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LA RICERCA

Lo studio ha la finalità di verificare empiricamente l’adattamento del modello di Avery, realizzato dal gruppo di lavoro,

valutando, nel contempo, gli esiti in termini di output nelle organizzazioni. Il gruppo di lavoro ha dapprima formulato

una serie di interrogativi che tentano di rendere operative alcune “curiosità” emerse dopo l’analisi approfondita del

modello.

Gli obiettivi della ricerca si collocano su due livelli:

a. Rispetto alle organizzazioni:

• rilevare la conoscenza/consapevolezza del DM nei co-workers e supervisors;

• confrontare le dimensioni individuali e organizzative nei lavoratori appartenenti a gruppi di

minoranza vs. gruppi di maggioranza.

b. Rispetto al modello:

• verificare se resilienza e apertura al cambiamento rappresentano fattori individuali predittori

del Diversity Climate supportivo;

• verificare se commitment to change, mindfulness organizzativa, giustizia organizzativa e

supporto organizzativo percepito rappresentano fattori contestuali e organizzativi predittori

del Diversity Climate supportivo;

• verificare se il Diversity Climate supportivo predice esiti positivi sul piano organizzativo in

termini di più elevati livelli di engagement, autoefficacia lavorativa personale e collettiva e

soddisfazione lavorativa.

ASPETTI METODOLOGICI

Il reclutamento dei partecipanti ha previsto una fase di coinvolgimento delle organizza- zioni attraverso i

dirigenti/supervisors, che hanno condiviso le finalità della ricerca e mostra- to sensibilità verso la tematica. Questa

procedura ha consentito ai ricercatori di ottenere la disponibilità in termini di tempi e luoghi per condurre la

somministrazione dei questionari. A tutti i partecipanti è stato garantito l’anonimato.

Gli strumenti utilizzati sono questionari che rilevano opinioni e percezioni individuali, quasi tutti con modalità di

risposta strutturata, validati nel contesto italiano; unica eccezione è rappresenta dal Questionario sul Diversity

Management, costruito ad hoc per gli scopi dello studio, che contiene anche domande a risposta aperta e che non è stato

preliminarmente validato, avendo l’obiettivo di conoscere lo “stato dell’arte” rispetto al DM nelle organizzazioni

coinvolte.

STRUMENTI

Per l’analisi dei Fattori individuali sono stati utilizzati:

• il Questionario sul Diversity Management. Strumento costituito da 2 sezioni:

o la prima ha lo scopo di rilevare percezioni e opinioni relative alla diversità e al DM nella propria

organizzazione.

o La seconda sezione indaga alcune dimensioni personali come sesso, età ecc.

Sono queste variabili che consentono di identificare eventuali gruppi di minoranza tra i partecipanti allo

studio.  Resilence Scale for Adult

 Scala Apertura Mentale del BFQ-2

Per l’analisi dei Fattori organizzativi sono stati invece utilizzati:

• Il Questionario Diversity Climate: valuta il clima di diversità attraverso 4 fattori dei quali nella versione

adattata al contesto italiano ne vengono mantenuti 3:

o Organizational Fairness: fa riferimento al grado di imparzialità percepito nelle politiche e pratiche

attuate dalla direzione nei confronti delle minoranza.

o Organizational Inclusion: fa riferimento alla percezione di inclusione/esclusione delle minoranze dal

contesto organizzativo, come l’esistenza o meno di programmi per lo sviluppo di carriera dedicati alle

fasce più deboli;

o Personal Diversity Value: fa riferimento alla visione soggettiva che l’individuo ha della diversità in

termini di valore e importanza ad essa accordata.

Nello specifico, i primi due fattori vanno a costituire la dimensione organizzativa, mentre l’ultimo quella

individuale.

 Perceived organizational support

 Measyrement of organizational justice

 Mindfulness organizing scale

 Scala di impegno al cambiamento di Herscovitch e Meyer

I PARTECIPANTI

Sulla base delle variabili socio-anagrafiche e del ruolo lavorativo è stato possibile individuare alcuni gruppi di

minoranza.

RISULTATI

Lo “stato dell’arte” del DM nelle organizzazioni. Una prima analisi ha riguardato la percezione del DM da parte dei

partecipanti. Le risposte sono state categorizzate in due macro-aree, corrette e scorrette. Per ogni macro-area vengono

riportate le definizioni con maggiore frequenza e le relative percentuali. Come si evince dalle percentuali riportate, solo

una metà dei partecipanti ha un’idea precisa di cosa sia il DM e ne dà una definizione pertinente, anche se non

adeguatamente articolata o approfondita.

Per la restante parte, vi è una maggioranza che non riesce a definirlo e una minoranza che lo identifica genericamente

come funzione delle direzione, progetto aziendale o lo lega alle relazioni tra capo e collaboratori.

Riguardo alla presenza di diversità nelle organizzazioni, sono state poste alcune domande per indagare se esse possano

interferire con il raggiungimento degli obiettivi produttivi e se possano costituire elemento di discriminazione.

Come si evince dai dati, le differenze contrattuali sono considerate dai lavoratori intervistati come l’elemento di

maggiore eterogeneità e potenzialmente discriminatorio all’interno delle organizzazioni, ancor prima di disabilità e

genere, che nell’accezione di senso comune sono probabilmente quelle con cui ci si rappresenta il concetto di diversità.

DIFFERENZE TRA GRUPPI DI MAGGIORANZA E GRUPPI DI MINORANZA

Gli status di minoranza rispetto ai quali emergono un maggior numero di differenze riguardano le dimensioni

lavorative.

Più specificamente, i lavoratori con contratto atipico mostrano più elevati livelli di apertura mentale e, tra le dimensioni

organizzative, un maggiore impegno di natura affettiva nei confronti dei cambiamenti organizzativi e, inaspettatamente,

anche più elevati livelli di giustizia organizzativa.

Poche, e poco rilevanti le differenze legate al ruolo lavorativo.

LA VERIFICA DEL MODELLO

Per validare empiricamente l’ipotesi di modello di spiegazione del Diversity Climate, abbiamo verificato, tramite analisi

di regressione multipla stepwise, quali, tra i fattori individuali ed organizzativi fossero predittori di un clima di supporto

alla diversità e quali tra gli esiti organizzativi ipotizzati fossero determinati da un clima positivo nei confronti delle

differenze nelle organizzazioni.

I risultati delle analisi mostrano che, tra i fattori individuali ipotizzati come predittori del diversity climate, solo

l’apertura all’esperienza e una delle dimensioni della resilienza, la percezione di sé, presentano relazioni di causalità

statisticamente significative.

I fattori organizzativi, invece, che presentano relazioni di causalità significative con il Diversity Climate sono:

• supporto organizzativo,

• mindfulness,

• due delle dimensioni del commitment to change – affettivo e di continuità – tra le quali, tuttavia, va precisato

che la dimensione di continuità è un predittore negativo,

• la giustizia organizzativa, nelle due dimensioni, interpersonale e informativa.

L’attribuire un più elevato valore personale alla diversità sembra determinare più bassi livelli di soddisfazione,

autoefficacia e partecipazione, sul piano cognitivo ed affettivo, all’organizzazione.

NOTE DI SINTESI

Riassumendo in poche note i principali rilievi emersi dallo studio, si evince che il concetto di Diversity Management

appare poco diffuso e poco familiare nelle organizzazioni coinvolte, tanto per coloro che svolgono ruoli esecutivi,

quanto nei supervisor.

La percezione delle dimensioni organizzative non presenta sostanziali differenze per livelli organizzativi,

presentandone, invece, di profonde in merito alla tipologia di contratto e all’anzianità di servizio.

In particolare, i lavoratori atipici ed i neo-assunti sono, tra tutti, quelli maggiormente coinvolti sul piano affettivo nei

processi di cambiamento organizzativo; disposti a mettere in gioco le proprie risorse cognitive per più efficaci strategie

di problem solving e ad attribuire un forte valore positivo alla diversità. Probabilmente l’instabilità lavorativa rende

queste categorie maggiormente motivate e sensibili verso tematiche cui si sentono in prima persona coinvolti.

Rispetto alla convalida del modello, l’appartenenza al gruppo di minoranza apporta un contributo positivo e

significativo alla diversa percezione delle dimensioni organizzative.

Certamente una dimensione non ancora esplorata, che ad oggi costituisce un punto di debolezza della convalida del

modello, è rappresentata da misurazioni oggettive degli esiti: la soddisfazione lavorativa, l’engagement e il senso di

autoefficacia, sono tutte dimensioni auto-percepite ed auto-valutate dai lavoratori, ma non confrontate con un criterio

esterno.

CONCLUSIONI

L’integrazione sociale si pone come un obiettivo difficile da raggiungere dal momento che le diversità si esprimono

attraverso valori, abitudini e modi di vita differenti che impongono la considerazione di una molteplicità di variabili

difficili da cristallizzare in un sistema di ruoli definito.

Nei contesti lavorativi, tale obiettivo potrebbe essere realizzato più facilmente, proprio perché i ruoli sono (o

dovrebbero essere) più stabili.

La gestione delle diversità potrebbe dunque rivelarsi una importante occasione per integrare la propria cultura

adeguandola ai nuovi contesti, prendendo le distanze da quelle rigidità personali che ciascuno mette in campo nella

propria quotidianità.

La ricerca e la pratica organizzativa non possono non configurarsi, dunque, come l’alternativa valida per favorire

politiche partecipate orientate a dare spazio e voce ai diversi attori nei contesti;

PSICOLOGIA POSITIVA E SERVIZI DI CONSULENZA UNIVERSITARI: PROMUOVENDO

IL BENESSERE DELLE/DEGLI STUDENTI

IL COUNSELING “GENERATIVO” AD APPROCCIO PSICO-SOCIALE PER LA PROMOZIONE DEL

BENESSERE

La prospettiva, nella quale si sono sviluppati i servizi di counseling ad approccio psicosociale è quella di un sistema

universitario orientante in grado di facilitare l’accesso alla conoscenza e l’avvicinamento al mondo del lavoro. Non

soltanto, quindi, un sistema di servizi dell’orientamento, ma una comunità orientante capace di attrarre e generare

insiemi di competenze professionali e sinergie istituzionali per il raggiungimento di comuni finalità.

Potrebbe definirsi una Smart Community, secondo i più recenti sviluppi dell’appellativo “smart” con cui vengono

identificate comunità inclusive e che assicurano una migliore qualità della vita nel percorso formativo e professionale,

nella disponibilità a prendersi cura di sé in chiave di lifelo

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
31 pagine
28 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/06 Psicologia del lavoro e delle organizzazioni

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Arianna21 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dell'orientamento e della progettazione professionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Nota Laura.