce al minimo la “presenza” del ricercatore,
teorizza la partecipazione attiva dello sperimentatore alle ricerche e la necessità di occuparsi di problemi