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DUE PROCESSI DI INFLUENZA O UNO?

Fino a che punto i processi psicosociali che soggiacciono all’influenza della maggioranza e della minoranza sono

identici o invece diversi?

Da una parte la posizione originaria di Moscovici è chiara: fra le due forme di influenza vi sono differenze qualitative,

sia nei fattori che danno loro origine sia negli effetti che esse producono. In anni recenti sono state proposte altre teorie

duali del processo di influenza, che pur condividendo alcuni concetti con i modelli originari, formilano in realtà alcune

previsioni diametralmente opposte. Ci sono poi i fautori dei modelli monofattoriali del processo di influenza, che

cercano di dimostrare che le differenze fra le due forme di influenza sono soprattutto differenze di grado e che esse sono

governate entrambe dagli stessi processi di fondo.

Partendo dalla scuola di pensiero duale.

Moscovici crede che i mezzi coi quali le maggioranze e le minoranze esercitano la loro influenza siano diversi. Egli

suggerisce che il conformismo che le maggioranze ottengono dai singoli membri è prima di tutto un conformismo

pubblico, dovuto a ragioni di dipendenza sociale o di informazione. Al contrario, ritiene che le minoranze riescano a

produrre prevalentemente dei cambiamenti privati di opinioni, dovuti ai conflitti e alla ristrutturazione cognitiva

prodotta dalla loro idee devianti.

La distinzione tra l’adesione pubblica manifesta prodotta dall’influenza della maggioranza e la conversione privata

nascosta è centrale per l’ipotesi dei “due processi”. Un esperimento pratico del fatto che l’influenza della minoranza,

diversamente da quella della maggioranza, riesce a produrre dei cambiamenti interni, e forse persino inconsci, è stata

fornita da una serie di esperimenti di Moscovici e Personnaz. Sono simili all’esperimento del blu e verde dove il

collaboratore risponde sempre verde alle dispositive blu; il trucco che introdussero fu di domandare ai soggetti di

riferire privatamente il colore. Ciò che la maggior parte degli individui non sa è che il colore di un’immagine è sempre

complementare al colore dello stimolo originario. I soggetti che avevano assistito alla prestazione del collaboratore che

pensavano provenisse da una maggioranza mostrarono uno spostamento scarso o nullo nella percezione cromatica

dell’immagine postuma, ma quelli che credevano che il collaboratore fosse un individuo di minoranza riportarono dei

colori dell’immagine postuma che erano collocati piuttosto all’estremità complementare del colore verde (rosso).

Benchè Moscovici e Personnaz abbiano ottenuto risultati simili in 4 esperimenti distinti, i tentativi di replicare questi

risultati sorprendenti al di fuori del loro laboratorio hanno avuto meno successo.

Nel più deciso tentativo di replica finora condotto Martin riporta i risultati di 5 esperimenti che replicavano esattamente

la procedura di Moscovici e Personnaz. In nessuno di essi, emergeva una qualsiasi differenza significativa fra le

condizioni di influenza maggioritarie e minoritarie rispetto al colore riportato dell’immagine postuma.

Dobbiamo chiederci se questi dati sulla sospettosità dei soggetti ci consentano di dare un senso all’insieme conflittuale

di questi risultati, se non possano essere state certe caratteristiche sottili della procedura di Moscovici e Personnaz a

dare origine alla maggiore sospettosità nelle condizioni “minoritarie”. Purtroppo è improbabile che si raggiunga una

soluzione così semplice del dilemma.

Da una parte Martin afferma che la massa dei soggetti poco sospettosi proveniva in realtà dalla condizione di influenza

minoritaria e che la totalità dei soggetti più sospettosi proveniva dalla condizione di influenza maggioritaria, risultato

questo esattamente opposto a quello che ipotizzavamo potesse essere alla base dei risultati originali.

In un esperimento in separata sede il partecipante deve riferire il colore dello sfondo e l’immagine postuma creata da

questo colore rosso. Moscovici e Peronnaz sostengono che Lenin sia associato simbolicamente al colore rosso e che

pertanto ogni effetto indiretto dell’influenza del collaboratore dello sperimentatore dovrebbe avere una corrispondenza

in una più forte percezione del rosso come colore di sfondo e una conversione verso il vede dell’immagine residua come

colore complementare. Secondo la teoria della conversione sviluppata da Moscovici e Personnaz, questi cambiamenti

dovrebbero verificarsi unicamente fra i soggetti esposti all’influenza minoritaria. I risultati corroborano questa ipotesi.

Occorre osservare che in questi esperimenti non può essere invocata alcuna sospettosità dei soggetti in quanto i

collaboratori del ricercatore riferiscono realmente un’interpretazione plausibile e anche corretta dello stimolo,

diversamente da quanto accadeva nel paradigma blu/verde, dove le risposte sono chiaramente in contrasto con la realtà

comunemente percepita.

Nonostante il fallimento dei tentativi compiuti per ricondurre a un’interpretazione unitaria i dati contrastanti provenienti

dagli studi sulle immagini residue, sono emerse altre prove a favore dell’ipotesi secondo cui maggioranza e minoranza

esercitano un’influenza che innesca reazioni sociocognitive diverse nella mente dei destinatari. Possiamo rammentare

l’ipotesi di Moscovici che l’influenza della minoranza possa costituire un più potente fattore di persuasione perché, nel

suo modello, essa innesca un lavoro cognitivo che si traduce in un cambiamento interiorizzato (privato)

dell’atteggiamento, invece che in un’adesione superficiale (esterna). È questa la ragione per cui il suo modello è spesso

designato con l’espressione “teoria della conversione”. Nonostante il fatto che le minoranze possano essere rifiutate e

inizialmente screditate, esse sarebbero in ultima analisi più capaci di provocare un pensiero rispetto alle maggioranze.

De Vries è di diversa opinione. Dopo aver preso in esame una serie di esperimenti prevalentemente incentrati sullo

studio del cambiamento degli atteggiamenti, hanno concluso che, in realtà è più spesso vero il contrario e cioè che le

persone in genere sembrano motivate a pensare in modo più sistematico a un tema quando credono che un numero

sostanzioso di loro pari adottino un punto di vista in disaccordo col proprio di quanto non lo siano se ritengono che

soltanto un manipolo di persone mantengono quell’opinione. Una delle dimostrazioni più chiare di questo fenomeno è

stata fornita da Mackie. I risultati dello studio furono chiari: le argomentazioni avanzate dalla supposta “maggioranza”

inducevano in misura maggiore di quelle della controparte una modifica dell’atteggiamento dei soggetti evidente sia

subito dopo il test sia a distanza di tempo, tanto sulla questione focale come su quella collegata. Il punto di vista

“minoritario” invece produceva una modifica assai scarsa degli atteggiamenti. Inoltre, i riferimenti alle argomentazioni

“maggioritarie” erano più frequenti e maggiori erano le prove di una loro elaborazione in senso favorevole rispetto a

quanto si verificava per le argomentazioni avverse “minoritarie”.

Mackie conclude che, contrariamente all’ipotesi di Moscovici è la maggioranza e non la minoranza a stimolare

un’elaborazione più sistematica nelle menti dei destinatari dell’influenza, laddove l’influenza delle minoranze rischia di

evocare modalità di pensiero più superficiali ed euristiche.

Se le minoranze non necessariamente provocano considerazioni mentali più profonde o più accurate delle maggioranze,

esse danno luogo probabilmente a un’influenza che produce modalità diverse di pensiero, più creative e divergenti nel

primo caso, più focalizzate e convergenti nel secondo. Nemeth ha indicato alcune possibili ragioni del fenomeno,

suggerendo che al prima reazione delle persone nell’udire che una maggioranza sta adottando un punto di vista

diametralmente opposto al proprio è di provare una certa ansia. Questa tesi deriva direttamente dall’affermazione

originaria di Festinger secondo cui la posizione standard delle persone è di accordare una certa validità alle opinioni che

incontrano consenso e di provare disagio in presenza di dissenso. Questa tenderebbe secondo Nemeth a focalizzare

l’attenzione soggettiva sulla verità o falsità dell’opinione espressa dalla maggioranza, escludendo altre questioni

potenzialmente rilevanti.

Ne deriva una modalità convergente di pensiero, in cui lo sforzo cognitivo si concentra soprattutto sul messaggio

maggioritario e assai poco su altri oggetti. L’esposizione a un’opinione minoritaria è un’esperienza diversa. In questo

caso, il destinatario si trova in una posizione di tranquillità e di agio iniziale in quanto crede che la minoranza sbagli e

possa essere ignorata senza difficoltà. Peraltro, l’esposizione tenace e sicura di opinioni tanto impopolari, compiuta

senza ottenere vantaggi apparenti, spinge i bersagli dell’influenza a pensare se non altro che esistono punti di vista

alternativi a quello fatto proprio dalla maggioranza.

Occorre notare che Nemeth non sta sostenendo la necessaria superiorità nei risultati dell’una o dell’altra forma di

influenza.

Le idee avanzate da Nemeth hanno stimolato la produzione di molte ricerche, in massima parte complessivamente a

favore delle ipotesi di questa ricercatrice. Uno dei primi esperimenti è stato condotto da Nemeth e Wachtler.

Coloro che erano stati esposti all’influenza maggioritaria tendevano a riprodurre pedissequamente le risposte dei

collaboratori, corrette o scorrette che fossero. Qui ritroviamo l’usuale effetto di conformismo. Quando però si

esaminavano le risposte insolite dei soggetti, coloro che erano stati sottoposti alla condizione di influenza minoritaria

non soltanto erano quelli che producevano il maggior numero di risposte complessive, ma anche quelli che producevano

il maggior numero di risposte corrette, indipendentemente dalla correttezza o imprecisione delle risposte date dai

collaboratori. Inoltre, in linea con la successiva teoria di Nemeth sul ruolo dell’attivazione, i soggetti sottoposti alle

condizioni di influenza maggioritaria riferirono di aver provato maggior tensione di soggetti posti nelle condizioni di

influenza minoritaria.

Successive ricerche hanno confermato la presenza di questo effetto, apparentemente stimolante, delle minoranze sul

pensiero divergente della maggioranza.

Nemeth e Kwan hanno riscontrato che i soggetti esposti a situazioni di influenza minoritaria effettuano associazioni

cromatiche più numerose e originali dei soggetti esposti a situazioni di influenza maggioritaria.

Nemeth e colleghi hanno osservato che l’influenza minoritaria può mig

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Publisher
A.A. 2015-2016
24 pagine
2 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/05 Psicologia sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Arianna21 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Processi d'influenza nei gruppi e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Voci Alberto.