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DALL'UOMO GIUSTO AL POSTO GIUSTO ALLA PERSONA SAGGIA, CORAGGIOSA E ATTIVA
L'aggettivo adaptus, nelle discipline evoluzioniste ma anche nell'orientamento, ha a che fare con l'adattamento, ossia con quella caratteristica che consente alle varie forme di vita di adeguarsi all'ambiente in cui si trovano a vivere e agli eventuali cambiamenti. Una caratteristica determinante per quanto riguarda la sopravvivenza e l'estinzione di ogni essere vivente che, sul versante dei comportamenti umani, influenza la probabilità di essere accettati o respinti. Termine conosciuto già nel Medioevo, è "adatto" ciò che "risponde a un determinato scopo", che è "conveniente, idoneo [...] adeguato alla circostanza. Riferito a persona, che ha capacità, attitudine per qualche cosa". Se a molti psicologi questa definizione farà venire in mente il cosiddetto "condizionamento classico", quello
«rispondente»di Pavlov, a chi si occupa di orientamento richiamerà tutte quelle teorie che, fin dai tempi di Parsons, applicano una sorta di limbica equidistanza tra i bisogni delle persone e le pretese del mercato formativo e lavorativo. Un principio che svela il proprio lato peggiore, che rasenta la manipolazione, in quelle attività - spacciate per orientamento e svolte in molti istituti scolastici, atenei e centri per l'impiego - finalizzate a selezionare gli «idonei», i «promettenti», i «rispondenti», ovviamente per il bene di tutti, per non sprecare risorse e persino per evitare inutili disagi e frustrazioni a chi non ha le caratteristiche giuste. L'homo adaptus, soprattutto in tempi di crisi come quelli odierni o quando avverte il rischio di sprecare energie, opportunità e risorse, cerca alleati in ogni direzione. Nel mondo dell'economia e della formazione ne trova due molto importanti, particolarmente
disposti ad accompagnarlo e al’homoconsigliarlo: oeconomicus e l'homo competens.
L'homo economicus, che ha monopolizzato ogni ipotesi a proposito del futuro e dello sviluppo, ha trovato spazio anche nel settore dell'orientamento. La conseguenza a nostro avviso più raccapricciante della sua pervasività consiste nella penetrazione anche nelle scuole di visioni riduttive dell'essere umano e del suo futuro, avallate da dirigenti, studiosi e docenti che si sono lasciati abbagliare dalle lusinghe dei mercati e dall'idea che anche le scuole possano, o addirittura debbano, trasformarsi in aziende, in imprese pronte a competere l'una contro l'altra pur di rimanere produttive sul mercato della formazione. E tutto questo continua ad accadere, nonostante siano ormai alcuni decenni che l'homo economicus riceve numerose critiche, alcune molto prestigiose, come quelle da parte di alcuni Premi Nobel per l'economia. Le principali sono le
seguenti:
- la sua scarsa capacità di valutazione e di previsione dei rischi, e addirittura l'attitudine a lasciarsi distrarre da componenti ed eventi di natura non economica;
- il fatto che continui essenzialmente a basarsi sull'affidabilità delle previsioni economiche lineari nonostante i tanti dubbi su questa linea di condotta, confermati anche dalla recente crisi economica: è dunque un homo economicus "idealizzato come essere perfettamente razionale";
- l'aver invaso ogni sfera della vita umana, da quella della salute e del benessere a quella del lavoro e della gestione delle risorse umane:
La scienza economica vive l'esperienza di non avere più strumenti per leggere adeguatamente un mondo che cambia troppo rapidamente rispetto alle capacità di capirlo, e magari di prevedere i comportamenti economici delle persone e delle istituzioni, pur non mancando le voci di economisti che hanno denunciato l'insufficienza.
antropologica dell'attuale scienza economica, e hanno cercato di introdurre nuovi paradigmi e nuovi strumenti concettuali, al fine di comprendere meglio il mondo, e magari renderlo più vivibile. Anche l'homo oeconomicus, però, per la gestione del suo impero ha bisogno di aiutanti: ecco allora l'homo competens nella sua versione peggiore, individualista e neoliberista, quello che regna sull' "ambiguo impero delle competenze" certificabili, classificabili, documentali ecc. [Magni 2019], quelle cioè che necessitano di qualcuno che certifichi e di qualcuno da certificare. La dipendenza, non solo culturale, dell'homo competens da quello economicus traspare nettamente dal modo in cui solitamente le competenze vengono presentate: valga per tutte, a titolo meramente esemplificativo, la definizione proposta dal Network Definition and Selection of Competencies (DeSeCo). Le competenze rappresentano la "moneta" della quale è
costituito ilcapitale umano, inteso come il
patrimonio potenzialedi una comunità che, in un determinato contesto, si identifica con le
personeche possono partecipare attivamente al
mercato del lavoro, e costituisce uno dei prerequisiti non solo della cooperazione sociale e delle attività organizzate, ma anche il fattore economico più determinante. Le competenze sono
le abilità di rispondere con successo e di adempiere a richieste complesse, in un particolare contesto, attivando prerequisiti psicosociali (incluse le facoltà cognitive, quanto quelle non-cognitive)[virgolette nell'originale]. Se da un lato non sorprende più di tanto che il mondo neoliberista dell'economia europea e italiana abbia accettato questa impostazione, come testimonia ad esempio il supporto in suo favore da parte della Fondazione Agnelli, meraviglia che lo abbiano fatto anche i ministeri.dell'Istruzione edell'Università, fra l'altro senza batter ciglio nemmeno a proposito del linguaggio utilizzato, dimatrice chiaramente tecnocratica ed economicista. Un fatto di cui si è accorta anche la "filosofadelle capabilities" Martha Nussbaum, che da oltre un decennio lamenta la presenza di unsorprendente allineamento nel mondo, da parte di tutti i paesi, nei confronti di una scuola "volta aformare produttori efficienti più che cittadini consapevoli". Molte preoccupazioni a proposito deldilagare della "moda delle competenze" sono state espresse anche da diversi "docentidemocratici" della scuola pubblica e da alcuni professori universitari interessati alle tematiche dellaformazione che sembrano condividere il sospetto che dietro l'ipotesi dell'"educare percompetenze" ci sia il tentativo di addestrare le persone alla flessibilità e alla precarietà.Per quantoriguarda in particolare il mondo della scuola vale la pena ricordare l'Appello per lascuola pubblica sottoscritto da migliaia e migliaia di docenti di ogni ordine e grado e rivolto al presidente della Repubblica, ai presidenti delle Camere e al ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca. Dopo una breve premessa, nella quale si ricordavano gli artt. 3, 33 e 34 della Costituzione, si esplicitavano i rischi connessi a una visione della scuola pubblica economicista ed efficientista e venivano presentati sette temi da considerare con attenzione "per evitare di assumere, come propri, modelli produttivistici, forse utili in altri ambiti della società, ma inadeguati all'esigenza di una formazione umana e critica integrale". Questi sette temi hanno tutti direttamente a che fare con l'orientamento, tra cui il primo, che riguarda proprio la questione delle competenze. Alcune delle perplessità, relativamente siaall'orientamento sia alle cosiddette competenze soft, sembrano essere condivise anche dalla National Career Development Association (NCDA), la più importante associazione statunitense di orientatori e consulenti scolastici, che ha sottolineato la necessità di vigilare sulle modalità con le quali vengono descritte e accorpate le diverse competenze, in particolare quelle relative all'ingresso nel mondo del lavoro, denunciando come esse vengano proposte, come ha detto la socia dell'associazione Ann Villiers, "con una tale confusione di termini che non sorprende che le persone abbiano difficoltà a capire quali siano le loro competenze e di quali possano aver bisogno". Questo, ovviamente, non significa che per svolgere in modo adeguato un lavoro le competenze non siano necessarie, anzi. Però, come giustamente sostiene la collega della NCDA, è giunto il momento che consulenti, ricercatori, insegnanti, educatori, datori di lavoro e
genitori smettano di usare questo termine senza relazionarlo a contesti e problemi specifici, dimenticando che le azioni di una persona, i suoi tentativi, la sua capacità di risolvere problemi non sono riducibili a quell'individuo specifico, ma rappresentano il patrimonio degli ambienti e delle relazioni che li hanno resi possibili. L'orientamento dovrebbe dunque mettere le competenze al centro di nuove riflessioni, abbracciando visioni che le analizzino in modo più complesso e articolato, in grado di porle in relazione con i contesti di vita e con i "nutrimenti" che essi forniscono alle persone - alle occasioni di "possibilitazione", come direbbe Heidegger. In questa prospettiva le competenze, come le conoscenze e le capacità, costituiscono ciò che si è riusciti ad apprendere e ad esprimere grazie agli altri: nelle relazioni, nell'"agire con", nel chiedere e nel rispondere, nell'"andare insieme".
Le competenze non sono dell'individuo, ma "nostre": appartengono, cioè, ai contesti che le hanno rese possibili. Se non ci sta bene che l'educazione delle nuove generazioni, in ogni contesto a essa deputato, tragga ispirazione prevalentemente dall'homo oeconomicus e dall'homo competens, allora facendo orientamento nelle scuole dobbiamo cambiare decisamente rotta, dandoci da fare per ostacolare quella che Portera chiama "irrazionalità neoliberista", che sta diffondendo isolamento, incertezza e insicurezza anche tra i più giovani. Affinché cessi la supremazia dei modelli di vita centrati sull'efficientismo, sulla concorrenza, sul consumo illimitato e su un'idea "aziendale" di educazione basata su logiche puramente economiche, l'orientamento deve incoraggiare le persone ad assumere una prospettiva più ampia, pensando non solo al loro interesse personale ma anche a quello degli altri - a cosapotrà accadere in futuro, alla salvaguardia del nostro pianeta ecc. -,individuando responsabilità da assumersi, impegni da sobbarcarsi, visioni da incarnare e imprese da intraprendere. Un orientamento di questo tipo, con in mente l'homo sapiens, c