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C’è da pensare che le fasi calde del periodo Atlantico abbiano favorito le società del Neolitico nella
loro opera di impianto dell’agricoltura, mediante l’uso “dei cereali provenienti da oriente nei paesi
ora segnati da una condizione di clima che si usa chiamare continentale”, come ad esempio il
bacino del Po e l’Italia peninsulare interna. In seguito, e precisamente nella fase piuttosto mite e
nella successiva fase calda destinata a durare fino al 400 d.C., alcune piante mediterranee si
diffusero certamente “verso l’Italia settentrionale”.
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3.5 Il suolo e l’agricoltura
I connotati qualitativi dei suoli italiani devono essere considerati in rapporto agli strati superficiali
del terreno che è provvisto di sostanza organica viva e morta derivante dalla flora e dalla fauna
ospitante sulla superficie terrestre: questa è “differenziata essenzialmente in funzione del clima, e
soprattutto delle sue componenti termica e idrica. Ovviamente, la differenziazione dei suoli dipende
anche dalla geologia, ossia dalle caratteristiche originarie della “roccia madre”, e dall’evoluzione
nel lungo periodo della storia naturale e umana.
Se “in origine”, vale a dire nel Neolitico, la qualità dei suoli può essere stata ritenuta buona, si deve
infatti sottolineare l’usura determinata con il tempo, da produzioni non sempre agronomicamente
corrette.
E’ da tener presente che i terreni agrari coltivati da tempi antichissimi hanno spesso ben poco in
comune con i suoli naturali originari, avendo l’uomo agito da fattore principale della loro
evoluzione, ora provocandone o accelerandone la degradazione, ora invece operando in senso
inverso. La qualità dei terreni dell’Italia sub-umida peninsulare: i suoli sono più ricchi di sostanza e
soggetti a un ciclo di umidificazione più lungo (“ciò che assicura loro un maggior rigoglio vegetativo
e una migliore rispondenza alle esigenze delle colture agrarie”). L’origine geologica delle matrici
risale prevalentemente alle formazioni preplioceniche, plioceniche e quaternarie.
Nel complesso l’Italia presenta una costituzione geologica piuttosto giovane:
Le formazioni plioceniche per contro presentano un quadro più semplice, in quanto derivanti da
depositi marini emersi per sollevamento della crosta terrestre, e comprendono matrici composte di
ciottolame variamente grossolano, di ghiaie, sabbie, di argille sabbiose e argille pure, materiale
tutto non cementato e perciò di norma instabile ed esposto a facile erosione.
Di sicuro i suoli migliori per l’agricoltura sono quelli originatisi dalle “matrici di trasporto del
Quasternario, diluviali e alluvionali, che procurano i terreni caratterizzati dal più alto grado di
fertilità integrale, anche se ancor quì frutto in parte dell’attività antropica”, come nella pianura
padano-veneta.
Né di minore fertilità, ma anzi maggiore, si presentano i suoli sviluppatisi dalle rocce piroclastiche
(tufi vulcanici terrosi), estese più o meno nelle zone, e in particolare nelle alture laziali, nella
campagna romana e nel Viterbese, nell’Orvietano, nella Campania e nel Sassarese.
In Toscana emergono le argille plioceniche con le “crete” senesi e i calanchi e “balze” volterrane,
che danno i substrati più impervi, sparsi inoltre in altre zone preappenniniche dell’Italia centrale
(Valle Tiberina) e meridionale.
I ciglioni, i terrazzi e la “spina” sono impianti di colture arboree promiscue o specializzate, dominate
dalla vite, al fine evidente di rafforzare l’azione bonificatrice dell’agricoltura.
Non meraviglia che, in mancanza di tali bonifiche d’altura, spesso i colli e “i monti della penisola e
quelli prealpini siano oggi in molte aree colpiti da frane o da manifestazioni di erosione celere”.
3.6 L’integrazione clima/suolo/idrografia: le vocazioni naturali e umane della Padania felix e
del piano-colle italiano
La conformazione stretta e allungata dell’Italia peninsulare, con la montagna appenninica che ne
rappresenta la spina dorsale, rappresenta il carattere geografico più peculiare del Paese, ben
diverso sai connotati degli altri paesi europei.
Alla forte inclinazione del profilo altimetrico del rilievo italiano sono da ricondurre, in generale, le
“calamità naturali” così ricorrenti nella storia del Paese: frane e smottamenti di terreno,
asportazione di suolo e inondazioni, tutti processi che impoveriscono e danno instabilità a monti e
colline e che producono il disordine idraulico delle sottostanti pianure.
Di sicuro, i caratteri differenziati del clima italiano, interagendo con le forme e la natura dei terreni e
con i caratteri delle acque superficiali e di sottosuolo, assegnano vocazioni naturali più favorevoli
all’agricoltura, in primo luogo, dell’Italia settentrionale e soprattutto nella ‘vasta’ pianura padano-
veneta, e secondariamente delle altre più esigue plaghe di piano-colle costiere e interne dell’Italia
peninsulare e insulare.
Se ci si sofferma sull’area pianeggiante italiana più ragguardevole per superficie e importanza
umana, la Padania, occorre riconoscere che le vocazioni naturali sono quì favorevoli all’uomo, a
partire dalla piovosità. La pianura fruisce della larga disponibilità di acque ‘immagazzinate’ dal
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‘serbatoio’ montano e captate direttamente dai fiumi oppure mediante la costruzione di pozzi e
canali di irrigazione.
Grazie a questa larga disponibilità di acqua di provenienza montana, con il duro lavoro di tante
generazioni di “maestri d’acque” e contadini è stato possibile quì costruire una vera e propria
“patria artificiale” ricca e popolosa: infatti la pianura è la sede privilegiata di colture cerealicole
asciutte e di quelle a elevato fabbisogno irriguo, come il già ricordato riso e il foraggio, e come il
mais.
Contrassegnate invece dai valori assai più negativi sono larga parte dell’Italia peninsulare
(specialmente centro-meridionale), la Sicilia e la Sardegna: territori caratterizzati da
montagne “senza nevi permanenti” e da modesta piovosità.
Quì il deficit è notevole ovunque; delle “eccezioni si costituiscono dove si ha una larga presenza
percentuale, nei bacini, di rocce permeabili e d’altra parte si ha un contatto con sottostanti rocce
impermeabili, in posizione utile al riemergere subaereo della falda”, come nei bacini del Tevere, del
Liri-Garigliano, del Volturno e del Sele nel versante tirrenico, e del Pescara nel versante adriatico.
La relativa abbondanza e costanza di acque in questi ed altri fiumi minori dalle analoghe
caratteristiche p valsa ad azionare, per forza di gravità gli indispensabili e onnipresenti mulini da
cereali o da castagne e, in certe aree dell’Italia centro.settentrionale, pure svariati opifici da vera e
propria industria.
Poco più tardi ha inizio pure lo sfruttamento delle grandi possibilità irrigue padane con
l’organizzazione dei fiumi lombardi, specialmente dell’Adda e del Ticino, e con altresì
l’organizzazione della cintura delle risorgive che taglia tutta la pianura, parallelamente al Po,
grosso modo all’altezza di Milano, fornendo acqua “non solo abbondante e perenne, ma di
temperatura costante, e quindi preziosa nell’inverno subcontinentale per la vegetazione dei prati.
Il carattere della siccità estiva è particolarmente negativo, determinando gravi limiti naturali
all’affermazione di sistemi agronomici di tipo europeo, con colture asciutte, ma più evoluti e
produttivi rispetto al classico avvicendamento mediterraneo grano/maggese o grano/riposo, quale
la rotazione triennale con l’inserimento dei cereali primaverili accanto al frumento e ai cereali
minori autunnali. Mentre nella più umida area padano-veneta l’avvicendamento triennale poté
diffondersi, sia pure lentamente, già nei tempi tardo-medievali, nel resto della penisola e nelle isole
di deficit idrico estivo continuò a essere per secoli un fattore limitante: cominciò a essere
combattuto e superato solo nei tempi moderni, o addirittura contemporanei, dal progresso
agronomico mediante il sistema mezzadrile affermatosi nelle colline e nelle pianure dell’Italia
centrale.
Il vincolo climatico negativo che, come fenomeno di lunga durata storica, ha penalizzato l’Italia
peninsulare e insulare per la produzione di cereali “panizzabili”, si ripropone pure per la produzione
di vegetali in funzione dell’allevamento del bestiame.
La contesa fra uomini e animali è quasi sempre risolta a vantaggio dei primi, con la forte
limitazione del patrimonio zootecnico di ogni genere e specie. Soltanto nelle pianure e nelle aree di
altipiani e basse colline organizzate a latifondo, per lo più assai poco e sempre meno popolate, lo
scontro si è pressoché ovunque risolto nello stabilimento di un relativo equilibrio fra cerealicoltura e
allevamento estensivo, almeno fra i tempi tardo-medievali o moderni e l’inizio dell’età
contemporanea.
3.7 Sistemazioni idrauliche e agricoltura
L’opera più macroscopica di bonifica è certamente quella condotta dai Romani con la
centuriazione, in parte “ancor oggi riconoscibile sul terreno in vaste aree”, anche se più spesso le
centuriazioni risultano invisibili per essere state “sepolte da sedimenti successivi” dovuti alle “fasi
climatiche favorevoli all’accentuazione dei parossismi fluviali”.
E’ largamente accettato, comunque, il fatto che non ovunque si spinse la bonifica romana,
cosicché ristagni di acque rimasero soprattutto nelle aree costiere, giustapponendosi con gli spazi
organizzati con l’agricoltura e con i boschi.
E’ certo che le crisi economiche e demografiche tardo-antica e alto-medievale, allorché quasi si
generalizzano sistemi agrari signorili estensivi, quali quelli latifondistico e curtense, comportanti
l’abbandono agrario diffuso delle pianure, interagendo con oscillazioni climatiche fredde e
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caratterizzate da una maggiore piovosità, grazie ai fiumi correnti su letti sempre più pensili e
divaganti, produssero un nuovo e generale allargamento delle paludi e delle lagune.
Ed è altrettanto certo che il periodo di optimum climatico medievale favorì l’azione della bonifica
che poté riprendere, grazie alla crescita dell’economia e del popolamento soprattutto nell’Italia
centro-settentrionale.
Le variazioni del regime idrico vengono accettate o combattute dai gruppi umani presenti nella
pianura a seconda di ciò ch