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SUCCESSO, MOTIVAZIONE E AUTOSTIMA
2.1. Ho sbagliato! Che ne sarà di me?
La differenza fra chi soccombe al fallimento e chi invece trae forza dalle avversità è la declinazione data a 'fallimento': 'sono un fallito' genera strategie self-defeating, che conducono cioè a difendere se stessi, a volte a fuggire o a 'trincerarsi'; 'ho fallito?' favorisce modalità self-enhancing, che tendenzialmente portano a un miglioramento di sé e comunque a focalizzarsi su aspetti della propria persona che funzionano, le cosiddette forze e i sentimenti positivi ad esse associati. Tali effetti sono più marcati se la 'lettura' che facciamo di noi stessi è in terza persona (me) anziché in prima (io), distinzione proposta da James (1890) e ripresa in studi recenti nei quali si è dimostrato che gli effetti dell'incappare in fallimenti o anche solo nell'immaginarli o ricordarli sono
più evidenti quando assumiamo una visione dall’alto di chi siamo, siamo stati, vorremmo essere (il me stesso) anziché una meno astratta e meno rivolta ai significati in cui definiamo e semmai valutiamo noi stessi nello specifico contesto (io).
A distinguere le due modalità ‘di difesa’ o ‘di miglioramento’ del sé è anche il vissuto emotivo, decisamente più orientato verso la vergogna nel primo caos, verso la colpa nel secondo. Colpa e vergogna, benché confuse nel linguaggio comune e talvolta associate nell’esperienza individuale, configurano assetti emotivi particolarmente differenziati. Nella colpa il senso di sé è preservato, nella vergogna il senso di sé è intaccato. La colpa è specifica e salva la persona liberandola dal peso dell’eventuale fallimento, che viene fatto dipendere da cose non fatte o dette, dall’aver adottato strategie inefficaci, dall’aver
ma come si reagisce ad essi. La vergogna è un sentimento negativo che porta a una visione distorta di sé stessi, mentre la colpa può essere un motore per il cambiamento. È importante imparare a gestire la vergogna e trasformarla in colpa costruttiva, che spinge a migliorarsi anziché distruggere. Le conseguenze dell'abitudine di vergognarsi possono essere gravi, come il ritiro sociale, la rabbia repressa o espressa in modo aggressivo, la depressione e persino il suicidio. È fondamentale cercare di superare la vergogna e lavorare per cambiare la situazione. Non sono i fallimenti a definire una persona, ma come si affrontano e si impara da essi.ma il modo in cui sono vissuti e talvolta confusi con la nostra essenza.
L'autostima è un predittore del successo?
L'autostima:
- Ci fa sentire bene con noi stessi ed è di per sé uno stato desiderabile
- Consente di ottenere voti migliori nello studio, di vivere più a lungo, di essere più soddisfatti per le relazioni e per il proprio lavoro, di stare meglio in salute e raggiungere obiettivi importanti per sé.
Orth, Robins e Widaman (2012) hanno considerato alcuni indicatori di 'successo' in vari ambiti e li hanno posti in relazione con l'autostima in uno studio longitudinale che ha coinvolto persone dai 16 ai 97 anni. L'obiettivo era quello di individuare se le traiettorie di crescita dell'autostima procedessero di pari passo con quelle degli indicatori considerati. La risposta è stata positiva per la soddisfazione nell'ambito delle relazioni e del lavoro, del vissuto emotivo e, in
misurare ripetutamente e in modo ossessivo i propri pensieri negativi, che porta a un circolo vizioso di autostima bassa e problemi emotivi. Questo comportamento può influenzare negativamente sia la salute mentale che quella fisica. In conclusione, l'autostima sembra essere un fattore determinante per il benessere complessivo di una persona. Un'alta autostima può favorire il successo e il raggiungimento di obiettivi, mentre una bassa autostima può portare a problemi emotivi, sociali e di salute. È quindi importante lavorare per sviluppare e mantenere un'autostima positiva, cercando supporto sociale e adottando strategie per gestire i pensieri negativi.ripensare costantemente e a rielaborare soprattutto fattinegativi e problematici. Favorisce lo sviluppo e il mantenimento di emozioni tipiche della sintomatologia depressiva quali la rabbia, la tristezza, la delusione, che a loro volta incidono negativamente sulla prestazione lavorativa, la qualità delle relazioni e la salute, ed è più frequente in chi esprime bassi livelli di autostima. Molte delle dimensioni considerate hanno comunque un loro andamento e il livello di autostima spiega una parte, non tutto il fenomeno. Sulla soddisfazione lavorativa l'autostima incide per uno 0,26, quando invece la crescita complessiva dai 16 ai 70 anni è di 0,85. Ciò significa che per lo 0,59 incidono altri fattori. L'autostima conta sia perché si associa a vissuti emotivi positivi che sostengono l'agire, dall'altro perché favorisce una lettura positiva e una interpretazione fruttuosa della propria esistenza. Conta anche il prestareAttenzione ai successi piuttosto che agli insuccessi, ossia il focalizzarsi maggiormente sulle cose che funzionano o stanno migliorando, anziché su ciò che non va. Noguchi, Gohm, Dalsky e Sakamoto (2007) hanno sviluppato uno strumento in grado di valutare quanto le persone differiscano nel prestare attenzione ai fatti positivi o negativi che accadono loro, e hanno scoperto che tale attitudine si associa ad aspetti connessi al benessere, quali ottimismo, soddisfazione, l'esperienza di emozioni piacevoli, la tendenza a rispondere positivamente alle sollecitazioni dell'ambiente, l'attesa di felicità. Si tratta di valorizzare. 'Valutazione globale di sé' (autostima) può quindi diventare 'valorizzazione globale di sé', attraverso forme di apertura, accettazione, ascolto.
2.3. Evitamento e ritiro
Distanziarsi dall'insuccesso reale o potenziale che vorrebbe portare a concludere che 'la mia autostima non
dipendere dalla riuscita in quell'ambito, e quindi che l'eventuale fallimento non intacca la percezione di un sé che vale, che può. La prima modalità di psychological disengagement viene definita devaluing (deprezzare l'ambito, ritenerlo poco rilevante), la seconda discounting (ritenere di meritare di più, di essere sottovalutato). Entrambe sono adottate allo scopo di proteggere la propria autostima, ma al tempo stesso entrambe rischiano di demotivare ed eventualmente influenzare la prestazione in senso negativo, causando l'insuccesso. Rispetto al devaluing, il discounting è una strategia più temporanea e reversibile, infatti tendenzialmente le persone lo adottano più frequentemente. Infatti, può risultare talvolta difficile svalutare un ambito ritenuto importante, mentre è molto più semplice screditare una valutazione espressa da altri e da noi ritenuta inadeguata. Entrambe le modalità possono.avere un impatto simile sulla motivazione, sull'autostima e sulla prestazione: svalutare un ambito conduce adisinteresse e demotivazione, quindi ad una ridotta prestazione; screditare i feedback ricevuti conduce a disaffezione,disimpegno, e quindi a ridurre la prestazione, potrebbe anche provocare un abbassamento dell'autostima in quantonon si vedono confermati gli standard attesi.
In uno studio recente sono stati indagati gli effetti delle due modalità per proteggere l'immagine di sé sull'autostima,sulla motivazione e sulla prestazione. 'Screditare il giudizio altrui' è tendenzialmente strategia più efficace di 'svalutarel'ambito'. Il ritenere di non essere valutati secondo le proprie attese e stime di capacità incide positivamentesull'autostima e non intacca né la prestazione né il livello motivazionale.
Deprezzare l'ambito non favorisce l'autostima e incide
negativamente sulla prestazione attraverso la valorizzazione di obiettivi e motivazioni disfunzionali e la riduzione di motivazioni più efficaci volte a migliorare se stessi, crescere, padroneggiare, svolgere il compito per sé e non 'per gli altri' che possono apprezzare, valorizzare o disistimare il proprio operato. Ci sono altre due modalità di evitamento e di ritiro, si tratta delle strategie di autosabotaggio (self-handicap) e delle varie forme di ritiro dall'impegno mirate a proteggere il valore di sé, non mosse da disinteresse o pigrizia, ma sostenute da pensieri del tipo 'forse sarei capace, ma non mi voglio impegnare'. Consistono in anticipazioni di ostacoli reali o presunti che potrebbero giustificare un fallimento futuro. Tale modalità è adottata maggiormente dai ragazzi e nell'adolescenza, è una fase della vita in cui si ricerca la propria identità, e ciò comporta spesso.L'emergere di dubbi su di sé, il proprio valore, le competenze possedute, le potenzialità, che inducono a voler difendere un'immagine di sé ancora in fieri. Le strategie di self-handicap sono infatti funzionali nel proteggere l'autostima, lo sono un po' meno nel favorire lo sviluppo di motivazioni adattive e nell'incrementare la prestazione. A lungo andare possono avere ripercussioni soprattutto se:
- Sono davvero agite
- Determinano disimpegno
In questi casi, la prestazione risulta negativamente influenzata e spesso anche la motivazione al compito e l'interesse si riducono.
Lo stesso avviene per tutte le possibili forme di ritiro dall'impegno. Ad originarle è un sistema attributivo disfunzionale che porta a sovrastimare il ruolo dell'abilità e delle competenze rispetto a quello dell'applicazione per metterle a frutto e svilupparle. Il pensiero che accompagna tali modalità è di tipo additivo.
anziché moltiplicativo. Mentre una modalità di crescita fa sperare e investire, perché mirata a far emergere, esercitare le competenze, una modalità statica o additiva fa credere che 'meno uno si impegna più dimostra che è già bravo (senza fare niente)'. La modalità