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4.2. LE TEORIE DEI PROCESSI SOCIALI. 4.2.1. LE TEORIE SOCIOLOGICHE
Uno dei maggiori possibili riferimenti teorici è rappresentato senz’altro dal funzionalismo.
Il funzionalismo, cioè l’analisi funzionalista prodotta dal pensiero sociologico anglosassone,
è stato approfondito dalla maggior parte delle scuole sociologiche moderne. L’antropologia sociale,
nella figura di Bronislaw Malinowski, ha fornito un contributo determinante allo sviluppo
sociologico seguente, specie alla sociologia dei sistemi sociali elaborata da Talcott Parsons. Per
Malinowski la “cultura” è un apporto strumentale che permette all’uomo di risolvere i problemi
concreti e specifici che l’ambiente in cui vive gli pone nel processo di soddisfazione dei suoi
bisogni. In questo senso, la cultura è un insieme di oggetti, attività ed atteggiamenti di cui ogni
elemento costituisce un mezzo proprio per realizzare un determinato scopo. Conseguentemente la
funzione – concetto tanto usato quanto abusato – viene definita come il soddisfacimento di un
bisogno tramite un’attività in cui gli essere umani cooperano, usano prodotti e consumano beni.
La struttura di questi bisogni trova espressione negli imperativi biologici primari: nutrizione,
riproduzione, igiene, protezione dalle intemperie, ecc. La soddisfazione quindi dei “bisogni
elementari” trova risposta nelle istituzioni che si costituiscono in conformità con “principi di
integrazione” fino a formare un tutto più o meno armonioso: la società o sistema sociale o cultura.
La cultura forma, quindi, per Malinowski, una organicità che raggruppa tutte le istituzioni,
soddisfacendo sia i bisogni elementari che quelli derivati, ovvero prodotti dall’ambiente artificiale:
le istituzioni che rispondono agli imperativi biologici primari.
La visione della cultura come “totalità indipendente” viene criticata da Parsons perché – egli
dice – essa è insoddisfacente per l’analisi di società complesse come quelle occidentali. Il sistema
sociale viene quindi definito da Parsons come una pluralità di “totalità strutturali”, non per forza
integrate in modo stretto. In questo sistema sociale, postulato tenendo presente la società americana
degli anni ‘50 e ‘60, gli individui agiscono collettivamente per soddisfare i loro bisogni individuali.
Questa azione collettiva è resa possibile dall’accettazione di regole comuni, le norme, che
permettono la concertazione delle azioni individuali. Certamente la stabilità normativa che permette
gradi più o meno elevati di coesione sociale, è il risultato di un delicato equilibrio in continuo
divenire, raggiunto nell’unità funzionale della società. 29
Per Parsons l’analisi funzionale spiega i comportamenti particolari di membri di una società
come complesso risultato di un equilibrio fra i vari corrispondenti sistemi normativi che a loro volta
si equilibrano nell’interazione reciproca.
Tanto per Malinowski come per Parsons il sistema sociale – la cultura – è dunque una totalità
definita dalle sue specifiche finalità, volte sostanzialmente alla soddisfazione dei bisogni primari e
di quelli derivati. I meccanismi di integrazione e di adattamento garantiscono una stabilità
normativa; ovvero una stabilità delle aspettative che permette la coesione sociale. Parsons pone
l’accento sui processi interni di equilibrio del sistema sociale e sulla sua stabilità. I conflitti ed il
cambiamento sono talvolta recepiti come vere e proprie minacce che mettono in pericolo tutto il
sistema, e questo non solo nella prospettiva delle istituzioni ma anche in quella degli individui.
Spesso l’utente del Servizio sociale è il primo a recepire i cambiamenti che avvengono
all’interno del suo ambiente, talvolta capita che egli li interpreti alla stregua di un attentato alla sua
persona, al suo equilibrio, alla sua stessa identità. Difficile è il compito di mediare questi
inarrestabili cambiamenti commensurabili alla persona che ne è in qualche modo sconvolta.
In effetti, se vi sono cambiamenti in un sistema, anche i sottosistemi vengono coinvolti e pure
la loro struttura e funzione e, dunque, la funzione delle persone che in questo sottosistema agiscono.
Un’area di riflessione a sé riguarda la sociologia dell’educazione. È un settore molto
importante per l’operatore sociale, in quanto essa ha come suo ambito di ricerca i processi e le
strutture che sottendono le interazioni all’interno della società aventi potenzialità educative.
La sociologia dell’educazione osserva la scuola, la famiglia, le istituzioni del tempo libero, i gruppi
di coetanei, i mass-media, il lavoro; ma anche ambiti funzionalizzati alla risocializzazione degli
individui: istituti di pena, ospedali psichiatrici, centri di rieducazione, servizi sanitari, ecc.
L’educazione è un processo veicolatore di controllo e consenso sociale, che si preoccupa di
favorire una interiorizzazione dei diversi tipi di norme che le agenzie di socializzazione trasmettono
in modo più o meno formale.
Essa intende prevenire i fenomeni di devianza e marginalità. Per devianza si intende un
comportamento di trasgressione della norma, per marginalità un allontanamento temporaneo o
permanente rispetto a comportamenti socialmente condivisi o alle leggi.
La nozione di marginalità venne adottata negli anni ‘20 per designare quei gruppi razziali non
interessati ai processi di piena integrazione.
Le teorie della marginalità, cronologicamente parlando, sono posteriori a quelle sulla
devianza. Il concetto di devianza si può rintracciare già in Durkheim, che, alla fine del 1900, aveva
formulato la nozione di “anomia”, che letteralmente significa mancanza di norme. 30
La società dell’educazione studia gli eventi e le situazioni che inducono alla formazione di
gruppi che vivono una condizione di marginalità ed indica le possibilità di uscire dal loro stato di
emarginazione. 4.2.2. LE TEORIE PSICOLOGICHE
Uno dei principali apporti alla sociologia dei gruppi di particolare interesse per quanti sono
impegnati nei Servizi Sociali, è dato dal concetto di “dinamica di gruppo”. Mentre la metafora
biologica ed i modelli biologici avevano rappresentato l’avvio alla teorizzazione funzionalista,
l’analogia con le leggi della fisica offrono l’occasione a Lewin per rendere operativa la nozione di
campo in psicologia sociale. Secondo Lewin il comportamento di un soggetto con specifiche
proprietà, cioè con specifica identità, è il risultato di una particolare distribuzione delle forze del
suo ambiente in un determinato momento. Se l’operatore conosce le proprietà del campo dovrebbe
poter dedurre il comportamento del soggetto. Parimenti, dall’osservazione di questo comportamento
è deducibile l’insieme delle proprietà del campo.
In altri termini: il campo psicologico è l’insieme di tutti i fatti che esistono in un determinato
momento per l’individuo o per il gruppo sociale considerato.
La costituzione di questi fatti riferiti all’individuo o al gruppo sociale è dipendente da una
serie di variabili. Alle variabili psicologiche, come i bisogni, le motivazioni, i differenti scopi, le
forme della percezione, ecc. si aggiungono variabili non psicologiche, ovvero sociali, biologiche e
fisiche, che hanno una incidenza diretta sul comportamento dell’individuo o del gruppo ed altre
variabili che hanno invece una incidenza sociologica indiretta sulle dinamiche comportamentali.
Lewin trasferisce i principi strutturali formulati in ambito percettivo dalla Gestaltpsychologie al
comportamento interpersonale.
Secondo Lewin, allora, il campo psicologico ha una forma ed in questa forma si identificano
“lo spazio di vita” e la “zona di frontiera”. Mentre lo “spazio di vita”, che consiste nella persona,
nel gruppo o nell’ambiente, comprende tutte le variabili psicologiche che hanno un’incidenza
sull’individuo o sul gruppo, la “zona di frontiera” è costituita dalla zona di incidenza di tutte le
variabili non psicologiche che influenzano il comportamento dell’individuo o del gruppo.
Evidentemente, tutti i rapporti rilevati da Lewin tra persona, gruppo ed ambiente all’interno
dello spazio di vita, sono rapporti di interdipendenza. L’analisi di gruppo non si limita dunque, per
Lewin, alla descrizione degli elementi che lo costituiscono, cioè agli scopi, alle norme, ai ruoli, agli
status, ma consiste principalmente nello studio delle relazioni reciproche di interdipendenza fra
questi diversi elementi. Ogni campo sociale è in effetti caratterizzato dalla posizione reciproca delle
entità che sono parti del campo, e questa posizione reciproca rappresenta la struttura del gruppo e la
31
sua configurazione ecologica. È evidente l’influenza della teoria della relatività in questa
rappresentazione del campo sociale: per la prima volta assurgono ad oggetto di studio del sociologo
o dell’assistente sociale le relazioni fra gli elementi di un dato insieme, più ancora dei soli elementi.
Come sottolineerà alcuni anni più tardi Goffman, queste relazioni possono, come in una
rappresentazione teatrale, essere configurate come l’insieme dei ruoli nei quali gli individui cercano
o meno di spersonalizzarsi. Sono questi i ruoli che caratterizzano le relazioni fra A e B in un
determinato ambiente.
L’interazionismo simbolico di Goffman precisa, che, comunque, i comportamenti fissati da un
determinato ruolo possono essere svolti in maniera personalizzata, conducendo alla manifestazione
del proprio “sé”, ovvero alla evidenziazione della propria identità sociale. Qualsiasi individuo
insomma può pienamente identificarsi in un determinato ruolo – così come da lui o dal suo
ambiente sociale questo ruolo viene recepito – oppure rifiutarlo, prendendone le distanze.
Questo rapporto con il “sé” della persona avviene nella continua interazione con le altre
persone, o attori sociali, come Goffman preferisce definirli. In una sceneggiatura scritta dai mezzi
di comunicazione e/o dal proprio gruppo di appartenenza, lo svolgimento della rappresentazione
necessita il consumo del gruppo, di tutti gli attori. Se questo consumo viene a mancare, il ruolo
considerato deviante rispetto ai canoni del gruppo viene ad essere screditato, e il suo attore si trova
in una situazione di crisi. L’alternativa, cambiare ruolo o conformarsi pienamente, non salva l’attore
dai ripensamenti sull’essere della propria identità.
Le implicazioni operative della teoria dell’