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LA SCRITTURA ETNOGRAFICA

La dinamica della circolarità ermeneutica mette in rilievo il ruolo centrale e ineliminabile assunto dal ricercatore.

Assume un ruolo centrale e ineliminabile la “funzione dell’autore”. L’etnografo non può rinunciare alla propria autorità,

che inesorabilmente si manifesta nella scrittura. Per quanto cerchi di rimpiazzare il monologo con il dialogo, il suo

discorso rimane sempre asimmetrico. Lo scopo precipuo dell’etnografia è di parlare di qualcosa per qualcuno. Produrre

un’etnografia richiede decisioni su cosa dire e come dirlo.

Il lavoro dell’etnografo coincide con la trascrizione dell’azione.

La testualizzazione trasforma i discorsi in testi. La scrittura è l’elemento indispensabile per organizzare l’esperienza di

campo dell’antropologo e per trasformarla in un prodotto intellettuale.

Ciò che può essere notato e trascritto è legato a ciò che può essere letto e quindi assemblato in un testo etnografico. La

produzione della conoscenza antropologica dipende dalle convenzioni “letterarie” e dagli strumenti testuali usati per

costruire e interpretare i prodotti scritti.

L’ANTROPOLOGO COME AUTORE

I presupposti geertziani hanno stimolato un forte dibattito all’interno della comunità antropologica sulle modalità della

rappresentazione etnografica e sulla coerenza fra i principi metodologici e sulla loro applicazione etnografica.

Diversi autori hanno criticato l’etnografia geertziana, rilevando come faccia emergere i significati ma non i soggetti:

l’antropologo non è considerato un attore sociale che sia parte della scena, mantenendo un ruolo attivo solamente nel

momento della scrittura.

L’interdipendenza fra antropologo e nativo è sostituita dall’interdipendenza fra l’antropologo e un testo reso autonomo e

indipendente.

Da questa prospettiva la scrittura etnografica geertziana rimane prigioniera del dualismo fra soggetto e oggetto da cui

cerca di emanciparsi, non riuscendo a far emergere l’interrelazione sul campo fra l’antropologo e i suoi interlocutori e a

indicare il processo attraverso il quale i significati sono prodotti.

Geertz, da parte sua, ha confutato le prospettive dialogiche, rifiutando la dispersed authorship e la convinzione che il

discorso etnografico possa essere reso “eteroglottale”.

Geertz rifiuta quello che definisce come una sorta di “ventriloquio etnografico” che assume “l’esperienza

dell’etnografo, piuttosto che il suo oggetto, come principale argomento di attenzione analitica”.

Diverse prospettive hanno ritenuto che i modelli del testo e del dialogo sono alla base di punti di vista astratti e

contemplativi sulla comprensione. Il modello del testo produce una descrizione del discorso sociale come uno statico e

limitato insieme di significati e nasconde il processo reale di comunicazione attraverso il quale i significati, emersi dalla

negoziazione sul campo, sono messi in forma dall’antropologo.

L’ETNOGRAFIA COSMOPOLITA

I profondi cambiamenti nello statuto scientifico del sapere e in ciò che Asad ha definito le “precondizioni strutturali per

l’antropologia” e cioè le relazioni asimmetriche di potere fra dominanti e dominati, hanno messo in crisi gli assunti

fondamentali su cui la pratica etnografica si è retta.

Diverse prospettive hanno sviluppato gli stimoli teorici e metodologici geertziani, aprendo nuovi spazi e nuove strategie

di ricerca. Hanno inaugurato quella che è stata definita “etnografia postmoderna”, un insieme eterogeneo di posizioni

che superano le prerogative delle concezioni moderne della scienza, aggregando una serie di influenze molto diverse:

dalla linguistica alla semiotica, dalla critica letteraria al post-strutturalismo.

L’etnografia postmoderna concepisce il ruolo della riflessività per realizzare le potenzialità sperimentali della

produzione etnografica e per analizzare le dimensioni etiche, politiche e metodologiche della ricerca.

Una serie di autori hanno prodotto una riconcettualizzazione della pratica etnografica che ha preso la forma di un’analisi

politica e intellettuale delle convenzioni retoriche e del modo in cui la penetrazione dei processi su larga scala

modellino le prospettive locali.

L’abbandono delle modalità di pensiero e delle epistemologie essenzializzanti ha portato a ripensare le modalità

rappresentative, modificando una serie di topoi fondativi del discorso antropologico: cultura, comunità, identità, etnia,

razza, tribù, nazione.

La realtà etnografica viene articolata in nuove e instabili configurazioni, formate dalla fusione di pratiche locali e

globali.

Le “articolazioni” gli ethnoscapes sostituiscono all’idea di processi che dovrebbero rimpiazzare il moderno al

tradizionale l’idea di una modernità multipla intesa come un insieme di realtà negoziali prodotte essenzialmente dalla

coappartenenza della modernità e della tradizione, del globale e del locale.

La critica postmoderna della disciplina ha assunto come problema principale l’articolazione dei cambiamenti nel mondo

contemporaneo con i concetti, le teoriche e i metodi della ricerca sul campo e di scrittura. Intende affrontare il

superamento degli insiemi culturali, delle integrità spazio-temporanee e, in generale, il rapporto storicamente

determinato fra società e culture.

Concependo l’oggetto postmoderno come mobile, emergente, molteplicemente situato, compresso spazio-

temporalmente, circostanziale e in costante flusso, l’etnografia postmoderna si concentra sugli “assemblaggi” e sulle

combinazioni di elementi con differenti traiettorie temporali e differenti contesti di origine.

La caratteristica peculiare dell’antropologia contemporanea non consiste nello studio di uno specifico tipo di società. Da

un lato, rifiuta di definire il proprio oggetto di studio marcando in modo negativo tutto ciò che non è moderno in

contrasto alla modernità, tradizione che ne ha definito l’apparato categoriale univoco e totalizzante, sottraendolo

all’analisi, così come l’occhio si sottrae allo sguardo. Dall’altro oltrepassa la trasformazione della stessa modernità in

oggetto di scienza, studiandone le forme di razionalità e le strategie di occultamento della propria culturalità.

Percorsi da diversi mondi culturali e appartenenze multisituate, anche gli antropologi rifiutano la propria fondazione in

termini dicotomici ed essenzializzanti ed esibiscono la complessità e la dinamicità della loro esperienza nelle pratiche

innovative, sottratte a una singola logica di margine e dèpaysement e articolate in arene in continua effervescenza in cui

differenti visioni del mondo, interessi e poteri si collegano e si contrappongono.

PARTE III – IL TRAFFICO DELLE CULTURE

1. L’ANTROPOLOGIA NEL MONDO ATTUALE

CULTURE IBRIDE E PENSIERO METICCIO

“Culture ibride” e “pensiero meticcio” sono due espressioni che, in un certo senso, potrebbero riassumere

rispettivamente l’oggetto e la natura dell’antropologia. Con l’espressione “culture ibride” si vogliono indicare quelle

“situazioni di incontro” fra culture che si traducono in nuove sintesi, in nuovi profili, in nuovi paesaggi che

caratterizzano in mondo contemporaneo dal punto di vista socioculturale.

Da un certo punto di vista, parlare di culture “ibride” sembrerebbe quasi voler sostenere che esistono anche culture

“pure”. La verità è che sul piano empirico le culture sono sempre state ibride, poiché ciò che costituisce il mondo della

nostra stessa esperienza condivisa, pratica e simbolica, è sempre frutto di incontri, di apporti e di mentalità differenti tra

loro, di oblii e di ricordi che attingono a esperienze culturali diverse.

L’espressione “culture ibride” è solo un modo per esprimere ciò che accade nel mondo, una metafora dell’intensità e

della rapidità che caratterizzano l’incontro fra culture nella contemporaneità. L’ibridismo culturale è quindi per certi

aspetti l’oggetto stesso dell’antropologia culturale, dal momento che le culture umane non sono mai state pure.

Su un piano teorico, parlare di culture ibride significa invece mettere l’accento sulle strategie, pratiche e simboliche, che

le culture mettono in atto per risituare continuamente se stesse in un contesto di contatto e di cambiamento accelerati.

Se l’antropologia culturale è un sapere che si occupa principalemnte della dimensione culturale della vita umana, e se

quest’ultima dimensione è per definizione una dimensione ibrida, essa si presenta anche come un “sapere meticcio”.

L’antropologia è un pensiero meticcio, perché nasce nell’incontro fra la tradizione culturale di chi la pratica e la

tradizione, il pensiero di coloro che costituiscono l’oggetto di quella pratica.

Con l’espressione “traffico delle culture” vogliamo intendere quelle molteplici e complesse dinamiche caratterizzanti i

fenomeni di ibridazione che sempre più rapidamente hanno luogo nel mondo contemporaneo e di cui abbiamo quasi

sempre una percezione parziale, sovente contradditoria, a volte banale e talvolta assolutamente “misteriosa”.

OMOGENEIZZAZIONE O CHE ALTRO?

Tutti noi ci rendiamo conto che l’ambiente culturale nel quale viviamo solitamente recepisce stimoli provenienti da altri

ambienti.

Ciò che vorremmo chiarire è che questo “traffico” di beni, simboli, idee che caratterizza il mondo contemporaneo non si

risolve in una serie di prestiti e acquisti, ma comporta invece una loro continua riformulazione, o “riposizionamento

significante”, in base al contesto in cui questi beni, idee ecc vengono acquisiti o ceduti.

La percezione dei flussi di traffico che caratterizzano il mondo contemporaneo ha portato a un esito paradossale:

• Da un lato vi è la sensazione diffusa, e per certi versi senz’altro giustificata, che i contatti e gli scambi

favoriscano la tendenza a un’omogeneizzazione planetaria dell’aspetto inquietante o perlomeno problematico.

• Dall’altro si ha la sensazione che le culture e le etnie siano entità isolate, irrimediabilmente prigioniere delle

proprie logiche e della propria storia.

Per lungo tempo si è pensato alle società e alle culture umane come a entità isolate e “prese” ciascuna nel circuito dei

propri significati. Ciò non è del tutto sbagliato, nel senso che, se vogliamo capire quale significato abbiano certi

comportamenti e certe idee, le culture vanno effettivamente studiate nei termini che sono loro propri. Tuttavia ci si è

anche re

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
25 pagine
12 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Arianna21 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Zola Lia.