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Di conseguenza, l'antropologia e il discorso umanitario entrano in tensione.
Ne è esempio il rapporto tra l'etnografo francese Levi-Strauss e le organizzazioni umanitarie. Levi-
Strauss viene incaricato negli anni ’50 dall'Unesco di scrivere una critica all'ideologia razzista: ne
esce "Storia e razza". Nell'opera, una volta abbandonate le teorie razziste ci troviamo di fronte al
problema della molteplicità delle culture. Secondo Levi-Strauss limitarsi ad affermare l'uguaglianza
naturale di tutti gli uomini non basta, perché ogni uomo realizza la propria natura in una propria
cultura tradizionale.
Il problema quindi è: Come conciliare questo aspetto di "diversità" con i principi di "uguaglianza"
dell'umanità? La soluzione consiste nell'affermare che la comune umanità si realizza
ATTRAVERSO e non MALGRADO le differenze culturali. Il contributo di ogni cultura alla civiltà
consiste non tanto nella somma delle acquisizioni di ciascuna, quanto negli scarti differenziali che
la separano. Il progresso, infatti, è il frutto della reciproca fecondazione di tradizione diverse: ciò
implica da una parte tolleranza, ma dall'altra difesa delle proprie differenze. Pagina 5 di 38
Nel libro "Tristi tropici" evidenzia il senso di irreversibile perdita dei mondi "primitivi" di fronte
all'avanzare di una monocultura occidentale che soffoca ogni differenza.
Questo atteggiamento porterà Levi-Strauss a scontrarsi con le stesse organizzazioni internazionali.
4. Antropologia e diritti umani
Occorre distinguere due aspetti in queste posizioni di Herskovits e Levi-Strauss. Il primo ha una
visione molto rigida ed esclusiva delle culture. Herskovits afferma che "l'uomo è libero solo quando
vive nel modo in cui la sua società definisce la libertà".
In Levi-Strauss le culture sono definite come "treni che circolano più o meno in fretta, ognuno sul
suo binario e tutti in direzioni diverse." Questa visione è detta "essenzialista": le culture sono come
entità stabili e nettamente definite che incombono in un modo totale sugli individui,
determinandone i valori e il comportamento.
Un altro aspetto nella critica di Herskovits e Levi-Strauss al discorso umanitario è quello della
costante "sorveglianza critica" che l'antropologo può esercitare verso le tendenze etnocentriche
nella definizione dei diritti: troppo spesso, infatti, si tendeva a considerare come "universale" ciò
che apparteneva alla modernità occidentale.
Quindi, a questo punto, su quali basi sostenere l'universalità dei diritti umani?
A tutti pare ovvio che non sia "giusto" mutilare i genitali femminili, per esempio. Eppure in alcune
culture sarebbe accettato, nella nostra no. L'etnocentrismo non ci permette di comprendere le
differenze. (In alcuni casi una donna che non permette alla propria figlia di essere infibulata la
manda incontro a un'emarginazione costante e per tutta la vita, verso la considerazione di essere
impura o brutta e nessuno potrà o vorrà sposarla).
Anche per quanto riguarda i diritti dei bambini il caso è complesso, in quanto siamo portati a
considerare l'infanzia come è presente da noi. In alcune culture si diventa adulti prestissimo e
questo non permette di considerare corretto l'impianto assunto dalle organizzazioni umanitarie
riguardo lo Straight-18, per cui sotto i 18 anni si è considerati bambini.
Insomma, il caso è complesso. Teoricamente parlando, nessuno dovrebbe "civilizzare" qualcun'
altro.
IV. La ricerca sul campo e l'evoluzione dei metodi etnografici
1. Antropologia da tavolino
Il testo più famoso e influente nel campo dell'antropologia evoluzionistica è "Il ramo d’oro" di
Frazer (prima edizione 1890 a cui ne seguono altre fino al 1922).
L'opera ha un taglio enciclopedico.
A sua parere, l'umanità primitiva è dominata da un pensiero magico, basato sulle due leggi
dell'associazione delle idee: la similarità o somoglianza e il contatto.
La logica della magia da luogo a credenze e rituali che culminano nel mito di un Dio o un re-divino.
"Il ramo d'oro" è un'opera aperta e la sua struttura si basa su fatti, esempi e prove concrete che
accumulandosi supportano un'ipotesi teorica. Purtroppo gli esempi sono "decontestualizzati" e oggi
ci appaiono come resoconti ingenui ed etnograficamete inutilizzabili. Frazer riteneva che la forza
del suo lavoro risiedesse proprio nell'accumulazione empirica di fatti, senza tener conto della parte
nozionistica e cognitiva.
Gli antropologi dell'ottocento, infatti, consideravano il lavoro del ricercatore sul campo e quello del
teorico comparativista due ruoli ben diversi. Anzi, conoscere la teoria poteva essere pericoloso,
perché portatrice di "pregiudizi". Pagina 6 di 38
2. Malinowski e la nascita del moderno Fieldwork
Nel XX secolo si va incontro al problema della "raccolta" dei fatti e della produzione delle fonti.
Si comincia a capire che osservazione e interpretazione scientifica non sono affatto separabili.
La nuova concezione del lavoro su campo trova la sua massima espressione nel lavoro di
Malinowsky che pubblicò nel 1922 "Argonauti del Pacifico occidentale":uno studio nell'acripelago
melanesiano nelle Trobriand.
Gli aspetti caratterizzanti del suo metodo (fieldwork) sono i seguenti:
Decentramento e coinvolgimento personale, vale a dire "osservazione partecipante": per studiare
una cultura occorre viverla. L'indagine dunque coinvolge anche la personalità e la sfera esistenziale
dell'etnografo.
Non si tratta di procurarsi solo informazioni oggettive, ma di stabilire un rapporto empatico con i
nativi. Senza l' "osservazione partecipante" non si possono cogliere "gli imponderabili della vita
reale" cioè i fenomeni che costituiscono la fitta trama delle relazioni sociali.
Secondo questo metodo la cultura diviene entità organica in cui ogni parte è dipende da ogni altra e
il compito dell'antropologo è quello di comprendere le relazioni tra le varie parti.
3. L'epoca d'oro della ricerca su campo
In "Argonauti" la cultura Trobriandese è descritta a partire da una sua particolare istituzione: la
pratica del dono cerimoniale detta Kula. Il Kula però non può essere affrontato senza collocarlo in
modo sistematico nella dimensione ecologica, economica, del potere e della parentela di quel
determinato gruppo sociale. Si tratta di un'opera monografica. Ovvero di un'opera incentrata sul
rapporto esclusivo tra un ricercatore e una cultura specifica, che cerca di rappresentarne i suoi vari
aspetti.
La scrittura monografica si muove su due aspetti che prima apparivano inconciliabili: da una parte il
carattere soggettivo della partecipazione e dall'altra l'esigenza di una rappresentazione oggettiva.
Ad ogni antropologo corrisponde il "suo" popolo, perché ognuno passa la vita a studiarne solo uno,
massimo due (non ci sarebbe il tempo materiale, considerando che l'esperienza di campo dura per
anni).
All'inizio del Novecento l'antropologia crede fermamente nell'oggettività dei dati prodotti
dall'osservazione partecipante e torna nuovamente fuori la necessità di "comparare", senza
dimenticarsi che occorre comparare sistemi culturali nella loro organicità e non singoli tratti
decontestualizzati.
Le comparazioni vanno così a creare un'enorme banca dati :)
4. Tradizioni minoritarie
Il capostipite dell'etnologia francese è Marcel Mauss che era un comparativista e un teorico. Egli
contribuì a dare impulso alla ricerca empirica, scrivendo "manuale di etnografia".
Griaule, suo allievo, compie uno studio sulla popolazione Dogon (attuale Mali) e si allontana dal
modello anglo-americano del Fieldwork: lui elabora una struttura in cui pone l'antropologo come un
allievo che impara dal maestro (si fa insegnare la filosofia dogon da un saggio locale).
Nel corso del novecento poi, si ha un altro allontanamento dal Fieldwork che è lo studio del
folklore: uno studio che mira a lavorare su più testi, oggetti e altri tipi di fonti. Le indagini
folkloriche mantengono un basso profilo teorico e seguono piste filologiche, percorsi di diffusione
culturale e pratiche di schedatura e classificazione.
Tra i più importanti ricordiamo Van Gennep e Propp. Pagina 7 di 38
5. Decolonizzazione e svolta riflessiva
Con la decolonizzazione si va incontro a numerosi cambiamenti: cambia anche il modo di scrivere
le etnografie. Alla maggior consapevolezza politica corrisponde una maggior consapevolezza
retorica (ispirata da Fanon, con la pubblicazione de "I dannati della terra", che mette in luce una
teoria secondo cui l'ordine coloniale può essere superato solo attraverso una rottura violenta che
implica il disfarsi dei saperi dell'Occidente).
Il modello di monografia classica, condotto in modo impersonale, non appare più soddisfacente. Si
comincia a mettere in scena la stessa soggettività del ricercatore. Si cominciano a scrivere testi
"dialogici" che cercano di restituire la complessità del rapporto ricercatore-interlocutore piuttosto
che nasconderla dietro una normale "raccolta dati". Tra gli anni 60 e 80 si ha un ripensamento
epistemologico: una svolta riflessiva che sottolinea la complessità del rapporto tra esperienza di
ricerca e scrittura etnografica. Un esempio è dato dal "Diario" di Malinowsky. In questo testo
l'etnografo è tutt'altro che perfettamente integrato: vive un profondo e angoscioso senso di
spaesamento culturale, ossessionato dalla solitudine e dalla privazione sessuale. Ha crisi di collera e
ipocondria. Questo testo mette in luce la "finzione" dei testi etnografici. Argonauti quindi non è
inganno, ma nemmeno la realtà. Si parla dunque di "svolta riflessiva" perché gli antropologi si
rendono conto che ciò che scrivono viene dall'interno di loro stessi e il loro lavoro, dunque, non è
così lontano da quello del romanziere.
Negli anni 80 nasce un movimento detto Writing Culture e la sua proposta è quella di rileggere la
rivoluzione metodologica malinowskiana come l'affermazione di una nuova forma di scrittura
etnografica.
La caratteristica di questo modo di scrivere è la prevalenza di un registro descrittivo visuale e
impersonale: nasce così l'etnografia realista.
6. Prospettive attuali della ricerca antropologica
La decolonizzazione e la svolta riflessiva hanno cambiato il modo di intendere e praticare la ricerca.
Come si pr