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LA PERSONALITA’ COME SCELTA
Dal punto di vista della teoria della personalità il concetto di scelta costituisce elemento centrale di alcuni filoni della
psicologia positiva. Peterson e Seligman parlavano di virtù e forze del carattere. Le prime sono entità universali non
misurabili. Le forze sono operazionalizzabili e misurabili. Possono essere obiettivi o vie per dimostrare le virtù. Si
distinguono in toniche (sempre presenti) o fasiche (si manifestano nelle situazioni opportune). La virtù definita come
umanità e altruismo si concretizza nell’attenzione per gli altri. La giustizia si riferisce al collegamento con l’universo e
al bisogno di dare un senso all’esistenza. Secondo la teoria la personalità è una scelta. È il modo in cui decidiamo di
utilizzare le forze del nostro carattere. Costruzione di tratti positivi, dove i tratti sono le “forze” che riconosciamo in noi
e che devono essere liberate, se toniche, o trovare l’ambiente adatto per esprimersi, se fasiche.
LE TEORIE COGNITIVE E SOCIOCOGNITIVE: IL RUOLO DELL’AMBIENTE, DEI PENSIERI E DEI VALORI
Molte teorie della motivazione assumono un modello che vede interagire le componenti di personalità con gli elementi
situazionali o cognitivi a partire da una formula che potrebbe essere riassunta con
M (motivazione) = P X S
Dove P: variabili personali, tratti di personalità o i motivi; S: sta ad indicare sia gli elementi legati alla situazione e al
contesto oggettivo e sociale sia agli aspetti di ordine cognitivo, percezioni di abilità e di autoefficacia e gli obiettivi.
Le percezioni di abilità, valutazioni date circa la personale capacità di affrontare determinati compiti e situazioni, sono:
aspettative di successo (Atkinson), valutazioni relativa al valore del sé (Covington), percezioni di sé (Markus e
Nurius), percezioni di autoefficacia (Bandura) e attribuzioni all’abilità (Weiner).
Le percezioni di sé sono delle rappresentazioni che abbiamo di noi stessi e che le persone che ci conoscono hanno su di
noi. Rappresentazioni proprie, modo in cui si vede, rappresentazioni degli altri, modo in cui gli altri ci vedono.
Un’importante distinzione tra il Sé attuale, il Sé ideale e il Sé imperativo. Il Sé attuale è il modo in cui le persone si
percepiscono e vengono percepite. Il Sé ideale come si vorrebbe essere. Il Sé imperativo come si dovrebbe essere.
Ciò che risulta interessante riguarda la coerenza o la discrepanza tra queste distinte rappresentazioni. Discrepanza tra la
percezione reale e quella ideale porta insoddisfazione e tendenze comportamentali caratterizzate da ritiro e disinteresse
e calo nelle componenti di tipo motivazionale.
Quando è tra il Sé imperativo e il Sé attuale caratteristica è anche l’assunzione di responsabilità per i propri risultati che
ne deriva. I successi vissuti come frutto del proprio impegno e inducono soddisfazione, mentre gli insuccessi vengono
collegati a sforzi personali insufficienti e quindi tendono a far emergere emozioni quali il senso di colpa e a determinare
il desiderio, cioè la motivazione, di riparare oppure di fare meglio in futuro, discrepanza motivante. Una persona che
percepisce di essere diversa da come altri la vorrebbero tende a provare vergogna e quindi a evitare le situazioni in cui
palesemente rischia di mostrare agli altri gli aspetti più deboli di sé. La costante è la paura di non essere bravi
abbastanza per gli altri o di fare “brutta figura”.
La teoria dell’autoefficacia si riferisce a percezioni e convinzioni che, pur svolgendosi spesso, ma anche non
necessariamente, in un contesto sociale, sono assolutamente personali per quanto riguarda sia la loro origine sia
l’espressione. È la percezione della personale capacità di riuscire ad agire sull’ambiente ottenendo risultati positivi. Il
nucleo centrale è dato dal concetto di agentività (human agency). Questo ingloba in sé la percezione di riuscire a
controllare personalmente l’ambiente, le aspettative di riuscita. Il senso di autoefficacia non è una percezione generale,
ma si riferisce a compiti specifici.
La percezione di autoefficacia comprende, almeno due componenti: una di tipo motivazionale, l’altra più legata alle
abilità strategiche possedute e che si sanno padroneggiare. Chi si sente poco autoefficace pensa di non riuscire ad
affrontare la situazione, chi percepisce un buon livello di autoefficacia manifesta buone aspettative di successo. Per
capire perché alcune persone, in situazioni specifiche, si sentano più autoefficaci di altre è possibile fare riferimento a
quelle che Bandura definisce le fonti dell’autoefficacia. Queste consistono nell’avere svolto in precedenza il compito
con successo, nell’avere visto altri svolgerlo con successo (apprendimento per imitazione), nella persuasione verbale
(convincersi di riuscire) e nella capacità di gestire le emozioni collegate allo svolgimento del compito, prima fra tutte
l’ansia. La motivazione deriva da due componenti: il valore dato al compito e le aspettative personali. Non basta quindi
che la persona nutra aspettative di riuscita e creda di possedere le abilità per affrontare il compito, ma è necessario
anche che ritenga che quel compito o quella situazione abbiano un significato ed un valore personale. I valori fanno
riferimento agli obiettivi a lungo termine, possono anche riferirsi alle emozioni anticipate per il successo oppure alle
credenze circa la desiderabilità di certi risultati. Può essere inteso come valore intrinseco che si riferisce all’utilità del
compito in sé, oppure più sul versante estrinseco, all’importanza del risultato.
Nella teoria aspettative-valori, i valori costituiscono l’elemento-ponte fra le componenti di personalità e la
motivazione. Le relazioni possono essere assunte come bidirezionali: la personalità e la motivazione. Le relazioni
possono essere assunte come bidirezionali: la personalità influenza la definizione degli obiettivi e questi contribuiscono
a confermare, smentire o accrescere la descrizione di sé, ossia la propria personalità, attraverso una sorta d processi di
assimilazione e accomodamento. I risultati concreti ottenuti nel tempo agendo in questa direzione forniscono un
feedback prezioso e aiutano a rimotivarsi, modificando eventualmente l’obiettivo futuro e avvicinandolo ad altri
prossimi in contenuto. Le abilità percepite e le aspettative personali si riferiscono alla probabilità soggettiva di riuscire
ad affrontare il compito con successo. Comprendono una componente cognitiva, riferiva soprattutto ala percezione delle
proprie capacità, e una strategica che riguarda la conoscenza degli strumenti per affrontare il compito. Secondo il
modello, i valori risentono di almeno tre elementi: gli obiettivi, le percezioni personali di abilità e di facilità e le
spiegazioni date ai propri risultati, altrimenti definite attribuzioni. Gli obiettivi sono delle rappresentazioni cognitive di
stati futuri e risultano influenzati dalle aspettative nutrite dagli altri e quindi dagli stereotipi e dal contesto socioculturale
e dalle percezioni personali di abilità e facilità. Queste ultime sono delle autovalutazioni circa il livello percepito di
difficoltà del compito e le proprie capacità di fronteggiarlo. Risentono del bilancio di successi e insuccessi, sono
influenzate dalle attribuzioni date ai risultati positivi o negativi ottenuti in precedenza e dalle aspettative degli altri. Una
persona penserà di riuscire se si percepisce capace e se ritiene che il compito sia di un livello di difficoltà
commensurato alle proprie abilità. Non vi è processo motivazionale che non sia accompagnato da qualche espressione
emotiva.
IL RUOLO DELLE EMOZIONI
La prima è la teoria proposta da Atkinson e riguardante il motivo alla riuscita. Le persone si distinguono per due
dimensioni, a carattere ortogonale: la tendenza al successo (TS), il desiderio di affrontare delle situazioni e ottenere dei
risultati concreti, sentire che si sta controllando l’ambiente, e quella a evitare il fallimento (EF) che porta a rinunciare
ad affrontare compiti o situazioni nel timore di fallire. Tendenza al successo è motivante, quella al fallimento è
demotivante. Secondo Atkinson la spinta motivazionale complessiva può essere calcolata a partire da una formula che
mette in relazione moltiplicativa la tendenza individuale (al successo o a evitare il fallimento), la probabilità (di
riuscire o di fallire) e l’incentivo (emozione anticipata). La tendenza è intesa come tratto di personalità. La probabilità
di riuscire è inversamente proporzionale alla difficoltà percepita del compito. L’incentivo consiste nell’emozione
anticipata di orgoglio o di soddisfazione, per la tendenza al successo, o di vergogna, per la tendenza a evitare il
fallimento. La componente di personalità è imprescindibile ed entra in relazione moltiplicativa con la componente
cognitiva e con quella emotiva. Ogni persona, di fronte a un dato compito o davanti a una scelta, manifesta due
tendenze contrapposte: ad affrontare (TS) o ad evitare (EF). Queste dipendono da elementi di personalità, da una
valutazione delle difficoltà del compito e da quanto si immagina ci si sentirà orgogliosi in caso di riuscita o ci si
vergognerà in caso di fallimento.
L’emozione anticipata risente di componenti personali ed è legata all’esperienza pregressa. È regolata dalla frequenza
con cui si sono realmente incontrati degli insuccessi oppure si sono ottenuti buoni risultati in contesti simili. Risente di
elementi di giudizio sociale. Secondo la teoria proposta da Atkinson le emozioni precedono la motivazione e
costituiscono elemento che può indurre a mettere in atto tendenze di base e a sviluppare aspettative come a frenarle.
Weiner nella sua teoria attributiva, propone una relazione contraria poiché considera le emozioni come la
conseguenza delle motivazioni espresse, anziché come la causa. Le persone di fronte ai propri risultati positivi o
negativi tendono a esprimere delle cause classificabili in interne o esterne a seconda del locus of control ovvero a
ritenere che è merito o colpa propria o degli altri. Dopo questa riflessione molto immediata e che può essere osservata
nel bambino fin dai primi mesi di vita vengono sviluppate altre due valutazioni. La prima si riferisce alla stabilità, la
seconda alla controllabilità che le cose vadano sempre così oppure che gli esiti siano variabili nel tempo. La
controllabilità si riferisce a quanto viene provato un senso di controllo o meno nella situazione. L’importanza della
componente emotiva risulta ancor meglio evidenziata dal riferimento