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ASPETTATIVE, VALORI E OBIETTIVI NELLA SCELTA
Alcuni anni fa Eccles ha proposto un modello che aiuta a comprendere la relazione fra componenti
motivazionali e scelta, denominato aspettative X valori.
La motivazione viene fatta dipendere tanto dall’aspettarsi di riuscire quanto dal dare importanza a ciò che si
sta facendo. Una persona risulta quindi tanto più motivata quanto maggiormente sente di poter riuscire e
ritiene importante farcela.
La relazione è di tipo moltiplicativo. Ciò significa che quanto più ci percepiamo capaci e diamo valore a una
cosa tanto maggiore sarà la motivazione e la probabilità di scegliere ciò che ci consente di realizzare le
nostre aspettative.
Aspettative e valori, benché legati, sono però fattori distinti, predetti da dimensioni differenti, benché
parzialmente legate fra loro. Le aspettative determinano i giudizi di fattibilità e si concretizzano in una sorta di
competizione fra sé e le proprie abilità. Diversamente i valori influenzano l’importanza data al compito o alla
situazione e discendono da rappresentazioni più ampie che potrebbero anche prescindere dalle personali
percezioni di abilità. È evidente che, giocandosi l’intero processo all’interno del pensiero e dei sistemi di
rappresentazione unici, ma talvolta ripetibili, che caratterizzano ognuno, vi possono essere delle influenze
reciproche. È questo il caso in cui la persona che si percepisce brava dà valore a ciò che fa.
Vi possono essere però delle situazioni in cui diamo valore a un compito, ma non ci percepiamo capaci di
affrontarlo, oppure ci sentiamo abili, ma non diamo importanza alla cosa. In questi casi si assisterà a una
carenza di motivazione e probabilmente a una mancata scelta di comportamenti o ambiti per i quali almeno
uno dei due giudizi (fattibilità e importanza) risulti carente.
Le persone quindi scelgono ciò che viene percepito come fattibile e ciò che ritengono importante e a cui
danno valore. Il valore può assumere diversi significati dall’intrinseco all’estrinseco, ovvero mosso dalla
strumentalità del comportamento per raggiungere obiettivi esterni. Il valore può essere dato anche
dall’importanza del risultato e quindi dipendere dagli obiettivi futuri.
In psicologia della motivazione i valori sono costituiti da obiettivi di vita desiderabili, variabili per importanza e
che servono a guidare (motivare) l’esistenza. I valori si distinguono dagli obiettivi per il loro livello di
astrazione, essendo gli obiettivi espressioni concrete dei valori. Gli obiettivi sono quindi dati da
comportamenti, pensieri o atteggiamenti manifesti che consentono di risalire ai valori sottostanti pensabili
come variabili latenti, cioè costrutti rappresentati da aspetti misurabili o comunque valutabili. Sono quindi ciò
che vale e costituiscono il “perché vale”.
Inglobano quindi 2 aspetti:
• Ciò che è importante per noi
• Perché lo è
La teoria di Schwartz distingue tipologie di valori. Altre teorie concettualizzano i valori come orientamenti,
come ad esempio nella teoria dell’autodeterminazione.
Secondo il modello di Eccles non esistono valori più adattivi di altri nello spiegare la motivazione. Ci sono
situazioni in cui il contesto facilita l’esplicarsi dei valori contrapposte ad altre meno favorevoli.
La scelta sembra dipendere da alcune motivazioni sottostanti fra le quali vengono individuate il “percepirsi
capaci” (aspettativa di successo) e il “ritenere importante” la cosa (valore). Il punto fondamentale riguarda il
“fare pratica”. Affrontare compiti o situazioni porta a sviluppare interesse e a incrementare la capacità e l’uso
di strategie.
Diversamente, l’evitare impedisce sia l’acquisizione di competenze che lo sviluppo di interesse che consente
di dare valore alla cosa. Ciò significa che il non evitare è situazione necessaria, benché non sufficiente, per
sviluppare delle componenti motivazionale che a loro volta favoriscono la scelta.
Si potrebbe concludere che tendiamo a scegliere ciò in cui riusciamo e ciò che è importante per noi e che le
ragioni che conducono a valutare importante e a saper fare tendono a essere le stesse e possono essere
ricondotte all’avere affrontato in precedenza compiti che hanno consentito di sviluppare delle abilità e la
convinzione di riuscire.
LE SCELTE A RISCHIO
Scegliere è motivante. Ciò è quanto asserisce la SDT, ovvero la teoria dell’autodeterminazione di Ryan e
Deci.
Le persone amano scegliere, sono motivate a farlo e percepiscono maggiore benessere e superiore
soddisfazione dei basilari bisogni di competenza, autonomia e relazione quando possono scegliere.
Scegliere è difficile in quanto comporta dei margini d’incertezza e delle possibilità di rischio. Atkinson ha
proposto il modello definito delle scelte a rischio. Il concetto di rischio presuppone un’incertezza e
l’associata possibilità di mancare un obiettivo. La motivazione è in fondo un po’ una scommessa. Il rischio è
quello di non riuscire a soddisfare il motivo alla riuscita, ovvero di non farcela nel mettere alla prova le
proprie abilità, confrontandosi con degli standard di valore e ottenendo dei risultati valutati come successi.
L’importanza del livello di aspirazione sta nel suo condizionare le scelte. Le persone che hanno un alto livello
di aspirazione pensano di riuscire e quindi scelgono di cimentarsi con il compito. la scelta si collega con
l’anticipazione di poter migliorare e quindi di ottenere risultati soggettivamente valutati come successi.
Secondo il modello delle scelte a rischio le persone prima di affrontare (scegliere) un compito fanno alcune
stime:
• La prima riguarda la probabilità di riuscita che risulta legata con il livello di difficoltà del compito
• Una seconda stima si riferisce all’emozione anticipata. Le persone anticipano per il successo
emozioni positive e per l’insuccesso emozioni negative. Il livello di emozione anticipata può motivare
se vi è una prevalenza di quelle positive o demotivare in caso contrario.
• Vi è infine un incrocio tra queste dimensioni che stabilisce il rischio connesso alla scelta. Scegliere
un compito facile porta ad avere poche emozioni positive in caso di successo e forti emozioni
negative in caso di fallimento, ma ha il vantaggio di avere associata una buona probabilità di riuscita.
Ne discende che le persone tenderanno a scegliere soprattutto compiti di media difficoltà.
SCEGLIERE E’ PERDERE
Scegliere implica l’intraprendere un compito o una situazione rinunciando a delle alternative che nella mente
rimangono come “perse”. Si creano delle “intenzioni degenerate”, che consistono in qualcosa che ci motiva
ancora, ma che non abbiamo intrapreso.
Non possiamo sapere cosa sarebbe accaduto se avessimo scelto una delle alternative scartate e solo in
alcuni casi è possibile riprenderle successivamente. Prima di scegliere vengono messe in atto delle
motivazioni che conducono a rappresentarsi conseguenze, vantaggi, scenari futuri sia desiderati che temuti.
Questo processo risulta più chiaro alla luce della teoria di Lewin, secondo la quale le persone nell’avvicinarsi
a degli obiettivi vivono una conflittualità interna che sono motivate a risolvere. Questa origina dal fatto che vi
sono per ogni alternativa fra cui scegliere, aspetti più o meno attraenti o repellenti. A questo proposito si
parla di gradienti, per richiamare una quantità di attivazione cognitiva ed emotiva che caratterizza tutta la
fase precedente la scelta.
I gradienti di avvicinamento si profilano anche a lunga distanza dal momento in cui si dovrebbe fare la
scelta e sono ciò per cui l’oggetto ci attrae.
Da lontano cominceranno a profilarsi i gradienti di avvicinamento con i conseguenti risvolti sul piano
cognitivo ed emotivo.
Da vicino cominceranno a pesare i gradienti di evitamento con i suoi effetti sia cognitivi che emotivi.
Ci sarà un momento un cui la persona tentennerà e si sentirà indecisa se scegliere di intraprendere la nuova
strada o mantenere lo status quo. Ciò a cui si assisterà dal punto di vista della dinamica interna sarà la
conflittualità fra gradienti di opposta direzione, ma anche la tensione che è data dalla somma della forza dei
gradienti.
L’effetto “se avessi scelto” si manifesta per ogni situazione in cui abbiamo evitato o rinunciato come anche
per le alternative scartate avendo scelto altro.
Al di là della risultante comportamentale ciò che assume rilievo è l’insieme di emozioni e di motivazioni
sottostanti che si riferiranno tanto alla componente “avvicinamento” che a quella “evitamento” e che sarà
tanto più carico quanto più la persona sarà disposta a investire e quindi considererà importanti sia l’una che
l’altra delle due istanze in competizione.
Ciò illustra quanto sia dificile e impegnativo sul piano emotivo-motivazionale lo scegliere ed evidenzia perché
il “non scelto” ci attragga ancora. A distanza di tempo, l’alternativa cui abbiamo rinunciato riprende a
possedere solo i gradienti di avvicinamento. Delle alternative non scelte vediamo gli aspetti positivi e
dimentichiamo gli elementi negativi, a meno che non le riprendiamo in considerazione per sceglierle in
futuro, caso in cui, avvicinandosi di nuovo il momento della scelta, ricominceremo a vedere gli elementi di
difficoltà.
SCEGLIRE DI NON SCEGLIERE: L’ORIENTAMENTO ALLA SITUAZIONE
Kuhl ha proposto la distinzione fra due diversi orientamenti:
• Alla situazione: porta alla selezione e alla scelta
• All’azione: si instaura dopo avere scelto e conduce alla realizzazione o esecuzione.
I due possono essere pensati come consequenziali: prima si vagliano le alternative, poi si sceglie e infine si
attua quanto previsto dalla scelta.
La poca motivazione a scegliere può dipendere da 3 fattori:
1. Differenze individuali nell’orientamento all’azione o alla situazione
2. Presenza di intenzioni degenerate
3. Tendenza a posticipare il momento della scelta
Kuhl ha sviluppato uno strumento per valutare le differenze individuali che portano qualcuno a preferire di
“stare nella situazione”, altri a desiderare di “risolvere il problema”.
È evidente che la scelta esprime:
• Un orientamento all’azione
• Uno alla situazione
Le differenzie individuali nella prevalenza dell’uno o dell’altro orientamento condizionano la presa di decisioni
e le capacità di scegliere.
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